Print Friendly, PDF & Email

La definizione di impresa ricavabile dal codice civile evidenzia caratteristiche di intrinseca dinamicità legate da un lato all’organizzazione e dall’altro all’attività; l’impresa, infatti, combina elementi economicamente rilevanti al fine di produrre o scambiare beni e servizi nell’ambito di un determinato settore di mercato.

La capacità organizzativa dell’imprenditore e la struttura organizzativa dell’impresa consentono il costante adeguamento dell’attività di produzione o di scambio ai mutamenti del mercato dal lato della domanda e dell’offerta, reagendo in maniera flessibile agli stimoli economici e adeguando di conseguenza il disegno organizzativo e il coordinamento operativo dei fattori produttivi.

Ciò è ben evidenziato dallo stesso codice civile quando fa riferimento all’economicità dell’attività, intesa come tendenziale attitudine alla copertura dei costi con i ricavi; a tal fine è necessario che la combinazione dei diversi fattori, in ragione delle caratteristiche dell’attività e del mercato, consenta il raggiungimento e il mantenimento di una situazione di parità, anche a prescindere dalla realizzazione di un utile.

Il naturale dinamismo dell’impresa individua un’ulteriore caratteristica della sua complessa attività ovvero quella dell’equilibrio, equilibrio che deve sussistere tra i diversi fattori produttivi, tra questi e i beni o servizi prodotti, tra questi e quelli assorbiti dal mercato di riferimento.

Questo equilibrio si realizza mediante continui aggiustamenti delle diverse componenti produttive e della relativa organizzazione, mediante il passaggio attraverso squilibri successivi e successive correzioni che conducono naturalmente alla elaborazione, nel corso del tempo, di condizioni di equilibrio generali e tuttavia sempre precarie, in considerazione dell’altrettanto dinamica situazione del mercato dei fattori produttivi e dei prodotti.

Le caratteristiche dell’impresa ne impongono perciò un equilibrio complessivo al fine di assicurare il normale andamento dell’attività; ciò mette in evidenzia, in particolare, la componente gestoria dell’attività in quanto proprio la capacità organizzativa dell’imprenditore, attraverso la struttura organizzativa dell’impresa, consente alla stessa di adeguarsi tempestivamente ai mutamenti del mercato.

Di conseguenza qualunque intervento normativo relativo all’impresa incide sul suo equilibrio, traducendosi in un vincolo ulteriore alla dinamica organizzativa e imponendo aggiustamenti dell’attività. Essenziale a questo proposito è la chiarezza delle norme, la precisa definizione degli adempimenti, la fissazione di termini congrui, l’individuazione di una disciplina transitoria che consenta un graduale e progressivo assestamento.

Lo stesso legislatore manifesta consapevolezza del caratteristico e necessario equilibrio dell’impresa, che, seppur incerto e precario, ne consente tuttavia il funzionamento, con benefici per la società tutta in termini di presenza di imprese attive e, conseguentemente, di occupazione, professionalità, sviluppo del territorio e innovazione.

Ciò è evidente nell’ambito della disciplina in materia di contratti pubblici, sia con riferimento alla fase di gara sia a quella di esecuzione.

Il legislatore considera infatti i profili di equilibrio d’impresa già ai fini della strutturazione delle procedure di evidenza pubblica.

Il Codice dei contratti pubblici dedica, nell’ambito delle disposizioni relative alla procedura competitiva con negoziazione, al dialogo competitivo e al partenariato per l’innovazione, una specifica disciplina alla gestione delle informazioni riservate fornite nell’ambito delle negoziazioni relative a tali procedure, imponendo addirittura, nella procedura di partenariato, la definizione dello specifico regime dei diritti di proprietà intellettuale.

Questa disciplina può essere letta in un’ottica di incentivo alla partecipazione, in quanto il timore che la procedura possa essere veicolo di divulgazione di informazioni riservate potrebbe dissuadere gli operatori economici dal concorrere; non è estranea anche una prospettiva di tutela dell’equilibrio delle imprese concorrenti costituendo i segreti tecnico-commerciali un asset rilevante in termini di redditività e di creazione di valore, la cui dispersione può tradursi in una situazione di squilibrio in grado di mettere in crisi l’impresa stessa.

