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Urbanistica. Abuso in atti di ufficio e disciplina urbanistica
Pubblicato: 14 Ottobre 2020
Cass. Sez. III n.26834 del 28 settembre 2020 (CC 8 set 2020)

Riguardo al delitto di abuso di ufficio, l’interpretazione della nozione di “violazione di legge” come delineata dalla giurisprudenza è pienamente condivisibile anche nel mutato quadro normativo. Segnatamente, seguendo detta elaborazione giurisprudenziale deve ribadirsi che i piani urbanistici non rientrano nella categoria dei regolamenti, come ritenuto da risalente e superato orientamento giurisprudenziale, che nel mutato quadro normativo escluderebbe la fattispecie di abuso in atti di ufficio, ma in quella degli atti amministrativi generali la cui violazione, in conformità dell’indirizzo ermeneutico consolidato, rappresenta solo il presupposto di fatto della violazione della normativa legale in materia urbanistica (art. 12 e 13 del d.P.R. n. 380 del 2001), normativa a cui deve farsi riferimento, per ritenere concretata la “violazione di legge”, quale dato strutturale della fattispecie delittuosa ex art. 323 cod.pen. anche seguito della modifica normativa. Da cui la conferma della sussunzione del caso concreto nella fattispecie normativa di cui all’art. 323 cod.pen. ora vigente. Trattasi senza dubbio di norme specifiche e per le quali non residuano margini di discrezionalità laddove l’art. 12 cit. detta i requisiti di legittimità del permesso a costruire, e il successivo art 13 cit., detta la disciplina urbanistica che il dirigente del settore è tenuto a rispettare nel rilascio del permesso a costruire.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa in data 24 settembre 2019, il tribunale di Napoli ha respinto l’istanza di riesame, ex art. 309 cod.proc.pen., avverso l’ordinanza del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere con la quale era stata disposta, nei confronti di Barletta Giuseppe e Campolattano Antonio,  la misura degli arresti domiciliari (poi sostituita per Campolattano con la misura del divieto di dimora nella provincia di Caserta e dell’interdizione temporanea dall’esercizio dei pubblici uffici per la durata di anni uno), e per l’effetto ha confermato l’ordinanza medesima. Agli indagati, come da imputazione cautelare, sono contestati i reati di cui agli artt. 81, 110, 323 cod.pen. (capi 1, 4, 7) e di cui all’art. 479 cod.pen. (capo 11) aventi ad oggetto il rilascio di tre permessi a costruire – n. 965/2017 del 03/04/2017, n. 972/2017 del 30/06/2017 e n. 1009/2018 del 24/01/2018 – riguardanti interventi edilizi di edificazione di strutture e capannoni industriali a destinazione logistica o commerciale, insistenti dell’area dell’Interporto Sud Europa (d’ora in poi ISE).

1.1. La vicenda processuale, ben più ampia di quella oggi oggetto di valutazione, muove dall’indagine svolta dalla Guardia di Finanza di Caserta sull’Interporto Sud Europa, e, in particolare per quanto qui di rilievo, dal segmento di questa che concerne il rilascio di tre permessi a costruire da parte del pubblico ufficiale Spasiano Gennaro, Dirigente del III settore del Comune di Marcianise, per favorire Barletta Antonio, titolare di numerose società interessate all’edificazione nel sito e del suo uomo di fiducia Campolattano, rilascio frutto di un accordo collusivo integrante una condotta di abuso di atti di ufficio.

