30/10/2020 – Una questione di quorum strutturale o funzionale

Una questione di quorum strutturale o funzionale
 
La prima sez. Brescia del T.A.R. Lombardia, con la sentenza 1° ottobre 2020 n. 680 nella sua chiara esposizione inquadra il funzionamento delle riunioni del Consiglio comunale nella corretta distinzione tra quorum “strutturale” e “funzionale” in relazione al computo degli astenuti per la determinazione della maggioranza dei votanti.
L’art. 38, «Consigli comunali e provinciali», comma 2, secondo periodo, del d.lgs. n. 267/2000 (TUEL), dopo aver definito una parte del contenuto minimo necessario del regolamento sul funzionamento dei consigli[1], stabilisce che tale fonte deve prevedere («indica») «il numero dei consiglieri necessario per la validità delle sedute, prevedendo che in ogni caso debba esservi la presenza di almeno un terzo dei consiglieri assegnati per legge all’ente, senza computare a tale fine il sindaco e il presidente della provincia».
La ratio della norma è quella di escludere il sindaco soltanto dal calcolo per la determinazione del numero minimo di componenti richiesti per rendere valida la seduta del Consiglio comunale, che non può scendere al di sotto del terzo dei consiglieri assegnati all’ente, lasciando per il resto alla discrezionalità organizzativa dell’Ente locale la fissazione del quorum strutturale di prima come di seconda convocazione, nonché le modalità ed i criteri per il suo calcolo.
Invero, l’esclusione del sindaco ai fini del quorum, vige non solo in relazione al numero legale minimo imposto alla fonte regolamentare ai fini della validità delle delibere, ma anche in tutti quei casi in cui, comunque, si tratti di determinare il numero dei consiglieri necessario per la validità delle sedute[2].
Da queste brevi osservazioni, si può già affermare che se sussiste una differenziazione di quorum strutturale tra la seduta di prima e seconda convocazione; in ogni caso, non si può scendere al di sotto della soglia minima definita dalla legge («almeno un terzo dei consiglieri assegnati», non presenti) in seconda convocazione, al di sotto di questa soglia, in base ad un principio di efficienza dell’organo collegiale, la funzionalità viene meno[3], dovendo affermare – in linea generale e di principio – che la mancanza del quorum strutturale di un organo collegiale, in assenza di specifiche disposizioni di legge o regolamentari, è causa di scioglimento di esso, in omaggio ai principi generali in materia di funzionamento degli organi collegiali (ex art. 141, comma 1, lettera b), numero 3)[4].
Il quorum strutturale è il numero legale o numero minimo di partecipanti necessario ai fini della validità della seduta e la sua mancanza comporta lo scioglimento della seduta.
Vero è che il difetto del numero legale determina non solo il vizio di legittimità della deliberazione assunta ma anche l’invalidità dell’intera seduta e degli atti conseguenti[5].
La disciplina dell’art. 38 del TUEL ha posto una duplice regola:
  • da un lato, si è individuata una riserva di competenza a favore della fonte locale regolamentare, cui si è assegnata la funzione di determinare il quorum costitutivo del Consiglio, nell’esercizio della potestà di autorganizzazione dell’organo;
  • dall’altro lato, si è predeterminato un contenuto parziale necessario di siffatto regolamento, costituito dal numero legale minimo di componenti necessari alla validità delle delibere consiliari (escludendo il sindaco dal computo).
