un articolo di Edoardo Rivola, Federica Giglioli, Alessia Rinaldi tratto da entilocali-online.it

Enti di diritto privato e Società partecipate: le sanzioni e le scadenze in materia di “Anticorruzione” e “Trasparenza”

 

15 Dec, 2014

La disciplina sulla “Prevenzione della corruzione” e sulla “Trasparenza”,  introdotta con la Legge quadro n. 190/12, cosiddetta “Legge Anticorruzione”, ha trovato attuazione nei Dlgs. n. 33 e 39/13 e nel “Piano nazionale anticorruzione” (“P.n.A.”) approvato dalla Civit con Deliberazione n.72/13. Di recente la materia è stata oggetto di penetranti modifiche con il Dl. n. 90/14 a cui hanno fatto seguito interventi interpretativi da parte dell’Anac., l’Autorità nazionale Anticorruzione (ex Civit).

In quanto propedeutico all’esamedelle ricadute sanzionatorie conseguenti al mancato adeguamento alle prescrizioni normative di specie e delle prossime scadenze, è opportuno focalizzare l’attenzione sull’ambito soggettivo di applicazione delle norme sopra riportate, ricordando a tal proposito che secondo quanto specificato nel “P.n.A.” citato,“ i suoi contenuti sono rivolti anche agli enti pubblici economici (ivi comprese l’Agenzia del demanio e le autorità portuali), agli enti di diritto privato in controllo pubblico, alle Società partecipate e a quelle da esse controllate ai sensi dell’art. 2359 c.c. per le parti in cui tali soggetti sono espressamente indicati come destinatari. Per enti di diritto privato in controllo pubblico si intendono le Società e gli altri enti di diritto privato che esercitano funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore delle pubbliche amministrazioni, sottoposti a controllo ai sensi dell’art. 2359 c.c. da parte di amministrazioni pubbliche, oppure gli enti nei quali siano riconosciuti alle pubbliche amministrazioni, anche in assenza di partecipazione azionaria, poteri di nomina dei vertici o dei componenti degli organi”.

L’affermazione secondo cui detti soggetti giuridici ricadono nell’ambito soggettivo delle norme “per le parti in cui sono espressamente indicati come destinatari”, contenuta nel “P.n.A.”, non è priva di implicazioni pratiche tanto che per quanto riguarda l’ambito oggettivo, al fine di dare attuazione alle norme contenute nella Legge n. 190/12, il “P.n.A.” specifica altresì che, dal lato dei presidi da implementare per contenere il rischio di commissione di reati contro e nei rapporti con la P.A., oltre naturalmente a conformarsi alla disciplina sulla “Trasparenza”, “gli enti pubblici economici e gli enti di diritto privato in controllo pubblico, di livello nazionale o regionale/locale sono tenuti [solo] ad introdurre e ad implementare adeguate misure organizzative e gestionali”.

Nella circostanza eventuale in cui le “gestioni parallele” abbiano adottato un “Modello organizzativo e gestionale 231”, sempre il“P.n.A.”, puntualizza che “Per evitare inutili ridondanze qualora questi enti adottino già modelli di organizzazione e gestione del rischio  sulla base del d.lgs. n. 231 del 2001 nella propria azione di prevenzione della corruzione possono fare perno su essi, ma estendendone l’ambito di applicazione non solo ai reati contro la pubblica amministrazione previsti dalla l. n. 231 del 2001 ma anche a tutti quelli considerati nella l. n. 190 del 2012 , dal lato attivo e passivo, anche in relazione al tipo di attività svolto dall’ente (Società strumentali/Società di interesse generale). Tali parti dei modelli di organizzazione e gestione, integrate ai sensi della l. n. 190 del 2012 e denominate Piani di prevenzione della corruzione, debbono essere trasmessi alle amministrazioni pubbliche vigilanti ed essere pubblicati sul sito istituzionale. Gli enti pubblici economici e gli enti di diritto privato in controllo pubblico, di livello nazionale o regionale/locale devono, inoltre, nominare un responsabile per l’attuazione dei propri Piani di prevenzione della corruzione, che può essere individuato anche nell’organismo di vigilanza previsto dall’art. 6 del d.lgs. n. 231 del 2001, nonché definire nei propri modelli di organizzazione e gestione dei meccanismi di accountability che consentano ai cittadini di avere notizie in merito alle misure di prevenzione della corruzione adottate e alla loro attuazione”.

Appare quindi evidente che qualora il “Modello 231” non sia stato adottato, detti enti/Società, dovranno in ogni caso limitarsi ad “introdurre e ad implementare adeguate misure organizzative e gestionali”senza quei vincoli specifici che la norma impone alle P.A.