In particolare, secondo l’imputazione cautelare di cui all’art. 323 cod.pen. (capi 1, 4 e 7), agli indagati, in concorso con il pubblico ufficiale Spasiano Gennaro Dirigente del III settore del Comune di Marcianise, è contestata la condotta di abuso di atti di ufficio in relazione al rilascio dei tre permessi a costruire, avvenuto in violazione di legge e segnatamente perché emessi in assenza di piano particolareggiato tuttora vigente, atteso che il piano particolareggiato adottato il 2 aprile 1996, a seguito dell’Accordo di programma n. 14555 del 2006, determinante variante al piano regolatore generale, risultava inefficace dal 2006, per decorso del termine decennale di vigenza, e sul presupposto che la dichiarazione del Commissario Straordinario n. 230 del 2016, con la quale si sarebbe dovuto provvedere all’adeguamento della programmazione urbanistica particolareggiata, diversamente dalla sua effettiva natura di dichiarazione di scienza, avesse natura di provvedimento con il quale si era approvato il riassetto del piano particolareggiato, in realtà mai avvenuto, e, grazie alla condotta dello Spasiano, dirigente amministrativo di settore, di attestazione che la delibera commissiariale comportava il riassetto del piano particolareggiato e l’incremento di ettari di territorio da destinare ad area commerciale, sottoscrivendo tutti gli indagati la convenzione ex art. 28 bis del d.P.R. n. 380 del 2001, priva di approvazione da parte dell’organo consigliare e giustificando, lo Spasiano, l’emissione in forma semplificata del permesso a costruire che prevedeva l’esonero dal pagamento degli oneri di costruzione di cui all’art. 19 del d.P.R. n. 380 del 2001, senza alcuna giustificazione, così realizzava un ingiusto vantaggio patrimoniale in capo alle società del Barletta.

1.2. Alla luce della complessiva interpretazione non solo letterale, ma anche contenutistica e storica della Delibera del Commissario straordinario del Comune di Marcianise n. 230 del 03/06/2016, interpretazione su cui si appuntavano i rilievi difensivi a sostegno della legittimità dei permessi a costruire, nonché del portato delle dichiarazioni del Commissario dott.Repucci che aveva confermato di non avere mai adottato un atto di natura provvedimentale e di non essere entrato nella valutazione della proposta del Dirigente, che coinvolgeva rilevanti aspetti economici ed urbanistici del Comune di Marcianise, il Tribunale cautelare ha escluso la portata di autonoma determinazione dell’atto in questione, trattandosi di un “atto di indirizzo” che non avrebbe potuto modificare la programmazione urbanistica per il completamento dell’Interporto. Da ciò ha tratto l’ulteriore conseguenza che l’atto unilaterale di assunzione degli obblighi e la convenzione ex art. 28 bis del d.P.R. n. 380 del 2001, che dava atto che si trattava di dare esecuzione alla delibera del Commissario straordinario n. 230 del 2016, mai approvata dal Consiglio comunale, fondata sulla base di un presupposto non veritiero, quello dell’avvenuta approvazione della pianificazione urbanistica per il riassetto e completamento dell’interporto, integrava anche l’ulteriore imputazione di falso ideologico ex art. 479 cod.pen. (capo 11) per avere attestato falsamente, nella convenzione ex art. 28 bis del d.P.R. 380 del 2001, che vi era stata una riassunzione di conformità del PUT all’Accordo di programma, laddove la delibera del commissario del 2016 n. 230 non aveva valore provvedimentale bensì di mero indirizzo.

1.3. il Tribunale ha ritenuto sussistenti le esigenze cautelari di cui all’art. 274 comma 1 lett. c) cod.proc.pen., evidenziando la gravità delle condotte, la reiterazione di queste, la spregiudicatezza dimostrata dagli indagati, l’avere il Barletta precedenti penali specifici (condanna per corruzione) e, quanto al profilo dell’attualità, la circostanza che era in corso la pratica per il rilascio di un quarto permesso a costruire e quella per l’apertura di una grande struttura di vendita in un capannone di proprietà della società Leroy Merlin la quale era debitrice per parte del prezzo di acquisto del Barletta. Quanto al Campolattano rilevava, secondo il tribunale, l’essere l’uomo di fiducia del Barletta, la sopravvenuta cessazione delle cariche ricoperte in seno alle società del Barletta giustificava, invece, la misura di minor rigore applicata.

