30/09/2020 – Urbanistica. Giudicato penale e titolo abilitativo edilizio

Urbanistica. Giudicato penale e titolo abilitativo edilizio
Pubblicato: 29 Settembre 2020
TAR Lazio (RM) Sez. IIquater n. 8101 del 15 luglio 2020

La sentenza di assoluzione di un precedente titolare del bene da parte del giudice penale, secondo cui l’opera non avrebbe richiesto un titolo abilitativo o autorizzazione paesaggistica, in quanto di modeste dimensioni, e comunque risalente nel tempo, non vincola il giudice amministrativo. Il giudicato penale non è invocabile se non da parte della persona nei cui confronti si è formato, e con riguardo alla sola sussistenza materiale dei fatti che il giudice penale abbia accertato, come stabilisce l’art. 654 c.p.p.. L’attuale confluenza in un unico procedimento autorizzatorio dei profili edilizi e urbanistici legati alla realizzazione degli impianti (art. 87 d.lgs. n. 259 del 2003) non significa che la compatibilità di essi con la disciplina propria del territorio sia stata cancellata, ma, piuttosto, che essa andrà valutata in quella sola sede, con divieto di esigere, oltre a ciò, un distinto permesso di costruire (segnalazione e massima O. Romano)

Pubblicato il 15/07/2020

N. 08101/2020 REG.PROV.COLL.

N. 13969/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 13969 del 2019, proposto da

Radio Ies S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Domenico Siciliano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via A. Gramsci 14;

contro

Comune di Rocca di Papa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Gianluca Piccinni, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via G. G. Belli, 39;

nei confronti

Radio Italia S.p.A. non costituito in giudizio;

per l’annullamento

-dell’ordinanza n. 80 prot. 22049del 16agosto 2019, notificata via P.E.C., con cui l’Amministrazione ha ingiunto, tra gli altri, alla ricorrente, quest’ultima in qualità di emittente che trasmette dai manufatti Box 2–2/A e Tralicci E ed F, “di demolire -ENTRO NOVANTA GIORNI -dalla data di notifica del presente provvedimento, senza pregiudizio delle sanzioni penali, le seguenti opere abusive realizzazione di: n°3manufattiin ferro su base in cemento “Box 2-2/A-Box 3 -3/A e Box 4 -4/A” delle seguenti dimensioni:(BOX 2) 6,50×2,00mt x h media 2,00mt;(BOX 2/A) 0,60×0,60 mt x h 2,00 mt; (BOX 3) 4,00×4,00 mt x h media 5,00 mt; (BOX 3/A) 2,50×2,00 mt x h –2–media 2,00 mt; ( BOX 4) 4,00×2,00 mt x h media 2,20 mt; (BOX 4/A) 1,60×0,60 mt x h 2,00 mt, e n. 5 tralicci metallici su base in cemento sul quale sono presenti parabole e varie antenne “tralicci E e F, tralicci G e H e traliccio I”, delle seguenti dimensioni : (traliccio E e F) struttura metallica di altezza mt. 15,00; (traliccio G), struttura metallica mt. 2,50×2,00 x altezza mt. 40,00; (traliccio H) struttura metallica di altezza mt. 12,00; (traliccio I) struttura metallica di altezza mt. 25,00, il tutto su area privata distinta in catasto al foglio 10 particella386”;

-di ogni altro atto connesso, presupposto o consequenziale;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Rocca di Papa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 luglio 2020 il dott. Marco Bignami e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale, nelle forme previste dall’art. 4 del dl 28/20 convertito dalla legge 70/20

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con ricorso ritualmente notificato e depositato parte ricorrente, che esercita attività di radiodiffusione, ha impugnato gli atti indicati in epigrafe, chiedendone l’annullamento.

Con essi, il Comune ha ordinato la demolizione di manufatti necessari alla trasmissione del segnale, costituiti per lo più da “tralicci metallici in base di cemento armato sui quali sono presenti parabole e varie antenne”.

A fondamento degli atti, l’amministrazione ha posto la natura abusiva di essi sul piano edilizio, ambientale ed urbanistico. Le opere, che sorgono in zona soggetta a vincolo paesaggistico e sismico, non sono state infatti assentite dal necessario permesso di costruire, né precedute dalla autorizzazione paesaggistica e dal nulla osta concernente il profilo sismico.