È proprio nell’ambito del partenariato per l’innovazione che, già nella fase di gara ma anche in quella successiva di esecuzione, il legislatore tiene conto della necessità di tutelare l’equilibrio dell’impresa, peraltro in maniera non statica ma dinamica, consentendo adeguamenti del rapporto tra amministrazione e operatore economico in corso d’opera. La stazione appaltante deve infatti assicurare che le fasi del partenariato, la loro durata e il loro valore rispondano non soltanto al progressivo sviluppo dell’attività di ricerca e innovazione ma anche all’obiettivo di preservare l’equilibrio dell’impresa chiamata sviluppare la soluzione innovativa.

Il Codice dei contratti pubblici prevede infatti che il valore stimato delle forniture, dei servizi o dei lavori non sia sproporzionato rispetto all’investimento richiesto per il loro sviluppo; tale disposizione può essere letta in un’ottica di economicità dell’approvvigionamento a tutela della stazione appaltante, imponendo altresì una generale proporzione tra il valore dell’acquisizione e quello degli investimenti necessari all’attività di ricerca e sviluppo, in una prospettiva di tutela dell’equilibrio del partner al fine di preservarne la stabilità.

L’equilibrio di impresa è considerato ancor più in fase di partecipazione alla procedura di gara.

L’art. 80, comma 4, del Codice dei contratti pubblici prevede l’esclusione dell’operatore economico dalla procedura in caso di “violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento di imposte e tasse o dei contributi previdenziali”.

In materia tributaria, la disposizione considera gravi le violazioni che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse per un importo superiore a quello indicato dall’art. 48 bis, commi 1 e 2 bis del d.P.R. n. 602/1973 ovvero a 5.000 euro; si considerano definitivamente accertate le violazioni risultanti da sentenze o atti amministrativi non più soggetti a impugnazioni.

Allo stesso modo, in materia contributiva e previdenziale, costituiscono violazioni gravi quelle ostative rilascio del DURC, secondo i parametri definiti dal decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 30 gennaio 2015; tale decreto prevede:

– all’art. 3, comma 1, sulla base dell’art. 4, comma 2, del d.l. n. 34 del 2014, convertito con modificazioni dalla l. n. 78 del 2014, che la regolarità è verificata in relazione ai “pagamenti dovuti dall’impresa … scaduti sino all’ultimo giorno del secondo mese antecedente a quello in cui la verifica è effettuata, a condizione che sia scaduto anche il termine di presentazione delle relative denunce retributive”;

– all’art. 3, commi 2 e 3, che la regolarità sussiste in presenza di rateizzazioni o scostamenti non gravi, considerando non grave lo scostamento tra le somme dovute e quelle versate, riferito a ciascuna gestione previdenziale, pari o inferiore a 150 euro, comprensivi di eventuali accessori previsti dalla legge;

– all’art. 7, comma 2, sulla base dell’art. 4, comma 1, del d.l. n. 34 del 2014, convertito con modificazioni dalla l. n. 78 del 2014, che il DURC emesso ha validità di 120 giorni.

In entrambi i casi pertanto si delinea un meccanismo normativo che lega la regolarità tributaria e contributivo-previdenziale non all’esatto adempimento di ciascuna obbligazione gravante sull’impresa ma al rispetto di determinati parametri predefiniti e specificati dal legislatore. Occorre tuttavia precisare che, se la sussistenza del requisito soggettivo di partecipazione viene collegata al rispetto di tali parametri normativi, resta comunque ferma la rilevanza delle irregolarità a fini diversi da quelli previsti dal legislatore.

Vengono così definiti margini di tolleranza nei confronti dell’eventuale inadempimento di debiti tributari o contributivo-previdenziali, nella consapevolezza dei numerosi obblighi gravanti sull’impresa e della non remota possibilità che alcuni di essi possano non essere osservati in ragione delle instabili e complesse vicende relative alla gestione della stessa, che ben possono portare a disattendere, in maniera non grave o non frequente, prescrizioni o scadenze.

Il legislatore mostra perciò di comprendere le difficoltà che l’impresa incontra nella gestione di obblighi complessi e articolati e di apprezzare l’osservanza tendenziale degli stessi, ricollegando la sanzione espulsiva alle infrazioni più gravi e consentendo alle imprese di godere di seppur ridotti margini di flessibilità.