2. Per la cassazione dell’impugnata ordinanza il difensore degli indagati deduce tre motivi di ricorso.

2.1. Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 606 comma 1, lett. b), c) ed e) in relazione agli artt. 273, 274 e 292 cod.proc.pen. Mancanza di motivazione sulle note difensive e degli atti rilevanti per la decisione depositati nel processo principale di cui il presente costituisce stralcio ed erronea motivazione del tribunale laddove avrebbe ritenuto che i ricorrenti erano in grado di individuare il nuovo procedimento e che le note difensive depositate nell’altro procedimento non erano “memorie”. Con motivazione illogica e carente il tribunale avrebbe confermato la gravità indiziaria non avendo considerato che i permessi a costruire erano tutti conformi a legge e ai piani urbanistici e quindi assentibili a prescindere dalla Delibera n. 230 del 2016. Erroneamente, il tribunale, avrebbe ritenuto inesistente l’atto amministrativo presupposto costituito dall’atto deliberativo del Commissario del Comune di Marcianise n. 230 del 2016. Neppure sarebbe stato considerato che in data 01/09/2017 era stata sottoscritta, tra il Comune di Marcianise e la ISE spa una convenzione affinchè collegialmente venisse verificato l’adempimento dell’Accordo procedimentale ex art. 11 della legge n. 241 del 1990, convenzione conclusa dopo il rilascio di due permessi a costruire.

2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) cod.proc.pen. in relazione all’art. 323 cod.pen. e al reato di falso di cui all’art. 479 cod.pen. I permessi a costruire rilasciati dallo Spasiano non sarebbero illegittimi perché conformi al piano particolareggiato, da cui l’insussistenza della condotta materiale del reato di abuso di atti di ufficio. Si argomenta che i permessi a costruire sarebbero legittimi perché adottati sulla base del presupposto di cui all’art. 28 bis del d.P.R. n. 380 del 2001 e della nota Delibera n. 230 del 2016 che aveva disposto l’ultrattività del piano attuativo scaduto.

Sotto altro profilo, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità non potrebbe configurarsi il concorso formale tra il reato di falso e quello di abuso di atti di ufficio e ciò in ragione della clausola di riserva contenuta nell’art. 323 cod.pen. che impone di applicare il trattamento per il fatto più grave dovendosi intendere quale identico fatto naturalistico.

2.3. Con il terzo motivo deduce la violazione dell’art. 606 comma 1, lett. b) ed e) in relazione all’art. 274 cod.proc.pen. mancanza di motivazione sull’attualità e concretezza delle esigenze cautelari. Quanto al Campolattano si è dimostrato l’allontanamento dalla compagine societaria. Quanto al Barletta non pare dimostrato che egli possa reiterare le condotte delittuose tenuto conto dell’intervenuto sequestro dei tre immobili oggetto dei permessi a costruire ritenuti illegittimi e del clamore della vicenda.

3. Il Procuratore generale ha chiesto, in udienza, il rigetto dei ricorsi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. I ricorsi non sono fondati.

Il primo motivo di ricorso non mostra ragioni di fondatezza laddove censura l’omessa valutazione delle note difensive, atti rilevanti per la decisione, depositati nel processo principale di cui il presente costituisce stralcio, erroneamente ritenute dal tribunale non costituenti “memorie difensive ex art. 121 cod.proc.pen.”.

Ed invero è sufficiente leggere alle pagg. 16-17 dell’ordinanza per destituire di fondamento la censura difensiva dal momento che l’ordinanza impugnata rileva che, dopo avere richiamato i principi pertinenti al caso in esame secondo cui è onere del P.M. trasmettere, ex art. 291 cod.proc.pen., le memorie difensive depositate nel procedimento nel quale è richiesta l’applicazione di misura cautelare e non anche quelle di procedimenti diversi, essendo onere della parte riversare autonomamente nel nuovo procedimento l’atto che intende utilizzare per la difesa, ha escluso che, nel caso di specie, i documenti prodotti avessero specifica rilevanza nella ricostruzione storico-fattuale della vicenda in esame, né avessero attinenza con il tema dell’accusa.  Nel resto la censura nella parte in cui lamenta vizi della motivazione sulla valutazione degli atti amministrativi (valutazione dell’attività svolta dalla commissione di controllo nominata dopo la cessazione dell’incarico del commissario straordinario, valutazione dell’atto del Commissario dott. Repucci del 2016) è diretta ad una rivalutazione del fatto rispetto alla quale l’ordinanza del tribunale contiene una motivazione (vedi infra) che non presenta profili di errata interpretazione della legge né vizi di motivazione.