Il ricorso è manifestamente infondato, sicché, per ragioni di economia processuale, ne può essere affrontato il merito, senza soffermarsi sul profilo di inammissibilità dedotto in causa dal Comune.

Fattispecie del tutto analoghe sono infatti già state decise ripetutamente, sia da questo Tribunale, sia dal Consiglio di Stato, nel senso della infondatezza dei ricorsi (CDS. sez. VI, n. 956/19; Tar Lazio, sez. II quater, nn. 9036 del 2017 e 6294 del 2016; id. sez. II ter, 11402 del 2014).

Anche tali casi si riferiscono a tralicci che fungono da base per antenne, realizzati illo tempore (in particolare, la più recente tra le pronunce appena menzionate ha modo di precisare che la fattispecie concerneva la realizzazione di un traliccio di tale natura, risalente al 1976, ovvero persino anteriore alla data dei manufatti per cui è oggi causa: CDS cit.).

Va premesso che l’abusività dell’opera è palese anche nel caso odierno.

È pacifico, infatti, che essa non sia assistita da autorizzazione paesistica e nulla osta per la sismicità, nonostante questo Tribunale (sentenza n. 9036/17 cit.) abbia già posto in luce che il vincolo paesaggistico risale al DM 24 aprile 1954, certamente anteriore alla realizzazione del traliccio, e quello sismico all’aprile del 1976. Né vi è contestazione da parte della ricorrente in ordine alla insistenza sul luogo anche del vincolo idrogeologico.

È ovvio che tali autonomi profili sarebbero sufficienti a sorreggere gli atti impugnati, anche se non sussistesse l’ulteriore carenza del titolo edilizio.

Ma, anche per tale verso, parte ricorrente si limita a richiamare l’autorizzazione n. 20 del 1995 del Comune, che consente il potenziamento di un impianto fino alla realizzazione di un progetto definitivo, con obbligo del gestore di rimuoverlo “su semplice richiesta dell’amministrazione”. È evidente che tale atto, quand’anche riferibile all’impianto per cui è causa, non abbia i requisiti né di forma, né di sostanza propri del permesso di costruire.

Alla abusività dell’opera consegue, secondo ormai pacifica giurisprudenza (CDS, Ad. Plen. n. 9 del 2017), l’adozione di un atto dovuto e a contenuto vincolato da parte della amministrazione, che ha l’obbligo di reprimere l’illecito, senza dover offrire altra motivazione che ecceda la descrizione dei luoghi, anche a fronte di fatti risalenti nel tempo

Da tali premesse viene l’infondatezza di tutti i motivi di ricorso:

1-con il primo di essi, si afferma che l’opera non avrebbe richiesto titolo abilitativo o autorizzazione paesaggistica, in quanto di modeste dimensioni, e comunque risalente nel tempo. A tale scopo viene esibita una sentenza del Tribunale penale di Roma, che nel 1989 ha assolto un imputato, per avere realizzato, a dire della ricorrente, proprio le opere abusive in questione, sia perché esse non avrebbero richiesto titolo abilitativo, sia dal reato punito dall’art. 734 cod. pen. (distruzione o deturpamento di bellezze naturali).

Il Tribunale osserva, anzitutto, che il giudicato penale non è invocabile se non da parte della persona nei cui confronti si è formato, e con riguardo alla sola sussistenza materiale dei fatti che il giudice penale abbia accertato, come stabilisce l’art. 654 c.p.p..

Nel caso di specie, esso non può pertanto vincolare questo giudice, con riguardo alla valutazione giuridica in ordine alla necessità di munirsi di concessione edilizia per la realizzazione dell’opera. Sul punto, deve invece ritenersi che la esecuzione di un traliccio su base in cemento armato, quale piattaforma delle antenne, opera una trasformazione permanente del suolo, tale che la licenza edilizia sarebbe stata necessaria anche negli anni ‘70 e ‘80 (la giurisprudenza amministrativa a quei tempi escludeva dalla necessità del titolo edilizio la sola installazione di antenne equiparabili a quelle casalinghe, CDS n. 594 del 1988, e comunque ancorate direttamente al suolo: CDS n. 642 del 1986).

Ciò comporta che la demolizione dell’opera è misura disposta legittimamente, in quanto essa deve ritenersi abusiva già in forza della normativa applicabile quando fu eseguita.

