24/11/2020 -Pubblicazione dei dati patrimoniali. Il Tar annulla delibera Anac n. 586 del 26 giugno 2019 , nella quale si dettano “integrazioni e modifiche della delibera 8 marzo 2017, n. 241 per l’applicazione dell’art. 14, co. 1-bis e 1-ter del d.lgs

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 12937 del 2019, proposto da

Eustachio Vitullo e Giovanni Santarsia, rappresentati e difesi dall’avvocato Francesco Maria Mantovani, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Autorità Nazionale Anticorruzione, in persona del legale rappresentante pro tempore, Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente pro tempore, rappresentate e difese dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

Azienda Sanitaria Locale di Matera, non costituita in giudizio;

per l’annullamento,

previa sospensione dell’efficacia,

della delibera n. 586 del 26 giugno 2019 dell’Anac, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 182 del 5 agosto 2019, nella quale si dettano “integrazioni e modifiche della delibera 8 marzo 2017, n. 241 per l’applicazione dell’art. 14, co. 1-bis e 1-ter del d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33 a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 20 del 23 gennaio 2019”;

della deliberazione n. 775 del 6 settembre 2019 dell’Azienda sanitaria locale di Matera, pubblicata sull’Albo telematico aziendale in pari data, in cui si impone la pubblicazione dei dati patrimoniali e reddituali dei dirigenti sanitari titolari di struttura complessa;

nonché degli atti attuativi connessi e consequenziali.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Autorità Nazionale Anticorruzione e della Presidenza del Consiglio dei Ministri;

Vista l’ordinanza cautelare di questa Sezione n. 7579/2019 del 21.11.2019;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 ottobre 2020 la dott.ssa Francesca Petrucciani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con il ricorso in epigrafe sono state impugnate la delibera n. 586 del 2019 del 26 giugno 2019 con cui l’Anac ha dettato “integrazioni e modifiche della delibera 8 marzo 2017, n. 241 per l’applicazione dell’art. 14, co. 1-bis e 1-ter del d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33 a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 20 del 23 gennaio 2019”, e la deliberazione n. 775 del 6 settembre 2019 dell’Azienda sanitaria locale di Matera, con la quale è stata imposta la pubblicazione dei dati patrimoniali e reddituali dei dirigenti sanitari titolari di struttura complessa.

I ricorrenti hanno esposto che l’art. 21, comma 1, della legge n. 69/2009 ha introdotto l’obbligo a carico delle pubbliche amministrazioni di pubblicare sui propri siti internet i curricula vitae dei dirigenti, i dati relativi agli emolumenti da questi percepiti e i relativi recapiti d’ufficio, oltre che le informazioni inerenti i tassi di assenza e di presenza del personale di ciascun ufficio dirigenziale.

Tale obbligo è stato poi trasposto nell’identica formulazione dell’art. 15 del d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, rubricato “Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni”, richiamato, con riferimento alla categoria dei dirigenti del S.s.n., dall’art. 41 del medesimo decreto.

Il quadro normativo degli obblighi di trasparenza applicabili ai dirigenti è stato poi modificato radicalmente dal d.lgs. 25 maggio 2016, n. 97, che li ha equiparati integralmente a quelli stabiliti per i titolari di incarichi politici, di amministrazione, di direzione o di governo.

In particolare, il d.lgs. 97/2016 ha introdotto il comma 1-bis dell’art. 14 del d.lgs. 33/2013, secondo cui “le pubbliche amministrazioni pubblicano i dati di cui al comma 1 per i titolari di incarichi o cariche di amministrazione, di direzione o di governo comunque denominati, salvo che siano attribuiti a titolo gratuito, e per i titolari di incarichi dirigenziali, a qualsiasi titolo conferiti, ivi inclusi quelli conferiti discrezionalmente dall’organo di indirizzo politico senza procedure pubbliche di selezione”.