5. Venendo al merito, l’ordinanza impugnata poggia su un apparato argomentativo pienamente esaustivo, fondato sulle emergenze processuali e corretto in diritto.

Quanto alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione al reato di abuso in atti di ufficio (capo 1, 4 e 7), in concorso con il pubblico ufficiale Spasiano, in relazione al rilascio dei tre permessi a costruire, avvenuto in violazione di legge (vedi supra par. 1.1.), l’ordinanza impugnata ha ritenuto dimostrato: 1) un accordo collusivo tra il pubblico ufficiale e i privati o, quantomeno, una situazione di asservimento del pubblico ufficiale Spasiano piegato a garantire gli interessi economici del gruppo Barletta, sul rilievo che il pubblico ufficiale si era prodigato per rilasciare, con anomala celerità in quanto l’ter amministrativo non era stato ancora completato,  un permesso a costruire, consegnato nelle mani del Campolattano, per impedire il sequestro dell’area, sulla quale erano in corso lavori in assenza di permesso a costruire, mentre era in corso un sopralluogo della polizia municipale la mattina del 3 aprile 2017; 2) la violazione di legge, segnatamente l’art. 12 del d.P.R. n. 380 del 2001, per avere rilasciato, lo Spasiano, i tre permessi a costruire in assenza di pianificazione urbanistica di attuazione richiesta per gli interventi di completamento dell’interporto, perché il piano particolareggiato, adottato il 2 aprile 1996, a seguito dell’Accordo di programma n. 14555 del 2006, determinante variante al piano regolatore generale, risultava inefficace dal 2016, per decorso del termine decennale di vigenza e non essendo intervenuta altra pianificazione urbanistica, non potendosi ritenere che la dichiarazione del Commissario Straordinario n. 230 del 2016 avesse natura di provvedimento, avendo la stessa natura di dichiarazione di scienza, sicchè la convenzione ex art. 28 bis cit., fondata su tale presupposto, non era valido titolo edilizio,. Inoltre era accertata la violazione dell’art. 19 comma 2 cit. atteso l’esonero dal pagamento degli oneri di costruzione di cui all’art. 19 cit., nonché dell’art. 9 comma 2, medesimo decreto, che pone limiti all’edificazione delle c.d. zone bianche interessate dall’assenza di strumenti attuativi; 3) il vantaggio patrimoniale per il privato Barletta consistito nell’accrescimento della situazione giuridica di questi che si concretizzava nel rilascio dei permessi a costruire, da cui il conseguente profitto economico derivante dalla successiva realizzazione delle opere edilizie e la correlata ingiustizia della condotta in quanto connotata da violazione di legge integranti la c.d. doppia ingiustizia necessaria ai fini dell’integrazione del reato di abuso d’ufficio.

5.2. Ciò premesso, la censura (secondo motivo) svolta dalla difesa dei ricorrenti che si appunta sull’interpretazione della dichiarazione del Commissario Straordinario n. 230 del 2016 sulla scorta della quale, la difesa ha argomentato che i premessi a costruire erano stati rilasciati in presenza di pianificazione particolareggiata, sicchè era destituita di fondamento l’impostazione accusatoria di rilascio di permessi a costruire in assenza di programmazione urbanistica, non ha pregio e si rivela infondata.

L’ordinanza impugnata dà atto che dalle stesse dichiarazioni del dott. Repucci, Commissario straordinario del Comune di Marcianise, era dimostrata la natura di dichiarazione di scienza della suddetta delibera n. 230 del 2016, evidenziando che si trattava di un mero atto di indirizzo politico che rimetteva la decisione al futuro Consiglio Comunale di Marcianise (che poi non l’approvò), non avendo alcuna natura decisoria valevole quale atto di programmazione urbanistica, presupposto per il successivo rilascio dei permessi a costruire (cfr. pag. 13 e ss.). Ogni diversa lettura dell’atto in questione, in presenza di congrua e non illogica motivazione non è sindacabile in questa sede.

