31/03/2020 – Concorsi pubblici: il criterio di valutazione, quale titolo preferenziale, dell’assistenza al famigliare disabile.

Concorsi pubblici: il criterio di valutazione, quale titolo preferenziale, dell’assistenza al famigliare disabile.
Federica Scordino
Partendo dall’esame del concorso pubblico, quale sistema garantistico dell’imparzialità della Pubblica Amministrazione, si esamina la portata applicativa dell’art. 33 della legge n.104 del 1992, in specie alla luce del recente arresto TAR n. 1035/2019
 martedì 31 marzo 2020
 
Sommario: 1. La ratio della legge 104; 2. Sentenza n°5603 del Consiglio di Stato come punto di riferimento per il TAR; 3. La decisione del TAR Lazio emessa con l’ordinanza n°1035 dell’11 Febbraio 2019.
1. La ratio della legge 104
La Pubblica Amministrazione è chiamata al rispetto di molti principi che costituiscono il fondamento della stessa; tra questi, i più importanti sono: buon andamento ed imparzialità. Questi ultimi si possono considerare i pilastri della Pubblica Amministrazione non solo per espressa previsione della nostra Costituzione (art.97)[1], ma anche più specificatamente del diritto amministrativo (art. 1 della legge n° 241/1990)[2]. I concorsi pubblici sono infatti uno dei sistemi utilizzati dalla Pubblica Amministrazione per la selezione del personale amministrativo, ma con la condizione di raggiungere tale finalità in modo perfettamente imparziale: più nello specifico, ponendo fede sulle capacità, esperienze o conoscenze che ogni singolo candidato riuscirà a dimostrare durante la procedura concorsuale.
Una recente ordinanza del TAR Lazio ha confermato che la scelta della sede di lavoro per il lavoratore che assiste un soggetto diversamente abile, non costituisce prelazione per lo stesso lavoratore vincitore del concorso pubblico. Per comprendere la decisione del TAR, bisogna partire dalla legge sulla quale il lavoratore, vincitore del concorso, avrebbe basato le proprie ragioni. Il legislatore nel 1992 ha emanato una normativa, la n°104 interamente dedicata ai soggetti portatori di handicap, con la previsione di riuscire a raggiungere diversi obiettivi: in primis garantire l’assistenza, l’integrazione sociale ed il rispetto dei diritti delle persone gravate da handicap.
L’art. 1[3] della legge n°104/1992 dichiara le finalità perseguite dalla Repubblica mediante tale legge: garantire l’autonomia della persona diversamenente abile; promuoverne l’integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società; raggiungere la massima autonomia possibile; superare l’emarginazione sociale; garantire la tutela giuridica ed economica della persona medesima. La legge 104 definisce portatori di un handicap tutte quelle persone che presentino una “minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva”, tale da determinare: difficoltà nelle relazioni, nell’apprendimento o nella integrazione lavorativa; un processo di emarginazione o di svantaggio sociale; riduzione dell’autonomia tale da rendere necessario un intervento di assistenza permanente, continuativo e globale sia nella sfera delle relazioni che in quella individuale. La legge 104 si applica a tutte le persone che risiedono, abbiano domicilio o stabile dimora nel territorio italiano, anche se stranieri o apolidi, e – in alcuni casi – ai familiari che assistono un portatore di handicap. Quest’ultima, infatti, è la parte su cui bisogna soffermarsi al fine di comprendere il caso di specie che ha riguardato il TAR Lazio, conclusosi con ordinanza n° 1035 dell’11 febbraio 2019.
L’art. 33[4] della legge n°104/1992 viene rubricato “Agevolazioni” e non a caso, nei vari commi, indica quali soggetti, in qualità di assistenti, hanno diritto a tali agevolazioni. Il legislatore ha così individuato tra le principali esigenze dei diversamente abili, quella di essere affiancati o assistiti da un genitore, un affine o parente entro il terzo grado che conviva nella stessa abitazione;  conseguentemente è stato inevitabile assicurare diverse agevolazioni a tutti quei soggetti che avrebbero svolto il ruolo di assistente di un soggetto gravato da handicap, in modo da potergli garantire, in primis, il tempo per tale assistenza. Per espressa previsione dell’art. 33, comma 5, della legge n°104/1992:” Il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado gravato da handicap, con lui convivente, ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede”. Questa norma era già stata, nel 2011, oggetto della sentenza n°5603 della IV Sezione dei Consiglio di Stato.