I dati oggetto di pubblicazione, elencati al comma 1 dello stesso art. 14, sono l’atto di nomina o di proclamazione, con l’indicazione della durata dell’incarico o del mandato elettivo, il “curriculum”, i compensi di qualsiasi natura connessi all’assunzione della carica, gli importi di viaggi di servizio e missioni pagati con fondi pubblici, i dati relativi all’assunzione di altre cariche, presso enti pubblici o privati, ed i relativi compensi a qualsiasi titolo corrisposti, gli altri eventuali incarichi con oneri a carico della finanza pubblica e l’indicazione dei compensi spettanti, e “le dichiarazioni di cui all’articolo 2, della legge 5 luglio 1982, n. 441, nonché le attestazioni e dichiarazioni di cui agli articoli 3 e 4 della medesima legge, come modificata dal presente decreto, limitatamente al soggetto, al coniuge non separato e ai parenti entro il secondo grado, ove gli stessi vi consentano”.

La legislazione ha quindi equiparato, sotto tale profilo, la posizione dei dirigenti della pubblica amministrazione a quella dei titolari di incarichi politici, con conseguente diffusione di un’enorme quantità di dati personali, i quali avrebbero potuto essere manipolati da terzi per fini diversi da quelli della legge.

Su tale disciplina è intervenuta la Corte costituzionale che, con sentenza n. 20 del 21 febbraio 2019, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 14, comma 1 bis, del d.lgs. 33/2013, per violazione dell’art. 3 Cost., laddove prevede l’obbligo di pubblicare i dati reddituali e patrimoniali di cui all’art. 14, comma 1, lettera f) dello stesso articolo per tutti i dirigenti pubblici e non solo per quelli titolari di posizioni apicali delle Amministrazioni statali, individuate nell’art. 19, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 165/2001.

Con la delibera impugnata l’Anac, nel modificare le proprie Linee Guida in materia a seguito dell’intervento della Corte costituzionale, ha esteso nuovamente l’ambito applicativo soggettivo dell’art. 14, comma 1 bis, d.lgs. 33/2013 ai dirigenti titolari di struttura complessa del S.s.n., disponendo che “i dirigenti cui si applica la trasparenza dei dati reddituali e patrimoniali di cui all’art. 14 co. 1 lett. f) sono i titolari di incarichi dirigenziali a capo di uffici che al loro interno sono articolati in uffici di livello dirigenziale, generale e non generale”.

In esecuzione di tale delibera, l’Azienda sanitaria locale di Matera ha adottato la deliberazione n. 775 del 6 settembre 2019, anch’essa impugnata, con cui ha imposto la pubblicazione dei dati reddituali e patrimoniali, tra gli altri, dei suoi dirigenti titolari di struttura complessa.

A sostegno del ricorso sono state formulate le seguenti censure:

1.Violazione degli artt. 14, comma 1 bis, e 41 d.lgs. 14 marzo 2013 n. 33, dell’art. 1, comma 2, lettera f), della l. 6 novembre 2012, n. 190; eccesso di potere per illogicità ed irragionevolezza.

Gli atti impugnati hanno disposto l’applicazione ai ricorrenti, nella loro qualità di dirigenti medici direttori di struttura complessa, dell’art. 14, comma 1-bis, d.lgs. 33/2013, laddove prevede, in analogia con quanto già previsto per i titolari di incarichi politici di cui al comma 1, che le amministrazioni pubblicano nel proprio sito istituzionale i dati indicati nell’art. 14 comma 1, lett. f) dello stesso decreto, ossia dichiarazione dei redditi, dichiarazione dello stato patrimoniale, possesso di beni immobili o mobili registrati, azioni, obbligazioni o quote societarie, etc…

L’obbligo di pubblicazione è stato esteso ai “dirigenti del SSN che rivestono le posizioni elencate dall’art. 41, co. 2 d.lgs. 33/2013, ossia il direttore generale, il direttore sanitario, il direttore amministrativo, il responsabile di dipartimento e di strutture complesse, in quanto titolari di posizioni apicali, ovvero al vertice di strutture articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali e non (“dirigenti apicali”)”.