5.3. La difesa ha poi percorso la via interpretativa, espressa da una giurisprudenza amministrativa, secondo la quale l’art. 17 della legge n. 1150 del 1942 consentirebbe l’ultrattività del piano particolareggiato scaduto fino all’approvazione di un nuovo strumento urbanistico che disciplini le aree in esso incluse ed ha dedotto la violazione di legge.

Tale interpretazione non è condivisa dal Collegio e dalle più recenti pronunce del giudice amministrativo.

Secondo la più recente giurisprudenza amministrativa (cfr. da ultimo sentenza TAR Lombardia, Milano, Sezione Quarta, n. 2001 del 17 agosto 2018; T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 01/04/2015, n. 4920; Cons. Stato, Sez. V, 30.04.2009, n. 2768; Sez. IV, 27.10.2009, n. 6572), decorso il termine stabilito per l’esecuzione del piano di lottizzazione o altro piano particolareggiato, questo diventa inefficace per la parte in cui non abbia avuto attuazione, rimanendo soltanto fermo a tempo indeterminato l’obbligo di osservare, nella costruzione di nuovi edifici e nella modificazione di quelli esistenti, gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso, con la precisazione che da ciò discende che: a) le previsioni dello strumento attuativo comportano la concreta e dettagliata conformazione della proprietà privata, le medesime previsioni rimangono efficaci a tempo indeterminato e, col decorso del termine (di dieci anni, per il piano particolareggiato di cui si discute), diventano inefficaci unicamente le previsioni del piano attuativo che non abbiano avuto concreta attuazione, nel senso che non è più consentita la sua ulteriore esecuzione, salva la possibilità di ulteriori costruzioni coerenti con le vigenti previsioni del p.r.g. e con le prescrizioni del piano attuativo (anche sugli allineamenti), che solo per questa parte ha efficacia ultrattiva (Tar Abruzzo L’Aquila, sez. I, 20/11/2014, n. 810; Cons. Stato, n. 2768 del 2009 e n. 6170 del 2007; Campania, Salerno, n. 522 del 2014); b) il termine di efficacia di 10 anni deve intendersi riferito all’esecuzione delle previste opere di urbanizzazione che devono essere realizzate entro tale termine; viceversa per la realizzazione delle costruzioni dei fabbricati trovano applicazione i termini previsti nei relativi titoli edilizi, fermo restando che poiché, in generale, il termine di efficacia dei piani attuativi, compresi i piani di lottizzazione, è di 10 anni, i titoli edilizi andranno richiesti e ottenuti entro tale termine, dato che, una volta che esso sia decorso, il piano decade per la parte rimasta inattuata rimanendo soltanto fermo a tempo indeterminato l’obbligo di osservare nella costruzione di nuovi edifici e nella modificazione di quelli esistenti gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso (cfr. T.A.R. Lazio Latina, sez. I, 26/04/2018, n. 226; c) le conseguenze della scadenza dell’efficacia del piano di lottizzazione si esauriscono pertanto nell’ambito della sola disciplina urbanistica, non potendo invece incidere sulla validità ed efficacia delle obbligazioni assunte dai soggetti attuatori degli interventi (cfr. in particolare, T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 01/04/2015, n. 4920), d) una volta scaduto il termine, l’autorità competente riacquista il potere-dovere di dare un nuovo assetto urbanistico alle parti non realizzate, anche, in ipotesi, con una nuova pianificazione urbanistica di dettaglio.

5.4. Con riferimento al caso in esame, l’ordinanza impugnata sul rilievo che era decorso il termine decennale, che l’autorità competente (Comune di Marcianise) non aveva esercitato il potere di dare nuovo assetto urbanistico alle parti non realizzate del P.U.P., che la Delibera del Commissario del 2016 non aveva natura di provvedimento quale “riassunzione di conformità al P.U.P.”, si da costituire presupposto per la conclusione della convenzione ex art. 28 bis cit. e per il rilascio dei permessi a costruire, ha ritenuto, del tutto correttamente, che i tre permessi a costruire erano stati rilasciati in assenza di pianificazione particolareggiata perché quella esistente aveva perso efficacia nel 2016. Inoltre, nel caso in esame, era violata la disposizione di cui all’art. 9 secondo comma del d.P.R. n. 380 del 2001, che pone specifici limiti di edificabilità delle c.d. zone bianche interessate dall’assenza di strumenti attuativi a seguito di perdita di efficacia per decorso del termine decennale, violazione neppure contestata dai ricorrenti.