Dal lato adempimentale, si ricorda che, secondo quanto previsto dal “P.n.A.” (paragrafo 3.1.1, p. 30), ai sensi dell’art. 1, comma 14, della Legge n. 190/12, il “Responsabile della prevenzione della Corruzione” redige e pubblica sul sito istituzionale la relazione annuale che contiene il rendiconto sull’efficacia delle misure di prevenzione definite dai “Piani di prevenzione della Corruzione”.

Questo documento dovrà essere pubblicato sul sito istituzionale di ciascun Ente privato/Società partecipata assoggettati alla norma secondo quanto sopra illustrato, nonché trasmesso all’Amministrazione di riferimento in allegato al “Piano della prevenzione della corruzione” dell’anno successivo.

Conseguentemente, la Relazione dovrà essere predisposta e pubblicata esclusivamente sul sito istituzionale di ogni Amministrazione entro il 31 dicembre 2014[1].

Qualora infine gli Enti pubblici vigilati, gli Enti di diritto privato in controllo pubblico e le Società a partecipazione pubblica non dispongano di un proprio sito internet, tutti gli obblighi di pubblicazione in capo agli stessi possono essere assolti attraverso la pubblicazione dei dati e delle informazioni previste dalla normativa vigente nella sezione “Amministrazione trasparente” del sito istituzionale dell’Amministrazione da cui l’Ente è vigilato, controllato o partecipato[2].

Dati e documenti relativi alla relazione annuale del “Responsabile della prevenzione della corruzione”non dovranno essere inviati all’Autorità.

In questa prospettiva, l’Anac stessa ha reso disponibile sul proprio sito internet, con apposito comunicato del 12 dicembre scorso,  un mModello standard per l’elaborazione della suddetta relazione.

Tale documento, come espressamente precisato nel “P.n.A.”, dovrà contenere un nucleo minimo di indicatori sull’efficacia delle politiche di prevenzione con riguardo ai seguenti ambiti:

•    Gestione dei rischi: Azioni intraprese per affrontare i rischi di corruzione – Controlli sulla gestione dei rischi di corruzione- Iniziative di automatizzazione dei processi intraprese per ridurre i rischi di corruzione;

•    Formazione in tema di anticorruzione: Quantità di formazione in tema di anticorruzione erogata in giornate/ore- Tipologia dei contenuti offerti – Articolazione dei destinatari della formazione in tema di anticorruzione- Articolazione dei soggetti che hanno erogato la formazione in tema di anticorruzione;

•    Codice di comportamento: Adozione delle integrazioni al codice di comportamento – Denunce delle violazioni al codice di comportamento – Attività dell’ufficio competente ad emanare pareri sulla applicazione del codice di comportamento;

•    Altre iniziative: Esiti di verifiche e controlli su cause di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi- Iniziative nell’ambito dei contratti pubblici- Iniziative previste nell’ambito dell’erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari nonché attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere- indicazione delle iniziative previste nell’ambito di concorsi e selezione del personale –  indicazione delle iniziative previste nell’ambito delle attività ispettive;

•    Sanzioni: Numero e tipo di sanzioni eventualmente irrogate.

L’Organo di indirizzo politico, quindi quello gestorio, dovrà poi adottare/aggiornare il “Piano di prevenzione della corruzione” entro il 31 gennaio di ciascun anno (art. 1, comma 8, Legge n. 190/12), prendendo a riferimento il triennio successivo a scorrimento.

Ai fini invece della “Trasparenza”, dai chiarimenti forniti dall’Anac in merito al perimetro di applicazione delle disposizioni, emerge che “sono da intendere quali enti di diritto privato in controllo pubblico gli enti di diritto privato sottoposti a controllo da parte di amministrazioni pubbliche, ivi incluse le fondazioni, oppure gli enti costituiti o vigilati da pubbliche amministrazioni nei quali siano a queste riconosciute, anche in assenza di una partecipazione azionaria, poteri di nomina dei vertici o dei componenti degli organi.In ogni caso, tenuto inoltre conto della eterogeneità degli enti di diritto privato sui quali le amministrazioni esercitano forme di controllo, rientra tra le competenze di ciascuna amministrazione individuare quali fattispecie non siano riconducibili alla categoria “enti di diritto privato in controllo dell’amministrazione”, di cui all’art. 22, c. 1, lett. c), del d.lgs. n. 33/2013, dandone adeguata motivazione”.

I tre requisiti richiesti dall’art. 22, c. 1, lett. a), del Dlgs. n. 33/13, ossia enti pubblici, comunque denominati, “istituiti”, “vigilati” e “finanziati” dalla Amministrazione, sono da intendersi come alternativi e non cumulativi fra di loro. Ad esempio, è prevista la pubblicazione dei dati relativi agli enti pubblici vigilati sebbene non finanziati dalle amministrazioni.