Tale assunto sarebbe in contrasto con il disposto dello stesso art. 14, comma 1 bis, d.lgs. 33/2013, nel contenuto precettivo attualmente vigente per effetto della sentenza n. 20/2019 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’incostituzionalità della medesima disposizione, nella parte in cui prevedeva la pubblicazione dei dati di cui all’art. 14, comma 1, lettera f), dello stesso decreto per tutti i titolari di incarichi dirigenziali, a qualsiasi titolo conferiti, anziché solo per i titolari degli incarichi dirigenziali previsti dall’art. 19, commi 3 e 4, del d.lgs. 165/2001.

Con tale pronuncia la Corte costituzionale ha circoscritto in un ambito molto ristretto l’obbligo di pubblicazione dei dati patrimoniali, limitandolo ai dirigenti individuati sulla base di due criteri distintivi, ovvero la titolarità di amplissimi poteri decisori ed organizzativi e la nomina diretta da parte dell’organo politico.

La delibera dell’Anac e il provvedimento attuativo dell’Azienda sanitaria sovvertirebbero quindi i principi dettati dalla Corte costituzionale, violando l’attuale contenuto precettivo dell’art. 14, comma 1 bis, d.lgs. 33/2013 per l’effetto della sentenza 20/2019.

La valutazione sulle esigenze di trasparenza rispetto alla dirigenza sanitaria del S.s.n. sarebbe stata operata dallo stesso legislatore nell’art. 41, comma 3, d.lgs. 33/2013, espressamente dedicato a tale categoria dirigenziale, rispetto alla quale sarebbe prevista esclusivamente l’ostensione dei dati previsti dall’art. 15 del medesimo decreto, ossia “a) gli estremi dell’atto di conferimento dell’incarico; b) il curriculum vitae; c) i dati relativi allo svolgimento di incarichi o la titolarità di cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dalla pubblica amministrazione o lo svolgimento di attività professionali; d) i compensi, comunque denominati, relativi al rapporto di consulenza o di collaborazione, con specifica evidenza delle eventuali componenti variabili o legate alla valutazione del risultato”.

II. Ulteriore violazione delle norme richiamate sub. I; violazione dell’artt. 3 e 15 d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 502.

Gli incarichi direttivi di struttura complessa conferibili ai dirigenti medici del S.s.n. non sarebbero assimilabili alle posizioni dirigenziali apicali individuate per la dirigenza statale dal combinato disposto degli artt. 16 e 19, commi 3 e 4, d.lgs. 165/2001, per assenza degli indici distintivi di queste ultime.

Nell’organizzazione sanitaria il principio di distinzione fra attività di indirizzo e attività gestionale, si realizzerebbe nella dinamica dei rapporti fra governo regionale e direzione delle aziende sanitarie e si fonderebbe sulla natura strumentale delle Aziende sanitarie rispetto al raggiungimento degli obiettivi di salute, individuati, per l’appunto, dalla Regione e posti in essere dall’azienda stessa.

L’art. 3, comma 6, del d.lgs. n. 502/1992 riserva al direttore generale, nominato su base fiduciaria dall’organo politico regionale, “tutti i poteri di gestione, nonché la rappresentanza delle unità sanitaria locale”, rendendolo responsabile della dimensione operativa e gestionale dell’azienda sanitaria di fronte alla Regione; tale figura dirigenziale sarebbe quindi equiparabile al Segretario generale dei Ministeri, in quanto concorre alla funzione di policy making in diretta collaborazione con l’organo politico regionale.

Accanto ad essa, la disciplina dell’organizzazione aziendale contenuta nel citato d.lgs. 502/1992 attribuisce competenze gestionali di livello generale anche ad altre figure dirigenziali, vale a dire il direttore amministrativo, il direttore sanitario, anch’essi nominati dall’organo politico; tali figure si porrebbero quindi in posizione analoga ai dirigenti titolari di uffici dirigenziali generali in diretta collaborazione con il Segretario generale.