5.5. Né può essere richiamata la sentenza di Questa Terza Sezione n. 38555 del 2015, citata nel ricorso poiché, in quel caso, l’ultrattività della previsione di una lottizzazione divenuta priva di efficacia per decorso del tempo, era conseguente alla circostanza che le previsioni di questa erano state recepite nello strumento urbanistico del Comune di Arzachena, situazione all’evidenza del tutto diversa dal caso in scrutinio nel quale i provvedimenti autorizzatori erano stati rilasciati in assenza di piano attuativo decaduto e l’autorità amministrativa non aveva esercitato il potere di dare un nuovo assetto il territorio.

5.6. Va poi, per completezza, rilevato che secondo la costante giurisprudenza di legittimità in relazione alla configurazione del reato di abuso in atti di ufficio nel caso di rilascio di permessi edilizi illegittimi, la violazione di legge è integrata dall’inosservanza dell’art. 12 del d.P.R. n. 380 del 2001, secondo cui il permesso a costruire, quale atto non discrezionale, è rilasciato in conformità alle previsioni urbanistiche, ai regolamenti edilizi e alla disciplina urbanistica che il dirigente del settore è tenuto a rispettare ai sensi del successivo art. 13 cit.

Quanto al delitto di abuso d’ufficio, condivide il Collegio, i principi espressi da Sez. 3, n. 39462 del 2012, secondo cui il permesso di costruire, per essere legittimo, deve conformarsi – ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 12, comma 1, – “alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico – edilizia vigente”. Dall’espresso rinvio della norma agli strumenti urbanistici discende che il titolo abilitativo edilizio rilasciato senza rispetto del piano regolatore e degli altri strumenti urbanistici integra, una “violazione di legge”, rilevante ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 323 cod.pen.  (Sez. 3, n. 39462 del 19/06/2012, Rullo, Rv. 254015 – 01, nello stesso senso Sez. 6, n. 11620 del 25/01/2007, Pellegrino, Rv. 236147 – 01).

Mentre, con riguardo altri elementi della fattispecie, deve rilevarsi che i ricorrenti non hanno svolto critiche censorie con riguardo al ritenuto accordo collusivo tra privati e pubblico ufficiale, né sull’esistenza dell’ingiusto profitto.

6. Osserva, infine, il Collegio che non assume rilievo, quanto al caso in esame, la modifica normativa all’art. 323 cod.pen. per effetto dell’art. 23 del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, “Misure Urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale”, conv. con mod. nella legge 11 settembre 2020, n. 120, secondo cui all’art. 323 comma 1 cod.pen., le parole “di norme di legge o di regolamento,” sono sostituite dalle seguenti: “di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”. Ora, la violazione di norme contenute nei regolamenti è esclusa dal perimetro della condotta di abuso, l’abuso potrà, infatti, essere integrato solo dalla violazione di “regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge”, cioè da fonti di rango primario. Rileva, poi, la sola inosservanza di regole di condotta “specifiche” ed “espressamente previste” dalle citate fonti primarie. Infine, si è previsto che rilevano solo regole di condotta “dalle quali non residuino margini di discrezionalità”.

Senza ripercorre l’evoluzione giurisprudenziale che aveva generato un contrasto di giurisprudenza all’indomani della riforma del delitto di abuso in atti di ufficio a seguito della L. 16 luglio 1997, n. 234, contrasto successivamente appianato, l’orientamento consolidato di legittimità (vedi supra) ha, da tempo, affermato che il requisito della violazione di legge, rilevante ai fini della configurabilità del reato di abuso di ufficio, è integrato dalla conformità alle previsioni urbanistiche, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistica che il dirigente del settore è tenuto a rispettare ai sensi dell’art. 13 del d.P.R. n. 380 del 2001, in quanto il permesso di costruire, per essere legittimo, deve conformarsi – ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 12, comma 1, – “alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico – edilizia vigente”. Dall’espresso rinvio della norma agli strumenti urbanistici discende che il titolo abilitativo edilizio rilasciato senza rispetto del piano regolatore e degli altri strumenti urbanistici integra, una “violazione di legge”, rilevante ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 323 cod.pen.  

