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La storia dei cinque anni
PUBBLICATO IL 10 OTTOBRE 2020 DA GIANLUCA BERTAGNA
 
Visto l’elevato numero di domande che ricevo sulla permanenza obbligatoria dei cinque anni nella sede di prima destinazione da parte dei neo assunti, riporto di seguito il mio pensiero sull’argomento.
A mio parere la norma non si può che applicare dalla data di entrata in vigore e solo per i concorsi avviati dopo il 30 marzo 2019. Mi porta a questa conclusione sia il tono letterale della disposizione (vincitori di concorsi banditi) sia una lettura costituzionalmente orientata per la quale all’accesso al pubblico impiego si giunge con criteri di pubblicità, trasparenza e imparzialità. Quindi, i soggetti che hanno partecipato a concorsi prima del 30 marzo 2019 non erano a conoscenza di questa limitazione che avrebbe potuto anche portare a scelte diverse per i partecipanti.
Per come è stata scritta la norma, i destinatari non sono gli enti bensì i dipendenti. Questo per dire che non vedo nulla di male se un comune concede comunque la mobilità ad un dipendente che comunque “ci prova” anche prima dei cinque anni. Cioè io vedo questa norma come RAFFORZATIVA del potere datoriale e NON come una ulteriore limitazione. D’altronde se non fosse così non si sarebbe sentito neppure il bisogno di questa norma, visto che l’ente avrebbe sempre potuto negare il nulla osta alla mobilità. La norma, quindi, vuol fare sapere ai partecipanti ai concorsi pubblici che hanno un obbligo di permanenza, ma di certo non vi è in capo al datore di lavoro un divieto di concedere la mobilità anche prima dei cinque anni, cosa che sarebbe, peraltro, lesiva dell’autonomia organizzativa costituzionalmente garantita a regioni e comuni.
 
 

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