Ciò vale anche con riferimento alla inosservanza dei numerosi vincoli che l’atto impugnato elenca con adeguato dettaglio, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, con particolare riguardo ai già menzionati vincoli paesaggistico e sismico.

Anche in tal caso , e a maggior ragione, il giudicato penale non può esercitare alcuna influenza quanto alla incontestata assenza dell’autorizzazione paesaggistica e del nulla osta sismico. Difatti, l’art. 734 c.p. è reato di danno, e non di pericolo, sicché è ben possibile che esso non sussista in casi che, a fini preventivi, avrebbero invece richiesto in ogni caso tali autorizzazioni. Nell’ipotesi di specie, dimensioni e caratteristiche del traliccio e delle antenne sono tali, da costituire senza dubbio opera rilevante ai fini dell’autorizzazione, perché incidono sulla componente estetica-visiva del paesaggio.

Quanto, infine, alla necessità di munirsi sia del titolo edilizio, sia dell’autorizzazione paesaggistica e del nulla osta sismico, il Tribunale non ha ragione per discostarsi dalla risposta affermativa che la già citata sentenza 956/19 del CDS ha offerto, in analoga fattispecie. Del resto, va da sé, contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente, che l’attuale confluenza in un unico procedimento autorizzatorio dei profili edilizi e urbanistici legati alla realizzazione degli impianti (art. 87 d.lgs. n. 259 del 2003) non significa affatto che la compatibilità di essi con la disciplina propria del territorio sia stata cancellata, ma, piuttosto, che essa andrà valutata in quella sola sede, con divieto di esigere, oltre a ciò, un distinto permesso di costruire (Corte cost. n. 129 del 2006).

2-Con il secondo motivo, la ricorrente torna ad imputare al Comune, per il verso dell’eccesso di potere, di non avere preso in considerazione l’autorizzazione n. 20 del 1995. Il Tribunale ribadisce che essa non equivale al permesso di costruire, e, circostanza dirimente, non può surrogare l’autorizzazione paesaggistica e il nulla osta sismico. Non ha perciò importanza soffermarsi sull’ulteriore punto in contestazione, ovvero se l’atto del 1995 riguardasse anche l’impianto della ricorrente.

3- Con il terzo motivo, si afferma che gli atti impugnati interferiscono illegittimamente con l’assetto impresso dalla concessione ai fini della trasmissione, che impone la copertura del territorio con un segnale dal livello prestabilito e vincolante, al punto che la demolizione potrebbe compromettere lo svolgimento del servizio di pubblica utilità. Sarebbe inoltre imputabile al Comune il mancato reperimento di un sito alternativo dal quale trasmettere, secondo quanto indicato dalla Regione Lazio con delibera n. 492 del 2017. Da ciò la violazione dell’art. 87 del d.lgs. n. 259 del 2003 e l’eccesso di potere.

In senso contrario, il Tribunale aderisce a quanto già ritenuto sul punto da CDS n. 956 del 2019 cit.. Basti aggiungere che, in un ordinamento costituzionale ove non militano valori “tiranni” l’uno sull’altro, l’interesse all’esercizio del pubblico servizio non si sottrae al dovuto coordinamento con l’altrettanto vitale interesse all’armonico sviluppo del territorio, e alla preservazione di ambiente e paesaggio. Nel ricondurre a legalità l’assetto edilizio, urbanistico e ambientale, perciò, non vi è una incostituzionale compressione della libertà di iniziativa economica, ma piuttosto la necessaria premessa affinché essa sia esercitata in forma compatibile con l’utilità sociale (art. 41 Cost.). Quanto al diritto di manifestazione del pensiero, è ovvio che esso non equivale ad acquisire o mantenere la veste di concessionario, ove l’esercizio della concessione rompa la legalità ordinamentale.

Quindi, la circostanza che l’amministrazione non abbia rinvenuto un sito alternativo dal quale irradiare il segnale potrà rilevare ad altri fini, ma non certo elidere l’abusività delle opere.

Peraltro, il Tribunale auspica che il Comune rinvenga rapidamente un sito alternativo.

In conclusione il ricorso va rigettato, e le spese compensate, alla luce del lungo tempo trascorso dall’esecuzione del manufatto abusivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,

Rigetta il ricorso.

Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 luglio 2020 con l’intervento dei magistrati:

Donatella Scala, Presidente

Marco Bignami, Consigliere, Estensore

Roberta Mazzulla, Referendario

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