Ritiene il Collegio che l’interpretazione della nozione di “violazione di legge” come delineata dalla citata giurisprudenza sia pienamente condivisibile anche nel mutato quadro normativo. Segnatamente, seguendo quell’elaborazione giurisprudenziale che il Collegio condivide, deve ribadirsi che i piani urbanistici non rientrano nella categoria dei regolamenti, come ritenuto da risalente e superato orientamento giurisprudenziale, che nel mutato quadro normativo escluderebbe la fattispecie di abuso in atti di ufficio, ma in quella degli atti amministrativi generali la cui violazione, in conformità dell’indirizzo ermeneutico consolidato, rappresenta solo il presupposto di fatto della violazione della normativa legale in materia urbanistica (art. 12 e 13 del d.P.R. n. 380 del 2001) (Sez. 6, n. 11620 del 25/01/2007, Pellegrino, Rv. 236147 – 01), normativa a cui deve farsi riferimento, per ritenere concretata la “violazione di legge”, quale dato strutturale della fattispecie delittuosa ex art. 323 cod.pen. anche seguito della modifica normativa. Da cui la conferma della sussunzione del caso concreto nella fattispecie normativa di cui all’art. 323 cod.pen. ora vigente. Trattasi senza dubbio di norme specifiche e per le quali non residuano margini di discrezionalità laddove l’art. 12 cit. detta i requisiti di legittimità del permesso a costruire, e il successivo art 13 cit., detta la disciplina urbanistica che il dirigente del settore è tenuto a rispettare nel rilascio del permesso a costruire.

7. Deve rilevarsi la genericità della censura svolta con riguardo al reato di falso, non contenendo i ricorsi, al di là del generico riferimento dell’intitolazione del motivo, alcuna critica specifica all’ordinanza impugnata, mentre, con riguardo al profilo della ricorrenza della clausola di riserva contenuta nell’art. 323 cod.pen., essa non opera, ricorrendo il concorso materiale del reato di abuso in atti di ufficio e del reato di falso, poiché nel caso in esame sono contestate condotte ulteriori e che non si esauriscono nel reato di falso e segnatamente l’esonero dal pagamento degli oneri di costruzione di cui all’art. 19 del d.p.r. 380 del 2001, dovendosi escludere il concorso formale tra il delitto di abuso in atti di ufficio solo quando la condotta addebitata, quale condotta di abuso in atti di ufficio, si esaurisce nella commissione di un reato di falso (Sez. 6, n. 13849 del 28/02/2017, Rv. 269482 – 01).

In altri termini, la condotta addebitata ai ricorrenti, in concorso con Spasiano, pubblico ufficiale, a titolo di abuso di ufficio non si esaurisce, nelle sue componenti storico-naturalistiche, nella commissione di un fatto qualificabile come falso in atto pubblico. Consegue, che non è ravvisabile alcuna violazione del principio del ne bis in idem per evidente diversità del fatto naturalistico.

8. Infine, quanto al profilo della sussistenza delle esigenze cautelari e segnatamente sotto il profilo della adeguatezza (che ha perso rilievo a seguito della modifica della misura in allora applicata con quella del divieto di dimora, rispetto alla quale non può ritenersi non sussistente) e dell’attualità del pericolo di recidiva, rileva il Collegio l’assenza della necessaria critica censoria non confrontandosi, i ricorrenti, con le argomentazioni spese dal Tribunale a pag. 21 laddove, con specifico riferimento al parametro dell’attualità, ha dato atto che non era ancora stato rilasciato il quarto permesso a costruire e permanevano vicende amministrative non ancora risolte rispetto alle quali il Barletta vantava interessi economici, motivazione rispetto la quale i ricorsi non contengono alcuna critica specifica.

9. Conclusivamente, i ricorsi vanno rigettati e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 08/09/2020

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