Ciò rafforza la posizione dell’impresa che già manifesta un equilibrio di massima e non dimostra invece squilibri eccessivi e tali da non consentirle di adempiere ai propri debiti tributari e previdenziali; la partecipazione e l’aggiudicazione possono, poi, potenziare la redditività dell’impresa in modo da facilitare l’esatto adempimento delle obbligazioni che sulla stessa gravano.

Le previsioni nazionali attuano quelle contenute nelle direttive eurounitarie; l’art. 57, par. 3, della direttiva 2014/24/UE permette agli Stati membri di derogare all’obbligo di esclusione del concorrente per il mancato pagamento di imposte e tasse, qualora la misura espulsiva si riveli sproporzionata, “in particolare qualora non siano stati pagati solo piccoli importi di imposte o contributi previdenziali”.

La previsione nazionale non può tuttavia essere letta solo in un’ottica di proporzionalità in quanto il meccanismo congegnato dal legislatore rivela anche una finalità di prevenzione dell’inadempimento e di incentivo all’adempimento, facendo riemergere di conseguenza considerazioni relative all’equilibrio generale di impresa.

Infatti la partecipazione è consentita anche all’operatore economico che, pur in presenza di un debito tributario o previdenziale, ha adempiuto o si è impegnato in maniera vincolante ad adempiere, purché il pagamento o l’impegno siano formalizzati prima della scadenza del termine di presentazione delle offerte e, di conseguenza, proprio in vista della partecipazione alla procedura e in ragione della stessa.

Tale previsione, al pari di quella che consente all’impresa di regolarizzare la propria posizione contributiva e previdenziale nel termine di quindici giorni dalla comunicazione dell’ente, ha una evidente funzione di incentivare la regolarizzazione delle posizioni debitorie che gravano sull’impresa, nella prospettiva della partecipazione alla gara e di una possibile aggiudicazione in grado di rafforzarne gli equilibri.

Da ultimo lo stesso d.l. n. 18/2020 – decreto “Cura Italia” ha previsto espressamente, all’art. 103, comma 2, la proroga dei termini di validità di tutti i certificati comunque denominati, in scadenza tra il 31 gennaio 2020 e il 31 luglio 2020, per i novanta giorni successivi alla dichiarazione di cessazione dello stato di emergenza sanitaria. Il legislatore ha quindi consentito che il DURC positivamente rilasciato continuasse a produrre effetti, sterilizzando gli eventuali inadempimenti verificatisi nel medesimo periodo dell’emergenza o in quello immediatamente precedente, anche in questo caso al fine di tener conto del possibile squilibrio dell’impresa e della sua attività a causa dell’emergenza stessa.

Tuttavia l’art. 8, comma 10, del d.l. n. 76/2020 – decreto “Semplificazioni” ha escluso l’applicabilità della citata disposizione alle procedure avviate ai sensi del medesimo decreto; pertanto, nell’ambito delle procedure avviate (mediante l’adozione della determina a contrarre) entro il 31 dicembre 2021, è necessario acquisire il DURC ex novo, senza che il concorrente possa godere della proroga della validità di quello già emesso.

È chiaro che in tal caso il legislatore tiene conto della iniziativa dell’impresa che, nel partecipare alle procedure “semplificate” previste dal decreto, dimostra capacità di ripresa tali da giustificare la pretesa del rispetto della disciplina in materia contributiva e previdenziale.

In conclusione, il legislatore mostra di comprendere e preservare gli equilibri d’impresa sancendo sia l’irrilevanza dei lievi inadempimenti agli obblighi tributari e contributivo-previdenziali, sia stabilendo specifici parametri, anche temporali, per la verifica degli adempimenti sia ancora consentendo una regolarizzazione in extremis, in prossimità della scadenza del termine di presentazione delle offerte.

Allo stesso modo in materia di illeciti professionali di cui all’art. 80, comma 5, lett. c), del Codice dei contratti pubblici, l’illecito professionale che consente l’esclusione del concorrente è “grave” e tale da rendere “dubbia la sua integrità o affidabilità”.

Non è quindi sufficiente una qualunque violazione delle regole e della correttezza professionali ma è necessaria una violazione ritenuta, secondo la motivata valutazione della stazione appaltante, “grave”, in grado cioè di incidere in concreto sull’integrità o sull’affidabilità dell’operatore economico in considerazione dell’attività che lo stesso è chiamato a svolgere.