2. Sentenza n°5603 del Consiglio di Stato come punto di riferimento per il TAR
In quest’ultima sentenza viene riportato il caso in cui gli appellanti, vincitori di un concorso interno del Corpo della Polizia Penitenziaria, impugnano la sentenza del TAR del Lazio con cui è stato respinto il loro ricorso contro il provvedimento di assegnazione delle sedi ai vincitori, effettuata senza tener conto delle posizioni ricoperte dai singoli nella graduatoria e senza consentire agli stessi la possibilità di comunicare l’eventuale rinuncia al grado. Gli appellanti dunque sottolineavano l’erroneità della decisione, con il conseguente mancato rispetto da parte della Pubblica Amministrazione dei principi di buon andamento ed imparzialità. Nel caso di specie, non mancò occasione al Consiglio di Stato per ribadire alcuni aspetti fondamentali a cui, rigorosamente, la Pubblica Amministrazione è chiamata ad aderire; tra questi il fatto che le eventuali sedi di assegnazione dei lavoratori vincitori del concorso devono essere contenute nel bando originario del concorso pubblico e che l’eventuale pubblicazione successiva di altre sedi non specificate nel bando originario, non solo stravolge il procedimento di assegnazione, ma va a potenziare la lesione degli interessi legittimi dei vincitori del concorso. Il fatto che la Pubblica Amministrazione, per l’assegnazione nelle varie sedi, tenga in considerazione la graduatoria dei vincitori, costituisce un criterio promotore sia del buon andamento, ma soprattutto della imparzialità.
Nel caso in esame gli appellanti marcavano il fatto che la Pubblica Amministrazione avrebbe applicato illegittimamente l’art. 33 della legge 104/1992, in quanto si riferisce solo al lavoratore che già assista con continuità un familiare portatore di handicap e non potrebbe essere applicato ai casi in cui il lavoratore ambisca ad un trasferimento, onde instaurare un rapporto di assistenza nell’ambito familiare. Sul punto il Consiglio di Stato si è pronunciato ricordando che il diritto di scelta della sede di lavoro, assicurato al lavoratore che assista con continuità un familiare diversamente abile convivente, non costituisce un titolo preferenziale o una prelazione in favore del lavoratore vincitore di concorso, e non consente mai di sovvertire l’ordine di assegnazione delle sedi secondo la graduatoria finale. La norma in esame prevede infatti che l’esercizio del relativo diritto concerna esclusivamente posti di lavoro vacanti, ulteriori rispetto a quelli assegnati ai vincitori del concorso. Questa sentenza ha costituito il punto di riferimento per il TAR Lazio al fine dell’emanazione dell’ordinanza n°1035.
3. La decisione del TAR Lazio emessa con l’ordinanza n°1035 dell’11 Febbraio 2019
Il TAR Lazio viene investito di una questione sulla quale la stessa giurisprudenza sembra univoca, infatti non ci sarebbero opinioni giurisprudenziali contrastanti circa la questione risolta dal TAR. Nel caso di specie, il ricorrente aveva sostenuto il proprio ricorso nello specifico sull’art. 33 della legge 104/1992, ritenendo il diritto sancito da quest’ultima norma come criterio preferenziale o di prelazione per l’assegnazione della sede lavorativa a seguito della vittoria del concorso pubblico. Il TAR non si dilunga molto nell’esporre le motivazioni della decisione, infatti dopo aver citato la sentenza riportata sopra, cioè la n. 5603 del Cons. Stato, Sez. IV, 18/10/2011, si limita a riportare poche battute secondo le quali: “Il Collegio ritiene di aderire a quell’orientamento secondo cui il diritto di scelta della sede di lavoro, assicurato al lavoratore che assista con continuità un familiare handicappato convivente (art. 33 legge n. 104/1992), non costituisce un titolo preferenziale o una prelazione in favore del lavoratore vincitore di concorso, e non consente mai di sovvertire l’ordine di assegnazione delle sedi secondo la graduatoria finale.
La norma in esame prevede infatti che l’esercizio del relativo diritto concerna esclusivamente posti di lavoro vacanti, ulteriori rispetto a quelli assegnati ai vincitori del concorso”. Il punto da chiarire sta sul fatto che, ciò che è stato deciso con l’ordinanza del TAR non comprime i diritti di tutti coloro che assistono persone gravate da handicap e questo viene confermato anche dalla giurisprudenza: l’importante è riuscire a distinguere le diverse situazioni e i differenti casi concreti. Non sono mancati casi, ovviamente diversi rispetto a quello in esame, in cui la Corte ha sottolineato che il diritto di un genitore o familiare lavoratore che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio, è applicabile non solo all’inizio del rapporto di lavoro mediante la scelta della sede ove viene svolta l’attività lavorativa, ma anche nel corso del rapporto mediante domanda di trasferimento. La ratio della norma è infatti quella di favorire l’assistenza al parente o affine invalido, ed è irrilevante, a tal fine, se tale esigenza sorga nel corso del rapporto o sia presente all’epoca dell’inizio del rapporto stesso.