Sotto il profilo oggettivo, sempre relativamente alla “Trasparenza”, l’art. 24-bis,  del Dl. n. 90/14 così come inserito dalla Legge di conversione n. 114/14 (con decorrenza dal 19.08.2014) ha modificato l’art. 11 del Dlgs. n. 33/13, la cui attuale versione prevede che la medesima disciplina prevista per le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del Dlgs. n. 165/01, si applichi anche:

a)    agli Enti di diritto pubblico non territoriali nazionali, regionali o locali, comunque denominati, istituiti, vigilati, finanziati dalla Pubblica Amministrazione che conferisce l’incarico, ovvero i cui amministratori siano da questa nominati;

b)   limitatamente all’attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell’Unione europea, agli Enti di diritto privato in controllo pubblico, ossia alle Società e agli altri Enti di diritto privato che esercitano funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pubblici, sottoposti a controllo ai sensi dell’art. 2359 Cc. da parte di Pubbliche Amministrazioni, oppure agli Enti nei quali siano riconosciuti alle Pubbliche Amministrazioni, anche in assenza di una partecipazione azionaria, poteri di nomina dei vertici o dei componenti degli Organi.

La versione precedente prevedeva invece che alle Società partecipate dalle P.A. di cui all’art. 1, comma 2, del Dlgs. n. 165/01 e alle Società da esse controllate ai sensi dell’art. 2359 Cc. si applicassero, limitatamente alla attività di pubblico interesse, solo le disposizioni dell’art. 1, commi da 15 a 33, della Legge n. 190/12.

Nell’attuale versione è stato previsto che le disposizioni dell’art. 1, commi da 15 a 33, della Legge n. 190/12 si applicano – sempre limitatamente all’attività di pubblico interesse – alle Società partecipate dalle P.A. di cui all’art. 1, comma 2, del Dlgs. n. 165/01, in caso di partecipazione non maggioritaria.

Pertanto, a partire dal 19 agosto 2014, le Società interamente partecipate dagli Enti locali sono tenute ad applicare la medesima disciplina – in materia di trasparenza – prevista per l’Ente controllante e ad implementare le informazioni già pubblicate entro il 31/12/2013 ai sensi della griglia di rilevazione allegata alla Delibera Civit n. 77 del 12 dicembre 2013.

Il “Piano triennale della Trasparenza e Integrità”, sia nella forma “autonoma” sia nella forma alternativa di sezione integrata nel “Piano di prevenzione della Corruzione”, deve essere delineato coordinando gli adempimenti relativi agli obblighi di trasparenza previsti nel Dlgs. n. 33/13 con le aree di rischio, in modo da capitalizzare gli adempimenti posti in essere, nei termini espressi dal “P.n.A”. In realtà per i soggetti giuridici diversi dalla P.A., non è previsto un obbligo espresso di redigere detti “Piani” in materia di “Trasparenza” e pertanto, dato che come sopra osservato, le previsioni del “P.n.A.” sono applicabili solo per le parti in cui tali soggetti sono espressamente indicati come destinatari, è possibile concludere che la redazione di un“Piano triennale della trasparenza e integrità” rientra unicamente tra le possibili modalità organizzative con cui Enti privati/Società assoggettate alla disciplina in tema di “Anticorruzione”, possono darsi delle regole per far fronte all’obbligo di pubblicare le informazioni richieste dalla normativa.

Definito il perimetro di riferimento in materia di “Anticorruzione” e “Trasparenza”, sia dal lato soggettivo che oggettivo, che vede incluse nei termini e con le scadenze sopra riportateanche leSocietà partecipate, le Aziende speciali e le Fondazioni, passiamo adesso esaminare le principali novità introdotte nel 2014.

Tra queste assumono particolare importanza gli art. 1 e 8 del “Regolamento in materia di esercizio del potere sanzionatorio dell’Autorità Nazionale Anticorruzione per l’omessa adozione dei Piani triennali di prevenzione della corruzione, dei Programmi triennali di trasparenza, dei Codici dì comportamento”, approvato dall’Anac. il 9 settembre 2014.  Si tratta di misure che, “calmierate” alla luce del principio contenuto nel “P.n.A.”, in base al quale le previsioni in esso contenute sono applicabili ad Enti privati/Società partecipatesoloper le parti in cui tali soggetti sono espressamente indicati come destinatari, rendono efficace il sistema sanzionatorio introdotto dal Dl. n. 90/14 e imprescindibile conformarsi alla disciplina in materia di “Anticorruzione” e “Trasparenza”.