Analogamente al rapporto fra dirigenza statale apicale e quella degli uffici non generali, l’attribuzione al direttore generale, amministrativo e sanitario di tutti i poteri di gestione della complessiva attività amministrativa delle Aziende sanitarie comporta una posizione di sovraordinazione rispetto agli altri dirigenti titolari delle strutture di livello inferiore collocati, a loro volta, in rapporti strettamente gerarchici tra di loro e muniti di poteri gestori entro i limiti prefissati dalla direzione generale.

I dirigenti di struttura complessa e, più in generale, tutte le figure dirigenziali degli enti del S.s.n. gerarchicamente subordinate al Direttore generale, amministrativo e sanitario, non sarebbero perciò dotati di poteri gestori generali e, piuttosto, sarebbero equiparabili ai dirigenti statali di uffici non generali di cui all’art. 19, comma 5, del d.lgs. n. 165/2001, i quali esercitano funzioni gestionali nei limiti della delega da parte dei dirigenti apicali e secondo le direttive impartite da questi ultimi.

III. Violazione degli artt. 7, 8 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dell’art. 6 del Trattato UE, dell’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dell’art. 6 della direttiva 95/46/CE, dell’art. 5 del Regolamento 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, da applicarsi negli Stati membri a decorrere dal 25 maggio 2018, nonché degli artt. 117, 3, 13, 2 della Costituzione; eccesso di potere.

L’interpretazione operata dall’Anac sarebbe contraria ai principi di proporzionalità, pertinenza, non eccedenza e finalità nel trattamento dei dati personali, sia per la natura dei dati richiesti che per le modalità di diffusione.

Si sono costituite l’Anac e la Presidenza del Consiglio dei Ministri eccependo l’inammissibilità del ricorso, in quanto avente ad oggetto un atto privo di immediata lesività, e chiedendone il rigetto nel merito.

Con ordinanza n. 7579 del 21 novembre 2019 questa Sezione ha accolto la domanda cautelare limitatamente alla deliberazione n. 775 del 2019 dell’Azienda sanitaria locale di Matera, unico atto idoneo ad arrecare pregiudizio immediato e irreparabile agli interessi dei ricorrenti.

Alla pubblica udienza del 7 ottobre 2020 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Preliminarmente deve essere esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, che deve essere disattesa in quanto infondata.

Il gravame, infatti, ha ad oggetto tanto la delibera con cui l’Anac ha modificato le precedenti Linee Guida in materia di trasparenza, a seguito della pronuncia della Corte Costituzionale n. 20/2019, quanto il successivo provvedimento con cui l’ASL di Matera ha dato attuazione a tali linee guida, disponendo la pubblicazione dei dati richiesti dall’art. 14 del d.lgs. n. 33/2013 da parte dei dirigenti del Servizio sanitario titolari di struttura complessa.

Tale ultimo atto produce certamente una lesione attuale all’interesse dei ricorrenti, destinatari dell’obbligo di pubblicazione dei dati, di tal che il ricorso deve ritenersi pienamente ammissibile.

Nel merito il ricorso deve essere accolto in quanto fondato.

Le censure proposte possono essere esaminate congiuntamente.

Come riportato nell’esposizione in fatto, l’obbligo a carico delle pubbliche amministrazioni di pubblicare sui propri siti internet i curricula vitae dei dirigenti e i dati relativi agli emolumenti da questi percepiti, oltre che le informazioni inerenti i tassi di assenza e di presenza del personale di ciascun ufficio dirigenziale, è stato introdotto dall’art. 21, comma 1, della legge 18 giugno 2009, n. 69.

Tale obbligo è stato trasposto nell’identica formulazione dell’art. 15 del d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, applicabile ai dirigenti del S.s.n. in virtù dell’espresso richiamo operato dal successivo art. 41 del medesimo decreto.

Il d.lgs. 97/2016 ha poi introdotto, nel citato art. 14, il comma 1-bis, secondo cui “le pubbliche amministrazioni pubblicano i dati di cui al comma 1 per i titolari di incarichi o cariche di amministrazione, di direzione o di governo comunque denominati, salvo che siano attribuiti a titolo gratuito, e per i titolari di incarichi dirigenziali, a qualsiasi titolo conferiti, ivi inclusi quelli conferiti discrezionalmente dall’organo di indirizzo politico senza procedure pubbliche di selezione”.

