07/10/2020 – Va esteso anche alla società partecipata il divieto di conversione dei contratti di lavoro a tempo indeterminato

Va esteso anche alla società partecipata il divieto di conversione dei contratti di lavoro a tempo indeterminato
di Vincenzo Giannotti – Dirigente Settore Gestione Risorse (umane e finanziarie) Comune di Frosinone;
 
La vicenda
A seguito della nullità del termine apposto ad un contratto a tempo determinato di un dipendente di un società a partecipazione pubblica, è stata chiesta la conversione del contratto a tempo indeterminato. Il Tribunale di primo grado e, successivamente, la Corte di appello hanno negato la conversione, precisando che l’invocata conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato fosse impedita dall’art. 18 comma 2, D.L. n. 112/2008, convertito dalla L. n. 133/2008, con il quale il legislatore aveva imposto alle società a totale partecipazione pubblica di adottare metodi di reclutamento del personale rispettosi dei criteri di trasparenza, pubblicità e imparzialità. Quest’ultimo decreto, infatti, ha esteso alle società a totale partecipazione pubblica, che gestiscono servizi pubblici locali, i criteri stabiliti in tema di reclutamento del personale dal D.Lgs. n. 165 del 2001art. 35, comma 3, ed al comma 2 il quale prescrive che le “altre società a partecipazione pubblica totale o di controllo” debbono adottare “con propri provvedimenti criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità”. Infine, il comma 2-bis ha espressamente precisato che le disposizioni che stabiliscono, a carico delle amministrazioni di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165art. 1, comma 2, e successive modificazioni, divieti o limitazioni alle assunzioni di personale si applicano, in relazione al regime previsto per l’amministrazione controllante, anche alle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo, che siano titolari di affidamenti diretti di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgano funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale né commerciale, ovvero che svolgono attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione.
Avverso la decisione di rigetto, ha presentato ricorso in Cassazione il dipendente escluso dalla conversione del rapporto a tempo indeterminato, precisando come, attesa la natura privata e non pubblica della società, dalla previsione dell’obbligo per le società partecipate di assumere il personale attraverso procedure trasparenti ed imparziali, non discenderebbe il divieto di conversione del contratto a termine affetto da nullità in rapporto a tempo indeterminato nei casi, quale quello di specie, in cui l’assunzione a termine sia avvenuta nel rispetto dei principi di trasparenza, pubblicità ed imparzialità all’esito di una procedura ad evidenza pubblica, con la formazione di una graduatoria.
La decisione della Cassazione
Per i giudici di legittimità il ricorso del dipendente è infondato. Infatti, il legislatore nazionale, pur mantenendo ferma la natura privatistica dei rapporti di lavoro, sottratti alla disciplina dettata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, ha inteso estendere alle società partecipate i vincoli procedurali imposti alle amministrazioni pubbliche nella fase del reclutamento del personale, perché l’erogazione di servizi di interesse generale pone l’esigenza di selezionare secondo criteri di merito e di trasparenza i soggetti chiamati allo svolgimento dei compiti che quell’interesse perseguono. Il Giudice delle leggi ha, poi, osservato che il solo mutamento della veste giuridica dell’ente non sia sufficiente a giustificare la totale eliminazione dei vincoli pubblicistici, ove la privatizzazione non assuma anche “connotati sostanziali, tali da determinare l’uscita delle società derivate dalla sfera della finanza pubblica” (sentenza n. 466/1993). In altri termini, la giurisprudenza costituzionale ha distinto la privatizzazione sostanziale da quella meramente formale (tra le tante Corte Cost. nn. 29/2006209/201555/2017) e ha sottolineato che in detta seconda ipotesi viene comunque in rilievo l’art. 97 Cost., del quale il D.L. n. 112 del 2008art. 18, costituisce attuazione, tanto da vincolare anche il legislatore regionale ex art. 117 Cost. Il giudice di legittimità ha, inoltre, evidenziato come, in merito al rapporto fra procedura concorsuale del D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 35 e contratto di lavoro, “sussiste un inscindibile legame fra la procedura concorsuale ed il rapporto di lavoro con l’amministrazione pubblica, poiché la prima costituisce l’atto presupposto del contratto individuale, del quale condiziona la validità, posto che sia la assenza sia la illegittimità delle operazioni concorsuali si risolvono nella violazione della norma inderogabile dettata dal D.Lgs. n. 165 del 2001art. 35, attuativo del principio costituzionale affermato dall’art. 97, comma 4, della Carta fondamentale” (tra le tante Cass. n. 13884/2016). Tali indicazioni sono conformi anche alle indicazioni euro unitarie le quali da tempo hanno stabilito che spetta alle autorità nazionali adottare misure adeguate per far fronte agli abusi nella reiterazione dei contratti a termine e che queste ultime possono essere anche diverse dalla conversione in rapporto a tempo indeterminato, purché rispettino i principi di equivalenza e siano sufficientemente effettive e dissuasive per garantire l’efficacia delle norme adottate in attuazione dell’Accordo quadro recepito dalla diretti In modo non diverso.
In tale cornice di riferimento, pertanto, deve essere affermato che, per le società a partecipazione pubblica il previo esperimento delle procedure concorsuali e selettive condiziona la validità del contratto di lavoro, con la conseguenza che non può che operare il principio secondo cui anche per i soggetti esclusi dall’ambito di applicazione dell’art. 36D.Lgs. n. 165 del 2001, la regola della concorsualità imposta dal legislatore, nazionale o regionale, impedisce la conversione in rapporto a tempo indeterminato del contratto a termine affetto da nullità. Infatti, se si operasse in senso opposto si finirebbe per eludere il divieto posto dalla norma imperativa che tiene conto della particolare natura delle società partecipate e della necessità, avvertita dalla Corte Costituzionale, di non limitare l’attuazione dei precetti dettati dall’art. 97 Cost., ai soli soggetti formalmente pubblici bensì di estenderne l’applicazione anche a quelli che, utilizzando risorse pubbliche, agiscono per il perseguimento di interessi di carattere generale. Precisata la sopra indicata cornice legislativa, devono essere dichiarate infondate anche le doglianze del dipendente secondo cui, la conversione del suo rapporto a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato non è impedita perché il contratto a termine fu stipulato all’esito della sua partecipazione ad una selezione a evidenza pubblica, con la formazione di una graduatoria e nel rispetto dei principi di trasparenza, pubblicità e imparzialità. Infatti, precisa la Cassazione, la possibilità di conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato deve escludersi nelle ipotesi in cui all’illegittimità del termine si associ un’originaria assunzione per il tramite di un concorso (tra le tante Cass. n. 11000/2020).
In conclusione il ricorso del dipendente deve essere rigettato in quanto infondato

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