Si aggiunga il quorum deliberativo: un quadro di sintesi del rapporto tra quorum e votazioni (maggioranze):
  1. il quorum legale (o formale) s’intende il totale dei membri assegnati al collegio, mentre i membri in carica si intende il quorum reale (ovvero, i componenti del collegio presenti in una determinata seduta)[6];
  2. il quorum strutturale indica il numero dei membri prescritti per la validità dell’adunanza (ossia, l’articolo 38, comma 2, secondo periodo del TUEL)[7], rilevando che il quorum strutturale non riguarda il solo momento di insediamento dell’assemblea, all’inizio della sua seduta, ma definisce un requisito che deve restare stabilmente presente anche in relazione alle singole deliberazioni, essendo funzionalmente subordinato alla operatività del collegio[8];
  3. il quorum funzionale rappresenta il numero minimo di voti richiesti affinché la proposta possa essere approvata[9]; detto anche a “maggioranza relativa”, dato dalla metà più uno dei componenti il collegio effettivamente partecipanti alla votazione, distinguendosi da quello detto a “maggioranza assoluta”, per il quale è necessario conseguire un numero di voti pari alla metà più uno di tutti i componenti il collegio, presenti o assenti, partecipanti, o non, alla votazione, nonché da quello detto a “maggioranza rafforzata”, costituito da un numero superiore a quello dato dalla metà più uno dei componenti il collegio[10];
  4. la maggioranza si considera “speciale” quando il numero di membri è superiore alla metà (ex 6, comma 4, primo periodo del d.lgs. n. 267/2000 «Gli statuti sono deliberati dai rispettivi consigli con il voto favorevole dei due terzi dei consiglieri assegnati»);
  5. la maggioranza assoluta, l’articolo 38, comma 2, primo periodo del TUEL richiede tale maggioranza per l’approvazione del regolamento del consiglio comunale, omettendo di precisare la composizione dei votanti;
  6. la maggioranza relativa o semplice (l’articolo 39, comma 1, primo periodo del TUEL, stabilisce che il presidente del consiglio è «eletto tra i consiglieri nella prima seduta del consiglio», senza precisare la maggioranza richiesta) è costituita dalla semplice prevalenza dei voti, qualunque sia il loro numero visto che non vi è rapporto né con il numero dei votanti né con il numero dei presenti (in assenza di un quorum prestabilito vige il principio della maggioranza semplice);
  7. colui che dichiara di astenersi fa quorum (per rendere legale la seduta) ma non va computato nei votanti (come si vedrà nel proseguo).
Dopo queste sommarie premesse e soffermandosi sul giudicato della sez. I del T.A.R. Brescia, la questione posta parte del seguente dato fattuale:
  • consiglieri presenti: 17;
  • favorevoli: 7;
  • astenuti: 10;
  • il verbale riportava l’esito della votazione come negativo, per non avere il provvedimento ottenuto la maggioranza dei voti favorevoli (17:2=8,5 arrotondamento superiore: 9)[11] dei consiglieri presenti e partecipanti 17.
L’ubi consistam, l’astenuto va o non va computato ai fini del quorum deliberativo.
I ricorrenti espongono l’illegittimità dell’esito della votazione, e di conseguenza la mancata approvazione dell’atto per la violazione della norma regolamentare disciplinante il numero legale per la validità delle deliberazioni: «gli astenuti non dovevano essere computati ai fini della determinazione del quorum deliberativo», donde ritenersi approvato l’atto dalla maggioranza dei votanti.
In termini diversi, l’astenuto è presente (consente di garantire il quorum strutturale per la validità della seduta) ma non si considera (rectius computa) per la validità della votazione (quorum funzionale per la votazione): gli astenuti, anche in assenza di una specifica previsione regolamentare, concorrano alla formazione del quorum strutturale, cioè alla formazione del numero minimo di consiglieri necessario per la validità della seduta, ma non a quello del quorum funzionale[12].
La difesa, diversamente opina ritenendo che la disciplina del quorum strutturale esclude dal computo dei presenti i consiglieri tenuti per legge ad astenersi: solo questi «vanno espunti dalla base di calcolo del quorum funzionale, dovendo diversamente l’astensione volontaria considerarsi come voto» (l’astenuto risulta un votante).
Il Tribunale accoglie il ricorso sulla base del dato letterale della disciplina regolamentare che dispone in merito:
  1. NUMERO LEGALE PER LA VALIDITÀ DELLE SEDUTE (c.d. quorum “strutturale”):
  • il consiglio comunale si riunisce validamente con la presenza di almeno un terzo dei consiglieri assegnati senza computare a tal fine il sindaco, salvo che sia richiesta una maggioranza speciale;
  • nella seduta di seconda convocazione è sufficiente, per la validità dell’adunanza, l’intervento di almeno quattro consiglieri;
  • non concorrono a determinare la validità dell’adunanza i consiglieri tenuti ad astenersi obbligatoriamente, coloro che escono dalla sala prima della votazione, gli assessori esterni.
