15/10/2020 – P.a., uno su due in lavoro agile

Il nuovo dpcm impone una riorganizzazione agli enti che avevano azzerato lo smart working
P.a., uno su due in lavoro agile
Per il 50% dei dipendenti con mansioni compatibili
di Luigi Oliveri

In lavoro agile non meno del 50% dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni le cui mansioni siano compatibili con lo smart working.

Il dpcm 13 ottobre 2020, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 253/2020, all’articolo 3 comma 3, introduce una precisazione tale da incidere in maniera profonda sulla programmazione del lavoro immaginata dalle pubbliche amministrazioni per l’ultimo trimestre 2020, in vista dell’adozione del Piano per l’organizzazione del lavoro agile (Pola) entro il 31 gennaio 2020.
Detto articolo 3, comma 3, del dpcm stabilisce che «nelle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, è incentivato il lavoro agile con le modalità stabilite da uno o più decreti del ministro della pubblica amministrazione, garantendo almeno la percentuale di cui all’art. 263, comma 1, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34».
Si tratta di un ripensamento abbastanza rilevante della previsione richiamata cioè l’articolo 263 comma 1, del dl 34/2020. Quest’ultima norma aveva imposto una frenata al lavoro agile, al duplice scopo di assicurare la continuità dell’azione amministrativa e la celere conclusione dei procedimenti, nonché di adeguare l’operatività di tutti gli uffici pubblici alle esigenze dei cittadini e delle imprese connesse al graduale riavvio delle attività produttive e commerciali.
Per tale ragione, l’articolo 263 ha indicato alle amministrazioni un prevalente svolgimento del lavoro nelle sedi «applicando il lavoro agile, con le misure semplificate di cui al comma 1, lettera b), del medesimo articolo 87, al 50% del personale impiegato nelle attività che possono essere svolte in tale modalità».
Il numero dei dipendenti in smart working si è drasticamente ridotto perché le funzioni compatibili sono solo una parte di quelle gestite nella p.a. (circa 2 milioni di dipendenti tra docenti, personale medico ed infermieristico, forze dell’ordine, militari, vigili del fuoco, tecnici, operai, custodi, sono impegnati in attività manifestamente incompatibili col lavoro agile) e perché solo la metà del personale vi sarebbe potuto essere adibito.
Per altro molte amministrazioni avevano inteso il 50% di cui parla l’articolo 263 come quota massima di lavoratori agili.
Il dpcm 13 ottobre 2020, invece, indica alle p.a. l’inversione di rotta. Il lavoro agile va incentivato e deve coinvolgere «almeno» il 50% dei dipendenti addetti alle attività compatibili
Le amministrazioni che in conseguenza dell’articolo 263 hanno praticamente azzerato lo smart working debbono urgentemente rivedere la propria organizzazione, che non ammette alcune scelte radicali e semplicistiche adottate da qualche ente, il quale ha ritenuto di non poter svolgere alcuna funzione mediante lavoro agile.
Lo smart working non è un lusso, dovrebbe considerarsi come elemento imprescindibile dell’organizzazione, soprattutto visti gli obblighi, vigenti da molti anni, di realizzare piattaforme ed applicativi informatici da gestire attraverso la rete internet. Il dl 76/2020, convertito in legge 120/2020, ha spinto in modo ancora più forte sull’informatizzazione, imponendo la gestione dei procedimenti per via informatica, spingendo sullo Spid e sulla creazione della piattaforma unitaria per le notificazioni della p.a.
Che amministrazioni pubbliche, quindi, affermino di non svolgere alcuna attività compatibile con lo smart working, oltre a non essere credibile nella sostanza, è la certificazione di una gravissima inefficienza organizzativa e di assenza di investimenti nell’informatica e nella formazione, meritevole di interventi sanzionatori.
Per altro, la precisazione che lo smart working deve coinvolgere come minimo il 50% del personale adibito ad attività compatibili, evidenzia che non vi è discrezionalità nella scelta del contingente minimo di personale da coinvolgere e che, semmai, le p.a. debbono verificare le condizioni per ampliare il novero dei dipendenti da collocare in smart working.
La verifica dell’assenza di una spinta organizzativa seria verso le modalità lavorative agili, considerate ancora non solo utili per l’innovazione dell’organizzazione, ma necessarie come misura che favorisce il contrasto all’espansione dei contagi, dovrebbe a sua volta essere parametro per valutare l’efficienza delle amministrazioni e dovrebbe anche in questo caso essere supportata da sanzioni nei confronti degli enti refrattari.

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