Nel nostro caso in esame non viene messo in gioco il solo interesse e diritto del lavoratore di assistere l’handicappato, ma anche l’esigenza di garantire il pieno rispetto dei principi di buon andamento ed imparzialità della Pubblica Amministrazione; motivo per cui consentire al vincitore del concorso di scegliere la propria sede di lavoro esclusivamente sulla base dell’art. 33 della legge 104/1992 senza tener conto della graduatoria del concorso, significherebbe non soltanto ledere eventuali interessi legittimi di altri partecipanti, ma pregiudicare lo stesso modus operandi della Pubblica Amministrazione. Dall’esame appena effettuato si arriva alla conclusione che l’ordinanza del TAR Lazio non ha fatto altro che esporre una decisione bilanciata risultante dalla valutazione di più interessi e diritti coinvolti, specificando tuttalpiù il campo applicativo dell’art. 33 della legge 104/1992.
Note e riferimenti bibliografici
[1] Art. 97 Cost.: “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari.
Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”.
[2] Art. 1 della legge n. 241/1990: “L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza, secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell’ordinamento comunitario”.
[3] Art. 1 della legge n. 104/1992: “1. La Repubblica: a) garantisce il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di
Libertà e di autonomia della persona handicappata e ne promuove la piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società; b) previene e rimuove le condizioni invalidanti che impediscono lo sviluppo della persona umana, il raggiungimento della massima autonomia possibile e la partecipazione della persona handicappata
alla vita della collettività, nonché la realizzazione  dei  diritti civili, politici e patrimoniali; c) persegue il recupero funzionale e sociale della persona affetta da minorazioni fisiche, psichiche e sensoriali e assicura i servizi e le prestazioni  per  la  prevenzione,  la cura e la riabilitazione delle minorazioni, nonché la tutela giuridica ed economica  della  persona handicappata; d) predispone interventi volti a superare stati di emarginazione e di esclusione sociale della persona handicappata”.
[4] Art. 33 della legge n. 104/1992: “1. La lavoratrice madre o, in alternativa, il  lavoratore  padre, anche adottivi, di minore con  handicap  in  situazione  di  gravità accertata ai  sensi  dell’articolo  4,  comma  1,  hanno  diritto  al
prolungamento fino a tre anni del periodo di  astensione  facoltativa dal lavoro di cui all’articolo 7 della legge  30  dicembre  1971,  n. 1204, a condizione che il bambino non sia ricoverato  a  tempo  pieno presso istituti specializzati. 2. I soggetti di cui al comma  1  possono  chiedere  ai  rispettivi datori di lavoro di usufruire, in alternativa al prolungamento fino a tre anni del  periodo  di  astensione  facoltativa,  di  due  ore  di permesso giornaliero retribuito fino al compimento del terzo anno  di vita del bambino. 3. Successivamente  al  compimento  del  terzo  anno  di  vita  del bambino, la lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, anche adottivi, di minore con handicap  in  situazione  di  gravità, nonché  colui che assiste una persona con handicap in  situazione  di gravità, parente o affine entro il terzo  grado,  convivente,  hanno diritto a tre giorni di permesso mensile, fruibili anche  in  maniera continuativa a condizione che la persona con handicap  in  situazione di gravità non sia ricoverata a tempo pieno. 4. Ai permessi di cui ai commi 2 e 3, che si cumulano con quelli previsti all’articolo 7 della citata legge n. 1204 del 1971,  si applicano le  disposizioni  di  cui  all’ultimo  comma  del  medesimo articolo 7 della legge n. 1204 del  1971,  nonché  quelle  contenute negli articoli 7 e 8 della legge 9 dicembre 1977, n. 903. 5. Il genitore o il familiare lavoratore, con  rapporto  di  lavoro pubblico o privato, che assista  con  continuità  un  parente  o  un affine entro il terzo grado  handicappato,  con  lui  convivente,  ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina  al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo  consenso ad altra sede. 6. La persona handicappata maggiorenne in situazione di gravità può usufruire dei permessi di cui ai commi 2 e 3, ha diritto  a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più  vicina  al  proprio domicilio e non può essere trasferita in altra sede,  senza  il  suo consenso. 7. Le disposizioni di cui ai commi 1, 2, 3, 4  e  5  si  applicano anche agli  affidatari  di  persone  handicappate  in  situazione  di gravità”.

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