I dati oggetto di pubblicazione, elencati al comma 1 dello stesso art. 14, sono l’atto di nomina, con l’indicazione della durata dell’incarico, il curriculum, i compensi di qualsiasi natura connessi all’assunzione della carica, i dati relativi all’assunzione di altre cariche presso enti pubblici o privati, i relativi compensi, gli altri eventuali incarichi con oneri a carico della finanza pubblica e l’indicazione dei compensi spettanti, le dichiarazioni dei redditi e dello stato patrimoniale, anche del coniuge non separato e dei parenti entro il secondo grado, ove gli stessi vi consentano.

La Corte costituzionale con la sentenza n. 20 del 21 febbraio 2019 ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 14, comma 1 bis, del d.lgs. 33/2013, per violazione dell’art. 3 Cost., laddove prevedeva l’obbligo di pubblicare i dati reddituali e patrimoniali di cui all’art. 14, comma 1, lettera f) dello stesso articolo per tutti i dirigenti pubblici e non solo per quelli titolari di posizioni apicali delle Amministrazioni statali, individuate nell’art. 19, commi 3 e 4, del d.lgs. 165/2001.

Con tale pronuncia la Corte costituzionale ha affermato che la disposizione censurata non supera il “test” di proporzionalità, in quanto l’onere di pubblicazione previsto per tutti i dirigenti pubblici risulta sproporzionato rispetto alla finalità principale perseguita, quella del contrasto alla corruzione nella pubblica amministrazione, sia perché i dati indicati nella lettera f) del comma 1 dell’art. 14 del d.lgs. 33/2013, la cui pubblicazione è imposta dal censurato comma 1 bis dello stesso articolo, non risultano in diretta connessione con l’espletamento dell’incarico affidato, sia perché non è stata operata alcuna differenziazione all’interno della categoria dei dirigenti amministrativi, vincolandoli tutti all’obbligo di pubblicazione dei dati reddituali e patrimoniali, in palese violazione del principio di uguaglianza.

La Corte, tuttavia, non ha dichiarato tout court l’illegittimità costituzionale dell’art. 14 comma 1 bis del d.lgs. 33/2013, ritenendo che la completa eliminazione di tale disposizione non avrebbe salvaguardato le esigenze di trasparenza e pubblicità; ha invece indicato le specifiche tipologie di incarichi rispetto a cui gli obblighi in esame risultano congruenti e, quindi, continuano ad applicarsi, rinvenendole nelle posizioni di Segretario generale di ministeri e di direzione di strutture articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali (comma 3 dell’art. 19 d.lgs. 165/2001) e di funzione dirigenziale di livello generale (comma 4).

Le categorie dirigenziali escluse dalla pronuncia di incostituzionalità, secondo la Corte Costituzionale, sono quelle di cui all’art. 19, commi 3 e 4 del d. lg. 165/2001, secondo cui: “3.Gli incarichi di Segretario generale di ministeri, gli incarichi di direzione di strutture articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali e quelli di livello equivalente sono conferiti con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente, a dirigenti della prima fascia dei ruoli di cui all’articolo 23 o, con contratto a tempo determinato, a persone in possesso delle specifiche qualità professionali e nelle percentuali previste dal comma 6. 4. Gli incarichi di funzione dirigenziale di livello generale sono conferiti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente, a dirigenti della prima fascia dei ruoli di cui all’articolo 23 o, in misura non superiore al 70 per cento della relativa dotazione, agli altri dirigenti appartenenti ai medesimi ruoli ovvero, con contratto a tempo determinato, a persone in possesso delle specifiche qualità professionali richieste dal comma 6”.

Ciò in quanto lo svolgimento, da parte dei titolari di tali incarichi, “…di attività di collegamento con gli organi di decisione politica, con i quali il legislatore presuppone l’esistenza di un rapporto fiduciario” e “l’attribuzione a tali dirigenti di compiti – propositivi, organizzativi, di gestione (di risorse umane e strumentali) e di spesa – di elevatissimo rilievo rende non irragionevole, allo stato, il mantenimento in capo ad essi proprio degli obblighi di trasparenza di cui si discute” (Corte Costituzionale, sentenza n. 20/2019).