  1. NUMERO DEI VOTANTI PER LA VALIDITÀ DELLE DELIBERAZIONI (c.d. quorum “funzionale”):
  • nessuna deliberazione è valida se non è approvata dalla maggioranza assoluta dei votanti, fatti salvi i casi in cui sia richiesta una maggioranza qualificata.
  • non si computano per determinare la maggioranza dei votanti:
    • coloro che si astengono;
    • coloro che escono dalla sala prima della votazione;
    • le schede bianche e quelle nulle.
In base al noto brocardo in claris non fit interpretatio la disciplina regolamentare dei lavori del Consiglio comunale prevede testualmente che gli «astenuti non si computano per determinare la maggioranza dei votanti»: un esercizio legittimo del potere ai sensi dell’articolo 38, comma 2 del d.lgs. 267/2000 che demanda al regolamento la disciplina del funzionamento dei Consigli, nel quadro dei principi stabiliti dallo Statuto.
In effetti, l’unico vincolo posto dalla legge statale riguarda il quorum strutturale: la norma dispone, infatti, che la fonte regolamentare deve indicare il numero dei consiglieri necessario per la validità delle sedute, prevedendo che – in ogni caso – debba esservi la presenza di almeno un terzo dei consiglieri assegnati per legge all’ente, senza computare a tale fine il sindaco.
Di conseguenza, nessun limite è posto, invece, da tale fonte con riferimento al quorum funzionale, la cui disciplina è integralmente rimessa all’autonomia degli Enti locali atteso che «non esiste alcun principio di matrice costituzionale, dal quale possa ricavarsi il corretto metodo di computo degli astenuti da parte di organi collegiali deliberanti»[13].
Si deve concludere, secondo la disciplina regolamentare, che gli astenuti non sono considerati votanti e non incidono, pertanto, sulla determinazione del quorum funzionale, ovvero sul numero dei voti favorevoli necessari per approvare una deliberazione.
A ben vedere l’astenuto non esprime né approvazione né disapprovazione rispetto alla proposta in votazione, la scelta di escluderlo dalla base di calcolo del quorum deliberativo mira ad assicurare all’astensione un valore diverso rispetto all’espressione del voto contrario, cui altrimenti sarebbe assimilata negli effetti.
A rafforzare il pronunciamento il richiamo al sistema di votazione della Camera dei deputati, dove all’art. 48 del regolamento, «dopo aver ribadito la formula costituzionale “maggioranza dei presenti”, afferma che sono considerati presenti solo coloro che esprimono voto favorevole o contrario. Formula giudicata dalla Corte costituzionale compatibile con la previsione costituzionale della “maggioranza dei presenti” di cui all’art. 64 cost. atteso che “dichiarare di astenersi ed assentarsi sono manifestazioni di volontà che si differenziano solo formalmente – come una dichiarazione espressa si differenzia da un comportamento concludente – ma che in realtà poi si accomunano grazie all’univocità del risultato cui entrambe mirano con piena consapevolezza, che è quello di non concorrere all’adozione dell’atto collegiale”. Se così è – aggiunge la Corte – “l’assemblea può stabilire in via generale ed astratta quale sia, ai fini del computo della maggioranza e, quindi, della validità delle deliberazioni, il valore dell’un modo o dell’altro di manifestare la volontà di non partecipazione alla votazione”»[14].
Si ricava il seguente principio interpretativo secondo il quale il voto favorevole della maggioranza di consiglieri presenti va considerato nel senso di coloro che intendono votare a favore o contrario, con l’effetto pratico che il consigliere che dichiari di astenersi dal voto (vota astensione) non va computato ai fini della maggioranza per l’approvazione delle deliberazioni consiliari (c.d. quorum funzionale): coloro che si sono astenuti vanno esclusi dal computo dei presenti votanti, atteso che l’astensione significa volontà di non partecipare alla discussione ed al voto.
 
 
[1] La normativa, di cui all’art. 38 del d.lgs. n. 267/2000, prevede un contenuto minimo obbligatorio del regolamento comunale sul funzionamento dell’organo consiliare, T.A.R. Piemonte, Torino, sez. II, 8 maggio 2020, n. 270.