In generale detto Regolamento delinea il sistema sanzionatorio correlato all’accertamento  di comportamenti configurabili come ipotesi di omessa adozione dei provvedimenti di prevenzione della corruzione che la legislazione vigente prevede come obbligatori, segnatamente il “Piano di prevenzione della Corruzione” di cui all’art. 1, comma 8, della Legge 6 novembre 2012, n. 190, il “Programma triennale per la trasparenza e l’integrità” (Ptti) di cui all’articolo 10 del Dlgs. n. 33/13, il Codice di comportamento di cui all’articolo 54, comma 5, del D.lgs. n. 165/01, come sostituito dall’articolo 1, comma 44, della più volte citata Legge n. 190/12.

L’art. 1, alla lett. “g)”,  definisce poi le situazioni “equivalenti” all’omessa adozione che fanno scattare le conseguenze sanzionatorie sopra indicate, individuandoli nei seguenti:

a) l’approvazione di un provvedimento puramente ricognitivo di misure, in materia di anticorruzione, in materia di adempimento degli obblighi di pubblicità ovvero in materia di “Codice di comportamento di amministrazione”;

b) l’approvazione di un provvedimento il cui contenuto riproduca in modo integrale analoghi provvedimenti adottati da altre amministrazioni, privo di misure specifiche introdotte in relazione alle esigenze dell’amministrazione interessata;

c) l’approvazione di un provvedimento privo di misure per la prevenzione del rischio nei settori più esposti, privo di misure concrete di attuazione degli obblighi di pubblicazione di cui alla disciplina vigente, meramente riproduttivo del Codice di comportamento emanato con il Decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62.

L’art. 8,intitolato “Quantificazione della sanzione”, stabilisce a sua volta i criteri con cui viene determinato l’importo delle sanzioni comminabili a seguito dell’accertata “omissione” nei termini sopra descritti. Nello specifico, l’importo delle sanzioni, nel limiti minimo di Euro 1.000 e massimo di Euro 10.000 stabiliti dall’art. 19, comma 5, lett. b), del Dl. n. 90/14[3], applicabili dall’Anac., viene individuata in rapporto:

a)  la gravità dell’infrazione, anche tenuto conto del grado di partecipazione dell’interessato al comportamento omissivo;

b)  la rilevanza degli adempimenti omessi, anche in relazione alla dimensione organizzativa dell’amministrazione e al grado di esposizione dell’amministrazione, o di sue attività, al rischio di corruzione;

c)  la contestuale omissione di più di uno dei provvedimenti obbligatori di cui Regolamento in esame;

d)  l’eventuale reiterazione di comportamenti analoghi a quelli contestati;

e)  l’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o l’attenuazione delle conseguenze dell’infrazione contestata.

Dal contesto sopra illustrato, emerge pertanto la necessità di adottare “Piani della prevenzione della corruzione e della Trasparenza”, calibrati sulla reale organizzazione dell’Ente privato/Società, redatti secondo le metodologie di “risk management” utilizzabili per la redazione di “Modelli Organizzativi” ex Dlgs. n. 231/01, in conformità alle indicazioni contenute nel più volte citato “P.n.A.” e nei suoi allegati.

di Edoardo Rivola, Federica Giglioli, Alessia Rinaldi

 

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[1] Il termine originario, ai sensi dell’art. 1, comma 14, della Legge n. 190 del 2012, previsto entro il 15 dicembre di ogni anno, è stato spostata al 31 con comunicazione Anac  del 25 novembre 2014.

[2]Faq Anac sulla Trasparenza e l’Integrità.

[3] Art 19 comma 5 Dl. n. 90/14: In aggiunta ai compiti di cui al comma 2, l’Autorità nazionale anticorruzione:

a) riceve notizie e segnalazioni di illeciti, anche nelle forme di cui all’articolo 54-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165; a-bis) riceve notizie e segnalazioni da ciascun avvocato dello Stato il quale, nell’esercizio delle funzioni di cui all’articolo 13 del testo unico di cui al regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, venga a conoscenza di violazioni di disposizioni di legge o di regolamento o di altre anomalie o irregolarità relative ai contratti che rientrano nella disciplina del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163. Per gli avvocati dello Stato segnalanti resta fermo l’obbligo di denuncia di cui all’articolo 331 del codice di procedura penale;b) salvo che il fatto costituisca reato, applica, nel rispetto delle norme previste dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, una sanzione amministrativa non inferiore nel minimo a euro 1.000 e non superiore nel massimo a euro 10.000, nel caso in cui il soggetto obbligato ometta l’adozione dei piani triennali di prevenzione della corruzione, dei programmi triennali di trasparenza o dei codici di comportamento.

 

 

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