La Corte ha osservato, al riguardo, che il “diritto alla riservatezza dei dati personali” nel momento attuale comprende il “diritto a controllare la circolazione delle informazioni riferite alla propria persona”, secondo i canoni – delineati in sede europea – di proporzionalità, pertinenza e non eccedenza del trattamento. Secondo tali principi le “deroghe e limitazioni alla tutela della riservatezza di quei dati devono operare nei limiti dello stretto necessario, essendo indispensabile identificare le misure che incidano nella minor misura possibile sul diritto fondamentale, pur contribuendo al raggiungimento dei legittimi obiettivi sottesi alla raccolta e al trattamento dei dati”.

Contrapposto a tale diritto fondamentale è, nella fattispecie, il “diritto dei cittadini ad accedere ai dati in possesso della pubblica amministrazione”, sancito dall’articolo 1, comma 1, del d.lgs. n. 33 del 2013 e costituente principio generale del diritto europeo (art. 15, paragrafo 3, primo comma, TFUE e art. 42 CDFUE).

Nell’analizzare l’interazione tra i due diritti la Corte ha osservato, in primo luogo, che, diversamente da quanto statuito dalla legislazione “anticorruzione” che presuppone una distinzione tra i vari titolari di incarichi dirigenziali, la disposizione censurata non opera alcuna differenziazione all’interno della categoria dei dirigenti amministrativi, vincolandoli tutti all’obbligo di pubblicazione dei dati ulteriori rispetto ai compensi di qualsiasi natura connessi all’assunzione della carica. Tale scelta contrasta con il principio di uguaglianza che impone, tra l’altro, di trattare in modo diverso situazioni giuridiche differenti, e con il principio di ragionevolezza che dovrebbe guidare ogni operazione di bilanciamento tra diritti fondamentali antagonisti, il diritto alla riservatezza e il diritto alla trasparenza, la cui massima espressione è rappresentata dall’accesso ai dati della pubblica amministrazione.

Il legislatore, pertanto, avrebbe dovuto graduare gli obblighi di pubblicazione in rapporto al grado di esposizione dell’incarico pubblico al rischio di corruzione, prevedendo coerentemente livelli differenziati di pervasività e completezza delle informazioni reddituali e patrimoniali da pubblicare.

Sotto un secondo profilo, la disposizione censurata non supera il “test” di proporzionalità, giacché l’onere di pubblicazione risulta sproporzionato rispetto alla finalità principale perseguita, quella del contrasto alla corruzione nella pubblica amministrazione.

La pubblicazione di una massiccia dose di dati, comprensiva dei dati riguardanti i redditi anche di fonte privata e i patrimoni di tutti i dirigenti pubblici, cui corrisponde il diritto di chiunque di accedere ai siti direttamente, senza autenticazione né identificazione, unitamente al divieto di disporre filtri e altre soluzioni tecniche atte ad impedire ai motori di ricerca “web” di indicizzare ed effettuare ricerche all’interno della sezione «Amministrazione trasparente», potrebbero infatti comportare il reperimento “casuale” di dati personali, favorendo le ricerche ispirate unicamente all’esigenza di soddisfare anche solo mere curiosità, con il rischio di produrre una sorta di “opacità per confusione” proprio in virtù dell’irragionevole mancata selezione, a monte, delle informazioni più idonee al perseguimento dei legittimi obiettivi perseguiti.

Alla luce di tali principi deve essere affrontata la questione dell’applicabilità dell’art. 14, così come riformulato all’esito della sentenza della Corte, ai dirigenti del Servizio sanitario nazionale.