[2] T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 22 giugno 2011, n. 1604.
[3] Cons. Stato, sez. V, 17 febbraio 2006, n. 640.
[4] T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 8 maggio 2007, n. 786.
[5] T.A.R. Piemonte, 16 ottobre 2004, n. 2470.
[6] Va chiarito che quando è richiesto un determinato numero di componenti per la validità della seduta, e questo numero coincide con il numero della totalità dei componenti, siamo in presenza di un “collegio perfetto”, con la conseguenza che le deliberazioni dell’organo stesso devono essere adottate in presenza di tutti i suoi componenti e, dall’altro, con un’espressione di voto che ne costituisca la maggioranza, T.A.R. Basilicata, 20 agosto 1999, n. 348; Cons. Stato, sez. IV, 22 febbraio 2001, n. 940. I collegi amministrativi perfetti debbono essere necessariamente composti da un numero sempre dispari di membri, onde assicurare la funzionalità del principio maggioritario, e a tale obbligo può in concreto derogarsi solo in presenza di una norma espressa che attribuisca, in caso di parità, al voto del presidente un valore ponderale diverso, Cons. Stato, sez. V, 6 aprile 2009, n. 2143; T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. II, 5 marzo 2010, n. 1122.
[7] È da annotare che la norma ha espunto dall’Ordinamento comunale il riferimento all’articolo 127 del T.U. del 1915 (Regio decreto 4 febbraio 1915, n. 148) dove si prevedeva che «I Consigli comunali non possono deliberare se non interviene la metà del numero dei consiglieri assegnati al Comune; però, alla seconda convocazione, che avrà luogo in altro giorno, le deliberazioni sono valide purché intervengano almeno quattro membri», norma abrogata ad opera dell’articolo 28, comma 4, della legge n. 265/1999 «Disposizioni in materia di autonomia e ordinamento degli enti locali, nonché modifiche alla L. 8 giugno 1990, n. 142».
[8] Il fatto che il Consiglio non possa qualificarsi come collegio perfetto, con conseguente possibilità di operare anche in assenza di alcuno fra i componenti, non fa venire meno la necessità di verificare la sussistenza del quorum strutturale per ciascuna deliberazione, T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 26 febbraio 2008, n. 174, idem Cons. Stato, sez. V, 11 maggio 2007, n. 2351.
[9] È noto che il collegio perfetto è un modello necessario soltanto per gli organi collegiali giurisdizionali, mentre per quelli amministrativi ben può essere previsto un quorum strutturale inferiore al plenum del collegio in relazione alla peculiarità della disciplina da dettare, Cons. Stato, sez. VI, 6 giugno 2011, n. 3363.
[10] T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, 18 dicembre 2007, n. 3453.
[11] Nei casi in cui il computo del quorum costitutivo o deliberativo previsto da norme di rango primario o secondario per la valida deliberazione di provvedimenti collegiali conduca all’individuazione di una cifra decimale, l’arrotondamento deve essere operato per eccesso all’unità superiore, dal momento che la soluzione contraria dell’arrotondamento per difetto all’unità inferiore, con il troncamento delle cifre decimali, ridurrebbe la soglia di maggioranza al di sotto di quella normativamente richiesta, T.A.R. Piemonte, sez. II, 15 novembre 2017, n. 1224. Va rilevato che il Consiglio può legittimamente fissare con proprio regolamento le regole sui criteri di arrotondamento dei quorum delle sedute del Consiglio stesso, Cons. Stato, sez. V, 5 settembre 2012, n. 4694.
[12] Cfr. l’art. 78, comma 2 del d.lgs. n. 267/2000, che impone agli amministratori l’astensione dal prendere parte alla discussione ed alla votazione di delibere riguardanti interessi propri o di loro parenti ed affini fino al quarto grado.
[13] T.A.R. Lazio, sez. I, 2 ottobre 2007, n. 9642, idem T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 22 marzo 2016, n. 3565.
[14] Cons. Stato, sez. IV, 7 giugno 2012, n. 3372.

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