La stessa lettera c-ter del medesimo art. 80, comma 5, prevede l’esclusione dell’operatore che abbia dimostrato significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un precedente contratto, che ne abbiano causato la risoluzione per inadempimento o la condanna al risarcimento del danno.

Anche in questo caso non è sufficiente che l’operatore abbia dato luogo a un qualunque inadempimento nell’ambito di una precedente commessa ma è necessario che le carenze risultino consistenti o ripetute, in modo da raggiungere quel livello di gravità tale da portare alla risoluzione del contratto o al risarcimento del danno.

Riproducendo la medesima logica alla base dell’art. 1455 c.c., tuttavia non ai fini dello scioglimento del rapporto contrattuale ma ai diversi fini della determinazione delle condizioni di partecipazione alle procedure di gara, il Codice dei contratti pubblici dà rilievo a ipotesi di inadempimento “di non scarsa importanza” sotto il profilo dello scostamento rispetto alla prestazione dovuta ovvero della frequenza; tali carenze esecutive devono comunque aver dato luogo a conseguenze in termini di risoluzione del contratto o di risarcimento del danno e aver pertanto inciso in maniera certa e concreta sugli interessi della controparte contrattuale pubblica.

Anche l’art. 80, comma 5, lett. c-quater prevede l’esclusione dell’operatore economico che risulti inadempiente nei confronti dei suoi subappaltatori ma solo quando l’inadempimento sia grave e accertato con sentenza passata in giudicato; viene data così rilevanza a inadempimenti significativi e accertati, che abbiano realmente compromesso il rapporto tra appaltatore e subappaltatore.

In generale, quindi, la violazione delle regole professionali o contrattuali che dà luogo all’esclusione è quella che riveste carattere di gravità tale da inficiare concretamente il rapporto sottostante.

La valutazione delle esigenze di equilibrio funzionale dell’impresa può spingersi pertanto fino al punto di tollerare il non esatto adempimento delle obbligazioni che legano l’impresa alle altre imprese o alla stazione appaltante, purché lieve o non certo e comunque inquadrabile nell’ambito della corrente dinamica dei rapporti negoziali, dando preminente rilievo alla continuità nell’esecuzione della commessa.

È possibile ricondurre alla stessa tendenza normativa anche l’art. 80, comma 7, del Codice dei contratti pubblici che, disciplinando le misure di self-cleaning, ammette il concorrente alla prova dell’adozione di provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo o relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti.

L’impresa conserva così la possibilità di partecipare alla procedura e di aggiudicarsela, dimostrando l’adozione di misure volte a correggere le falle delle strutture tecniche, organizzative e gestionali che hanno reso possibile la commissione degli illeciti, recuperando così l’equilibrio gestionale complessivo alterato dall’infrazione realizzata o, più correttamente, da quelle condizioni che l’hanno resa possibile.

Anche questa previsione ha quindi un’evidente funzione incentivante, essendo volta non ad escludere in maniera netta l’impresa ma a indurre la stessa a correggere eventuali errori di gestione, recuperando quella affidabilità che costituisce presupposto per la partecipazione alle procedure di gara e rafforza la posizione dell’impresa nel complesso del tessuto economico, favorendo condizioni di equilibrio complessivo.

Nell’ambito della stessa tendenza normativa, l’art. 30 del Codice dei contratti pubblici prevede che al personale impiegato nell’esecuzione dei lavori, servizi e forniture oggetto dell’appalto o della concessione sia applicato il “contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro, stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quelli il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente”; parallelamente l’art. 23, comma 16, prevede che annualmente il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in relazione ai diversi settori merceologici e alle diverse aree territoriali, determini il costo del lavoro “di riferimento”, sulla base delle previsioni della contrattazione collettiva nazionale delle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative, quale utile parametro di riferimento ai fini della stima del costo della manodopera relativa al contratto da parte della stazione appaltante nonché della valutazione della congruità di quello indicato dall’affidatario.

La disposizione di cui all’art. 30 è stata normalmente letta in un’ottica di tutela della libertà di impresa e, contestualmente, del diritto dei lavoratori a una retribuzione proporzionata e sufficiente, al fine di evitare che la competizione tra le imprese concorrenti possa riflettersi sulle condizioni di lavoro del personale impiegato nella commessa. La scelta del contratto collettivo da applicare è stata perciò lasciata alla sfera di autonomia dell’impresa concorrente e agli equilibri sindacali instaurati da questa a livello individuale o collettivo, fermo restando la necessità di garantire ai lavoratori un trattamento normativo ed economico in linea con quello praticato nel settore.