Con riferimento agli obblighi di pubblicazione applicabili a tali figure dirigenziali va in primo luogo considerato che il d.lgs. n. 33/2013 contiene un apposito capo, il V, dedicato agli “Obblighi di pubblicazione in settori speciali”; nell’ambito di tale capo l’art. 41 stabilisce che “Le amministrazioni e gli enti del servizio sanitario nazionale, dei servizi sanitari regionali, ivi comprese le aziende sanitarie territoriali ed ospedaliere, le agenzie e gli altri enti ed organismi pubblici che svolgono attività di programmazione e fornitura dei servizi sanitari, sono tenute all’adempimento di tutti gli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente

1-bis. Le amministrazioni di cui al comma 1 pubblicano altresì, nei loro siti istituzionali, i dati relativi a tutte le spese e a tutti i pagamenti effettuati, distinti per tipologia di lavoro, bene o servizio, e ne permettono la consultazione, in forma sintetica e aggregata, in relazione alla tipologia di spesa sostenuta, all’ambito temporale di riferimento e ai beneficiari.

2. Le aziende sanitarie ed ospedaliere pubblicano tutte le informazioni e i dati concernenti le procedure di conferimento degli incarichi di direttore generale, direttore sanitario e direttore amministrativo, nonché degli incarichi di responsabile di dipartimento e di strutture semplici e complesse, ivi compresi i bandi e gli avvisi di selezione, lo svolgimento delle relative procedure, gli atti di conferimento.

3. Alla dirigenza sanitaria di cui al comma 2 si applicano gli obblighi di pubblicazione di cui all’articolo 15. Per attività professionali, ai sensi del comma 1, lettera c) dell’articolo 15, si intendono anche le prestazioni professionali svolte in regime intramurario”.

Tale disposizione prevede quindi l’obbligo per le aziende sanitarie di pubblicare tutte le informazioni e i dati concernenti le procedure di conferimento degli incarichi di direttore generale, direttore sanitario e direttore amministrativo, nonché degli incarichi di responsabile di dipartimento e di strutture semplici e complesse, ivi compresi i bandi e gli avvisi di selezione, lo svolgimento delle relative procedure e gli atti di conferimento.

La norma richiama espressamente solo il precedente art. 15 del medesimo decreto, e non i più penetranti obblighi di pubblicazione di cui all’art. 14, ma l’omissione costituisce, con tutta probabilità, un difetto di coordinamento, come ritenuto anche dall’Anac, poiché una diversa interpretazione comporterebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra la dirigenza del S.s.n, assoggettata agli obblighi di pubblicazione di cui all’art. 15 del d.lgs. 33/2013, e gli altri dirigenti pubblici tenuti, invece, agli obblighi previsti dall’art. 14.

Tuttavia, al fine di individuare il regime di pubblicità applicabile nel campo della dirigenza sanitaria, non può non considerarsi la peculiarità di tale settore che, dal 1992 in poi, è stato oggetto di un lungo processo di riforma, che ha portato alla trasformazione del ruolo e della funzione della dirigenza, al fine di migliorare il funzionamento degli enti di erogazione delle prestazioni sanitarie.

Tale obiettivo è stato perseguito, anzitutto, attraverso la valorizzazione della figura del direttore generale, nonché attraverso la risistemazione delle figure dirigenziali che, nel settore della sanità, rappresentano un numero in proporzione assolutamente superiore rispetto a quello di qualsiasi altro ambito amministrativo, essendo stata attribuita la qualifica dirigenziale a tutti i professionisti medici operanti nel sistema sanitario.

Pertanto, nell’ambito dell’azienda sanitaria, la dirigenza comprende le figure apicali del direttore generale e dei direttori amministrativo e sanitario e, solo al livello successivo, la c.d. “dirigenza operativa”.

La dirigenza sanitaria, in base a quanto disposto dall’art. 15, comma 1, del d.lgs. n. 502 del 1992 «è collocata in un unico ruolo, distinto per profili professionali e in un unico livello, articolato in elazione alle diverse responsabilità professionali e gestionali».

