30/09/2020 – Urbanistica. Provvedimenti sanzionatori degli abusi edilizi

Urbanistica. Provvedimenti sanzionatori degli abusi edilizi
Pubblicato: 30 Settembre 2020
TAR Campania (NA) Sez. IV n. 3110 del 15 luglio 2020

Il procedimento di repressione degli abusi edilizi non è caratterizzato da termini perentori e il potere repressivo da parte del Comune non si consuma al decorrere del termine di conclusione del procedimento ex art. 2 della 1egge n. 241/1990. Il provvedimento di demolizione di una costruzione abusiva, al pari di tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né, ancora, alcuna motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare, e non potendo l’interessato dolersi del fatto che l’Amministrazione non abbia emanato in data antecedente i dovuti atti repressivi.

Pubblicato il 15/07/2020

N. 03110/2020 REG.PROV.COLL.

N. 03889/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3889 del 2014, proposto da

-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Riccardo Satta Flores, domiciliato in via digitale come da pubblici registri e domicilio fisico eletto presso il suo studio in Napoli, via G. Orsini n.5;

contro

Comune di Napoli in persona del Sindaco pro tempore, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Barbara Accattatis Chalons D’Oranges, Antonio Andreottola, Bruno Crimaldi, Annalisa Cuomo, Fabio Maria Ferrari, Giacomo Pizza, Anna Pulcini, Bruno Ricci, Eleonora Carpentieri, Anna Ivana Furnari, Gabriele Romano e Andrea Camarda, domiciliato in via digitale come da pubblici registri e domicilio fisico in Napoli, piazza Municipio;

per l’annullamento

– della disposizione dirigenziale del Comune di Napoli n.57/a del 2014 notificata il 28.4.14 recante diffida a demolire opere edilizie;

– di ogni altro atto alla stessa preordinato, presupposto, connesso e conseguente, ivi compresi, se e per quanto occorra, il verbale di sopralluogo n. 40941/8772/ED del 15.5.2010 e quello del 23.11.2013, richiamati nel medesimo provvedimento,

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Napoli in persona del Sindaco pro tempore e di Comune di Napoli;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza smaltimento del giorno 24 giugno 2020 – calendarizzata in attuazione del Piano di riduzione dell’arretrato approvato dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa in applicazione dell’art. 16 delle norme di attuazione del c.p.a., la causa è stata trattenuta in decisione – il dott. Fabrizio D’Alessandri e trattenuta la causa in decisione ai sensi dell’art. 84, comma 5, del d.l. 17.3.2020 n. 18, convertito in legge 24.4.2020 n. 27 e dell’art. 5 del Decreto Presidenziale n. 22/2020/SEDE;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Il Comune di Napoli, con Disposizione Dirigenziale n. 57/A del 24-3-2014, dava atto che a con verbale di sopralluogo redatto dagli agenti di polizia municipale dell’ U.O.S.A.E. n. 40941/ 8772/ED del 15-05-2010, era stata rilevata la presenza di alcune opere eseguite senza il prescritto permesso di costruire e che, a seguito di ulteriore sopralluogo eseguito in data 23.11.2013, era stato accertato che effettivamente alcune di quelle opere (e in particolare quelle di cui ai punti “1-4-6-7”) erano state in parte demolite ed in parte sanate, con il permesso a costruire in sanatoria n. 386 del 20.09.2010.

La medesima Disposizione Dirigenziale rilevava, tuttavia, che per altre opere, ancora in essere, non risultava rilasciato alcun titolo edilizio e in particolare:

– su parte del terrazzo al primo livello, lato campi tennis: manufatto in muratura e copertura in lamiere termoisolanti di dimensioni mt. 15.00 x 5,40 x 2.70 di H. con antistante pensilina in ferro di mt. 9,00 x 1,00;

– in aderenza alla ringhiera del terrazzo: struttura scheletrica in ferro e muratura a sostegno cavi di ferro su cui scorrono tende solari, il tutto a copertura di superficie di mt. 18,00 x 16.00;

– in prosieguo al terrazzo lato mare: terrazzo sopraelevato di circa mq. 200 con sottostanti n. 3 locali, rispettivamente, bar, deposito e alloggiamento impianti tecnici con fuoriuscita di n. 3 canne fumarie.