Il legislatore dimostra così una tendenza a preservare l’equilibrio raggiunto dall’impresa anche nel rapporto con i lavoratori, purché ciò non si traduca in condizioni di lavoro deteriori rispetto a quelle applicate dalle altre imprese del settore.

L’illustrato indirizzo è riscontrabile anche nell’art. 100 del Codice dei contratti pubblici. La citata disposizione, consentendo la previsione di specifici requisiti per la sola esecuzione del contratto, rivela l’implicito suggerimento del legislatore di contenere gli oneri di partecipazione alla procedura. Quelle condizioni che non consentono la selezione degli operatori economici all’atto della partecipazione ma sono volte a garantire la migliore esecuzione del contratto ben possono tradursi in requisiti esclusivamente di esecuzione; gli operatori economici possono pertanto limitarsi ad accettare tali condizioni all’atto della partecipazione alla gara, dovendo poi soddisfarle solo in caso di aggiudicazione e di stipula del contratto. Il concorrente può di conseguenza evitare di affrontare subito il costo connesso a tali requisiti, sostenendolo solo in caso di aggiudicazione e in ragione dell’utile atteso dall’esecuzione della commessa.

In questo modo la partecipazione alla procedura di gara non impone ai concorrenti costi che non siano strettamente necessari, preservando così l’equilibrio originario dell’impresa ed evitando che la stessa, in vista della procedura, affronti costi ulteriori rispetto alla semplice predisposizione dell’offerta, costi relativi a impianti, personale, attrezzature e volti a soddisfare un’astratta condizione di partecipazione ma non immediatamente utili ai fini dell’esecuzione in considerazione dell’incertezza dell’aggiudicazione.

Un investimento della specie, effettuato in vista della semplice partecipazione e a fronte di ricavi quantomeno ipotetici, può incidere sugli equilibri dell’impresa nel breve periodo, trasformando la partecipazione alla procedura in una circostanza in grado di generare alterazioni.

L’imposizione di oneri di partecipazione ragionevoli e proporzionati, quindi, favorisce la partecipazione alla procedura e la conservazione dell’equilibrio dell’impresa, anche nel caso in cui la partecipazione stessa non si trasformi poi in aggiudicazione.

Emblematica è, infine, la valutazione di congruità delle offerte, che si configura come giudizio globale e sintetico sulla sostenibilità della proposta e prescinde dalla dettagliata analisi dei singoli costi e dei singoli ricavi, ammettendo anzi l’incongruità di singoli elementi purché sia accertata l’affidabilità complessiva dell’offerta.

Quindi la valutazione di congruità è più direttamente e immediatamente finalizzata alla verifica dell’equilibrio generale della proposta formulata dal concorrente, in termini di sostenibilità anche nel tempo, considerando però (seppure indirettamente) anche profili di equilibrio dell’impresa ma in relazione alla singola commessa.

Ciò è ancor più evidente nelle concessioni, in cui la valutazione della congruità passa attraverso una vera e propria verifica dell’equilibrio complessivo del rapporto, come prospettato nel piano economico – finanziario.

Nell’ambito di tale verifica assumo rilevanza i costi da affrontare nella gestione dell’opera o del servizio, i ricavi attesi e le politiche di gestione prospettate al fine di fronteggiare il rischio operativo tipico del rapporto, in relazione a eventi che possono incidere sulla domanda e sull’offerta determinandone una variazione. Già al momento dell’avvio della procedura di affidamento la durata della concessione deve essere calcolata in modo da tener conto dei possibili ricavi e degli investimenti necessari, dovendo consentire il recupero dei costi sostenuti mediante la fissazione di un adeguato orizzonte temporale. Non stupisce, quindi, che lo stesso piano economico finanziario possa essere oggetto di revisione qualora fatti sopravvenuti incidano sul suo equilibrio, al fine di rideterminare e così conservare le condizioni di equilibrio economico – finanziario del contratto.