L’art. 3, comma 6, del citato d.lgs. riserva al direttore generale “tutti i poteri di gestione, nonché la rappresentanza delle unità sanitaria locale”, con la conseguente responsabilità della dimensione operativa e gestionale dell’azienda sanitaria regionale, e riconosce poi competenze gestionali anche ad altre figure dirigenziali, quali il direttore amministrativo, il direttore sanitario, i dirigenti di struttura, il direttore di distretto, il dirigente medico, il dirigente sanitario di presidio, i direttori di dipartimento. L’art. 3, comma 7, dispone che «il direttore sanitario dirige i servizi sanitari ai fini organizzativi ed igienico-sanitari; […] il direttore amministrativo dirige i servizi amministrativi dell’unità sanitaria locale». Il successivo art. 15, comma 6, attribuisce ai dirigenti con incarico di direzione di struttura complessa «oltre a quelle derivanti dalle specifiche competenze professionali, funzioni di direzione e organizzazione della struttura, da attuarsi, […] anche mediante direttive a tutto il personale operante nella stessa e l’adozione delle relative decisioni necessarie per il corretto espletamento del servizio […]».

Nel sistema così delineato, ai medici che operano nel Servizio sanitario nazionale è automaticamente attribuita la qualifica dirigenziale, connessa alla loro professionalità. Tutti i medici dipendenti delle aziende sanitarie sono pertanto inquadrati come dirigenti, a prescindere dallo svolgimento effettivo di incarichi di direzione di strutture, semplici o complesse.

Dall’esame delle peculiarità di tale organizzazione si evince, quindi, non solo che il numero dei dirigenti è di molto superiore a quello degli altri settori della pubblica amministrazione, ma che, di conseguenza, anche strutture nel cui ambito operano numerosi dirigenti sono configurate come strutture semplici, ovvero come unità organizzativa più piccola del sistema (l’unica la cui direzione, secondo il provvedimento impugnato, sfuggirebbe agli obblighi di pubblicazione di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 33/2013).

Allo stesso modo, risalendo nell’organizzazione, le strutture complesse non coincidono, sic et simpliciter, con unità organizzative di rilevanti dimensioni ed apicali, ma comprendono anche figure di media entità, molto numerose e diffuse nel sistema ospedaliero.

Tali considerazioni inducono a ritenere, nel rispetto dei principi affermati dalla Corte Costituzionale, che l’individuazione dei destinatari dell’obbligo di pubblicazione, particolarmente penetrante, dei dati di cui all’art. 14 del d.lgs. citato, nei medici responsabili di struttura complessa non costituisca un adeguato bilanciamento tra le esigenze di trasparenza e quelle di riservatezza, in quanto comporterebbe la raccolta di un numero elevatissimo di dati, aventi ad oggetto informazioni anche relative ai redditi privati dei professionisti interessati, con conseguente eccessiva penalizzazione della “privacy” di tali soggetti rispetto all’effettivo accrescimento della possibilità di conoscenza dei meccanismi del sistema da parte del cittadino.

Le figure dirigenziali indicate, infatti, non possono considerarsi particolarmente vicine rispetto alla sede di individuazione e selezione degli indirizzi politici, e si occupano piuttosto dell’effettiva gestione ed operatività delle aziende sanitarie.

In relazione a tali attività e alla capillare diffusione delle strutture di livello complesso l’esigenza di trasparenza deve ritenersi, per definizione, grandemente attenuata, con la conseguenza che l’accumulo dei dati reddituali di tali soggetti comporterebbe più un appesantimento del sistema che un effettivo beneficio alla trasparenza e conoscibilità dell’operato dell’Amministrazione, dovendosi limitare l’applicazione del regime di trasparenza più pervasivo, nel rispetto di quanto statuito dalla Corte Costituzionale e in attesa dell’auspicato riordino della materia da parte del legislatore, solo alle figure dirigenziali effettivamente apicali.

In conclusione il ricorso deve essere accolto, con annullamento dei provvedimenti impugnati.

La novità della questione controversa giustifica, comunque, la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati.

Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 ottobre 2020 con l’intervento dei magistrati:

Ivo Correale, Presidente FF

Roberta Ravasio, Consigliere

Francesca Petrucciani, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

Francesca Petrucciani Ivo Correale

 

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