La Disposizione Dirigenziale in questione rilevava, altresì, che le suddette opere insistono su suolo di proprietà demaniale e diffidava il Circolo “Canottieri Napoli”, in persona dell’amministratore pro-tempore, a ripristinare lo stato dei luoghi entro 15 (quindici) giorni dalla data di notifica, ordinando in difetto la demolizione in danno.

Parte ricorrente ha impugnato la suindicata Disposizione Dirigenziale, nonché ogni altro atto preordinato, connesso o consequenziale, chiedendone l’annullamento, previa sospensione, per i seguenti rubricati motivi:

1) Violazione degli artt. 2 e 3 della l. 7-8-1990 n. 241 – violazione e falsa applicazione dell’art. 35 del d.p.r. n. 380/2001 — eccesso di potere per violazione del giusto procedimento — carenza assoluta di motivazione – difetto di pubblico interesse — manifesta ingiustizia – violazione dei principi generali in materia di affidamento del privato nonche’ di certezza delle situazioni giuridiche — violazione dell’art. 97 cost.

2) In via subordinata: violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 35 del d.p.r. n. 380/2001 — eccesso di potere per carenza ed erroneità dei presupposti di fatto e di diritto — difetto d’istruttoria.

Si è costituito in giudizio il Comune intimato, resistendo al ricorso e formulando argomentazioni difensive.

DIRITTO

1) Il ricorso si palesa infondato.

2) Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente lamenta che il provvedimento sanzionatorio è stato adottato da parte del Comune a circa quattro anni dall’inoltro della comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 1. n. 24171990, in violazione dei termini di conclusione del procedimento ex art. 2 della 1. n. 241/1990. Parte ricorrente deduce, altresì, che la demolizione è stata ordinata a notevole distanza di tempo dalla commissione degli abusi e senza alcuna motivazione in ordine all’esistenza di una ragione di interesse pubblico all’adozione del provvedimento sanzionatorio.

Il motivo è infondato.

Il procedimento di repressione degli abusi edilizi non è caratterizzato da termini perentori e il potere repressivo da parte del Comune non si consuma al decorrere del termine di conclusione del procedimento ex art. 2 della 1egge n. 241/1990.

Inoltre, il Collegio ribadisce l’orientamento secondo cui il provvedimento di demolizione di una costruzione abusiva, al pari di tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né, ancora, alcuna motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare (Cons. Stato, Sez. VI, 21 ottobre 2013, n. 5088; Cons. Stato, Sez. VI, 4 ottobre 2013, n. 4907), e non potendo l’interessato dolersi del fatto che l’Amministrazione non abbia emanato in data antecedente i dovuti atti repressivi (Cons. Stato, VI, 31 maggio 2013, n. 3010; Cons. Stato, VI, 11 maggio 2011, n. 2781).

In particolare, nel caso di abusi edilizi vi è un soggetto che pone in essere un comportamento contrastante con le prescrizioni dell’ordinamento, confidando nell’omissione dei controlli o comunque nella persistente inerzia dell’amministrazione nell’esercizio del potere di vigilanza. In questi casi il fattore tempo non agisce qui in sinergia con l’apparente legittimità dell’azione amministrativa favorevole, a tutela di un’aspettativa conforme alle statuizioni amministrative pregresse (Cons. Stato, Sez. VI, 21 ottobre 2013, n. 5088; Cons. Stato, Sez. VI, 4 ottobre 2013, n. 4907; Cons. Stato, IV, 4 maggio 2012, n. 2592).