La variazione delle condizioni di rischio del contratto può quindi incidere non solo sulle condizioni di gestione del bene o del servizio ma anche, in ultima analisi, sull’equilibrio dell’impresa affidataria in ragione di un effetto di propagazione dello squilibrio dal singolo contratto all’impresa chiamata a rispettare le condizioni dell’affidamento in un mutato contesto di mercato.

Nell’ambito del contratto di appalto, invece, la teorica assenza di rischio operativo (inteso come possibilità che non siano recuperati gli investimenti effettuati e i costi sostenuti) fa sì che eventuali squilibri tra costi e ricavi tendano a scaricarsi sul rispetto delle condizioni contrattuali, a scapito della stazione appaltante e senza tuttavia coinvolgere l’impresa in maniera significativa; non può escludersi tuttavia che la mancanza di remunerazione, anziché ridurre la qualità dell’esecuzione, si traduca in un pregiudizio per le condizioni dell’impresa.

È proprio nella valutazione di congruità che emerge, di conseguenza, la considerazione del più o meno precario equilibrio della proposta formulata e, di conseguenza, dell’impresa concorrente, con una visione di tale equilibrio non solo statica (come nel caso degli appalti) ma anche dinamica (come nel caso delle concessioni) e comunque prospettica.

La verifica di congruità, quindi, consente di valutare non solo l’equilibrio della specifica offerta ma, indirettamente, anche le eventuali ricadute sull’equilibrio complessivo dell’impresa, tutelando l’interesse della stazione appaltante alla qualità dell’esecuzione e, di riflesso, quello dell’impresa a evitare che l’affidamento e l’esecuzione del contratto si traducano in un grave pregiudizio per le condizioni aziendali.

Da ultimo occorre considerare la sentenza n. 5097/2020 del Consiglio di Stato che, rimettendo alla Corte Costituzionale la valutazione della conformità dell’art. 177, comma 1, del Codice dei contratti pubblici e del corrispondente criterio della legge delega (art. 1, comma 1, lett. iii) della legge n. 11/2016) agli artt. 41, comma 1, 3, comma 2, e 97, comma 2 della Costituzione, ben mette in evidenza la particolare rilevanza degli equilibri di impresa nell’ambito del Codice.

Il citato art. 177 stabilisce l’obbligo dei titolari di concessioni di lavori, di servizi pubblici o di forniture, già in essere all’entrata in vigore del Codice e assegnate senza gara, di affidare una quota pari all’80 per cento dei contratti relativi alle citate concessioni mediante procedura di evidenza pubblica e la restante parte a società in house nel caso di concessionari pubblici o a società direttamente o indirettamente controllate o collegate nel caso di concessionari privati ovvero, in alternativa, mediante procedure semplificate.

La citata sentenza mette in evidenza che tale obbligo, traducendosi in una dismissione ovvero in una esternalizzazione dell’intera concessione, stravolge gli equilibri economico-finanziari sottesi al rapporto (equilibri su cui si fondano le scelte strategiche e operative del concessionario), con conseguente disgregazione del patrimonio aziendale di conoscenze, competenze e professionalità e impedimento alla prosecuzione dell’attività, vanificando altresì la “funzionalità complessiva della concessione”.

È proprio in tale pronuncia che emergono in maniera chiara e netta, proprio in ragione dell’esame dell’ipotesi limite dell’art. 177 del Codice, le esigenze di tutela dell’equilibrio dell’impresa che pervadono il Codice, ricollegate nel caso di specie all’art. 41 della Costituzione.

In conclusione, nell’ambito del Codice dei contratti pubblici, è possibile individuare disposizioni chiaramente ispirate a un criterio di favor per le imprese, che apprezzano e mirano a preservare e rafforzare le condizioni di equilibrio generale delle stesse.

Tale favor, incontrando il limite della par condicio competitorum, non si configura tuttavia come principio generale ma si manifesta in disposizioni che incoraggiano e incentivano la partecipazione, destinate così a essere applicate in modo uniforme a tutti i concorrenti con la fissazione di parametri chiari, certi ed eventualmente oggettivi alla luce dei quali esaminare le condizioni di partecipazione.

La disciplina in materia di contratti pubblici diventa quindi anche strumento di stimolo alla corretta gestione, di incentivo al rafforzamento delle imprese e di supporto al raggiungimento e alla conservazione di un equilibrio ottimale.

Torna in alto