Al riguardo il Collegio rileva come di affidamento meritevole di tutela si possa parlare solo ove il privato, il quale abbia correttamente ed in senso compiuto reso nota la propria posizione all’Amministrazione, venga indotto da un provvedimento della stessa Amministrazione a ritenere come legittimo il suo operato, non già nel caso, come quello di specie, in cui si commetta un illecito a tutta insaputa della stessa (Cons. Stato, Sez. IV, 15 settembre 2009, n. 5509).

Tale orientamento ha, peraltro, ormai trovato l’autorevole avallo dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato secondo la quale il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino (Cons. Stato, Ad. Plen., 17 ottobre 2017 n. 9).

3) Con il secondo motivo di ricorso parte ricorrente deduce l’insussistenza dei presupposti per potersi far luogo alla sanzione irrogata, in quanto le opere sarebbero state realizzate su area demaniale, in un’epoca nella quale non era necessario munirsi di titolo autorizzatorio. L’obbligo di ottenere la licenza edilizia (poi divenuta concessione edilizia ed infine permesso di costruire) per la realizzazione di nuove costruzioni è stato introdotto dall’art. 31 della 1. n. 1150/1942. Tale norma, tuttavia, nella sua formulazione originaria non riguardava le opere da costruirsi da privati su aree demaniali, per le quali il detto obbligo sarebbe stato introdotto solo a far tempo dall’entrata in vigore della 1. n. 765/1967, il cui art. 10 avrebbe riformulato in tal senso l’indicato art. 31. Nel caso in esame non sarebbe revocabile in dubbio che le opere in discussione costituiscono pertinenze dell’edificio principale, coeve a questo, e comunque certamente realizzate anteriormente all’entrata in vigore della 1. n. 765/1967, come indicato nella perizia tecnica di parte depositata dal ricorrente.

La medesima parte ricorrente evidenzia, infine, in punto di fatto come il manufatto in muratura e copertura in lamiere termoisolanti, consista in un “ripostiglio esistente da sempre, interessato qualche anno fa da lavori di ordinaria manutenzione”, e che, per quanto riguarda la struttura scheletrica in ferro consiste in un ordine di pilastrini metallici e cavi, utilizzati da tempo immemorabile, nella stagione estiva, a sostegno di tende solari scorrevoli, e quindi opere che per loro natura dell’opera ed atteso il loro carattere di precarietà e rimovibilità, non richiedevano il permesso di costruire.

Il motivo è infondato.

Il Collegio rileva che parte ricorrente non ha apportato, in punto di fatto, elementi decisivi per comprovare che le opere in questione sino antecedenti all’entrata in vigore della legge n. 765/1967, non ritenendo sufficiente, a tal fine, quanto indicato nella perizia di parte depositato. Al riguardo è, peraltro, indubbio che l’onere di fornire la prova dell’epoca di realizzazione di un abuso edilizio incombe sull’interessato, e non sull’Amministrazione, la quale, in presenza di un’opera edilizia non assistita da un titolo che la legittimi, ha solo il potere-dovere di sanzionarla ai sensi di legge e di adottare, ove ricorrano i presupposti, il provvedimento di demolizione (T.A.R. Campania Napoli, Sez. II, 27 novembre 2014 n. 6118; Consiglio di Stato, sez. IV, 14 febbraio 2012, n. 703; T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII, 2 luglio 2010, n. 16569).

In ogni caso sul punto, in punto di diritto, è dirimente la circostanza che per tutto il territorio del Comune di Napoli, la necessità del titolo abilitativo edilizio per l’esercizio dello ius edificandi risale al 1935 in forza di regolamento edilizio, ovverosia ben prima della legge n. 765/1967.

Il Comune di Napoli, difatti, già prima del 1942, pur in assenza di una norma primaria che imponesse ai proprietari di munirsi di titolo abilitativo per effettuare interventi edificatori, aveva adottato un regolamento edilizio, approvato appunto nel 1935, con cui aveva previsto l’obbligo di munirsi di licenza edilizia per gli interventi da effettuarsi sull’intero territorio comunale (T.A.R. Campania Napoli, Sez. IV, 18/12/2013 n.5853; T.A.R. Campania Napoli, Sez. IV, 27/11/2013 n. 5419; T.A.R. Campania Napoli, Sez. IV, n. 2051/2010; T.A.R. Campania Napoli, Sez. IV, 11362/2010; T.A.R.. Campania Napoli, Sez. IV, 4/11/2009 n.6879).

L’art. 1 del regolamento edilizio del 1935 aveva stabilito, difatti, al comma 2, che nel territorio del Comune di Napoli, non era permesso eseguire, senza licenza del Sindaco, e con modalità diverse da quelle stabilite: a) costruzione di nuovi edifici, sopralzi od ampliamenti di quelli esistenti; b) demolizione, ricostruzione parziale o totale, modifica, trasformazione o restauro di edifici esistenti; c) spostamento o rimozione di elementi di fabbricato di altre cose e materie che abbiano comunque carattere storico, archeologico, artistico od anche semplicemente panoramico, e che siano esposti alla vista del pubblico; d) restauro, decorazione o attintatura delle facciate dei fabbricati rivolte alla strada pubblica o comunque visibili da strade giardini, o spazi pubblici; e) apposizione sulle facciate esterne dei fabbricati, o impianto, comunque in vista del pubblico, di fanali insegne ecc….f) esecuzione di scavi od opere sotterranee in genere; g) qualunque altra opera che possa interessare lo sviluppo, l’igiene e l’estetica della Città in relazione al contenuto del regolamento.

Tale normativa non faceva peraltro eccezioni nel caso di terreni demaniali e, comunque, la realizzazione di opere su suolo demaniale senza permesso dell’Ente titolare si connota in termini di ancora maggiore gravità, nel giustificare la demolizione.

Quanto alla natura delle opere il Collegio ritiene che le stesse siano assoggettate al regime del permesso di costruire e, in particolare, il manufatto in muratura in quanto realizzante volumetria e la struttura in ferro in quanto non ne è stata dimostrata né la scarsa consistenza dimensionale, né il carattere di precarietà e rimovibilità. Inoltre, nel vagliare un intervento edilizio consistente in una pluralità di opere, come qui accaduto, deve comunque operarsi una valutazione globale delle stesse, atteso che “la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprendere l’effettiva portata dell’operazione” (cfr. in tal senso, T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 03 dicembre 2010 , n. 26787; T.A.R Campania, Napoli, sezione VI, 16 aprile 2010, n. 1993; 25 febbraio 2010, n. 1155; 9 novembre 2009, n. 7053; T.A.R. Lombardia, Milano, sezione II, 11 marzo 2010, n. 584). In ogni caso, infatti, l’insieme degli interventi realizzati hanno comportato modifiche rilevanti dal punto di vista edilizi e necessitavano il permesso di costruire, senza che possa assumere nemmeno in teoria rilevanza la possibile esistenza di interventi minori che, presi singolarmente, potrebbero non necessitare del permesso di titolo abilitativo edilizio.

4) Per quanto indicato il ricorso deve essere rigettato.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna parte ricorrente al pagamento, in favore dell’Amministrazione resistente, delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi euro 1.500,00 oltre accessori se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 24 giugno 2020, tenutasi con collegamento da remoto in videoconferenza tramite Microsoft Teams (piattaforma in uso presso la Giustizia amministrativa, ai sensi dell’art 3, comma 2, dell’Allegato 3 al d.P.C.S. N. 134/2020), ai sensi dell’art. 84, comma 6, del d.l. n. 18/2020, convertito dalla l. n. 27/2020, e del Decreto Presidenziale n. 22/2020/Sede, con l’intervento dei magistrati:

Angelo Scafuri, Presidente

Ida Raiola, Consigliere

Fabrizio D’Alessandri, Consigliere, Estensore

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