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Urbanistica. Conflitto di interesse dei consiglieri comunali nelle deliberazioni di approvazione degli strumenti urbanistici.
Pubblicato: 25 Marzo 2020
di Antonio VERDEROSA

Le scelte urbanistiche di carattere generale costituiscono apprezzamenti di merito tendenzialmente sottratte al sindacato di legittimità, salvo che siano inficiate da errori di fatto, da gravi o abnormi illogicità, oppure da irragionevolezza, contraddittorietà o da conflitto di interesse. Le scelte di politica urbanistica operate dagli amministratori nell’esercizio dell’attività politica di governo del territorio non necessitano di specifica ed articolata motivazione, essendo sufficiente che dallo strumento pianificatorio emergano i criteri generali ai quali esso si ispira e gli obiettivi che lo stesso intende realizzare al netto di situazioni di incompatibilità tra i consiglieri circa le scelte operate sull’utilizzazione del territorio.

In tema di conflitto d’interesse inveratosi in capo agli amministratori posto che alcuni consiglieri comunali partecipino alla discussione e votazione della delibera di adozione e successiva approvazione degli strumenti urbanistici  pur essendo, i medesimi, proprietari di terreni, si evidenzia che i fini della sussistenza dell’obbligo di astensione di cui all’art.78 comma 2 del d.lgs n. 267/2000 occorre vi sia una correlazione immediata e diretta tra il contenuto della delibera che si va a discutere e votare e specifici interessi propri dei partecipanti alla seduta ( Cons Stato Sez. IV 21/6/ 2007 n.3385; idem 25/9/2014 n. 4806 ), deve essere  diretto ed immediato il concreto vantaggio che la delibera avrebbe comportato in favore dei soggetti che si sarebbero dovuto astenere (Cons. Stato Sez. IV 26/172012 n. 351) non essendo sufficiente la generica circostanza relativa alla semplice condizione che alcuni consiglieri siano proprietari di fondi. Ora la necessità di una più stringente situazione di concreta conflittualità si rende indispensabile allorchè si va ad approvare strumenti urbanistici disciplinanti la pianificazione di centri piccoli, dove la possibilità di essere proprietari di suoli interessati dalle previsioni dell’approvando strumento è particolarmente alta. La regola ricavata dall’interpretazione della citata disposizione del T.U. sugli enti locali è nel senso che “l’astensione del Consigliere comunale dalle deliberazioni assunte dall’organo collegiale deve trovare applicazione in tutti i casi in cui, per ragioni di ordine obiettivo, egli non si trovi in posizioni di assoluta serenità rispetto alle decisioni da adottare di natura discrezionale, con la precisazione che il concetto di “interesse” del consigliere alla deliberazione comprende ogni situazione di conflitto o di contrasto di situazioni personali, comportante una tensione della volontà, verso una qualsiasi utilità che si possa ricavare dal contribuire all’adozione di una delibera” (Cons. Stato Sez. IV, 28 gennaio 2011 n.693).

L’art. 78 prevede che il comportamento degli amministratori degli enti locali deve essere improntato all’imparzialità e al principio di buona amministrazione, nel pieno rispetto della distinzione tra le funzioni, competenze e responsabilità degli organi politici e di quelle proprie dei dirigenti delle rispettive amministrazioni.

Prescrive, poi, che tali amministratori «devono astenersi dal prendere parte alla discussione ed alla votazione di delibere riguardanti interessi propri o di loro parenti o affini sino al quarto grado» con esclusione dei soli provvedimenti normativi o di carattere generale, quali i piani urbanistici «se non nei casi in cui sussista una correlazione immediata e diretta fra il contenuto della deliberazione e specifici interessi dell’amministratore o di parenti o affini fino al quarto grado». Prevede, infine, il co. 5, che «[…] ai consiglieri comunali […] è vietato ricoprire incarichi e assumere consulenze presso enti ed istituzioni dipendenti o comunque sottoposti al controllo ed alla vigilanza dei relativi comuni e province».

Con riferimento specifico all’approvazione dei provvedimenti normativi o di carattere generale, la norma ha disciplinato l’obbligo di astensione in modo tale che la sua violazione possa verificarsi solo in presenza di un interesse immediato, diretto e specifico dell’amministratore (o dei suoi parenti o affini) e non di un interesse genericamente non definito.

L’art. 78 contiene la clausola generale in base alla quale per tutti gli amministratori locali vi è sempre l’obbligo di astensione qualora vengano a trovarsi in posizione di conflitto, in quanto portatori di interessi personali, diretti o indiretti, in contrasto potenziale con quello pubblico. Pertanto, anche quando non risultino integrati tutti i presupposti di cui all’art. 63 che danno luogo ad incompatibilità, potrebbero, comunque, sussistere gli estremi del conflitto di interessi, con conseguente obbligo di astensione dell’interessato dalla decisione che deve essere assunta dall’organo collegiale.

Quanto alle ipotesi di conflitto d’interesse di cui all’art. 78, invece, pur essendo imposto un generale obbligo di astensione per i consiglieri che si vengano a trovare in tale situazione, non è prevista alcuna ulteriore disposizione per assicurarne l’effettivo rispetto.  In altri termini, la deliberazione adottata con il voto del consigliere in conflitto d’interessi è suscettibile di impugnativa innanzi al giudice competente da parte dei soggetti interessati, ma non è previsto alcun sistema di controllo esterno o popolare, né è prevista alcuna forma di contestazione formale da parte del consiglio.  Peraltro, sembra utile rilevare che la violazione dell’obbligo di astensione in caso di conflitto di interesse dei pubblici dipendenti – previsto dall’art. 6-bis della l. 241/1990 – dà luogo a responsabilità disciplinare suscettibile di essere punita con l’irrogazione di sanzioni, all’esito del relativo procedimento, oltre a poter costituire fonte di illegittimità del procedimento e del provvedimento conclusivo dello stesso, quale sintomo di eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento della funzione tipica dell’azione amministrativa (cfr. Piano Nazionale Anticorruzione di cui alla delibera Civit dell’11 settembre 2013, n. 72 – Allegato 1, par. B.6.). Al contrario, nessun analogo sistema sanzionatorio è previsto per le ipotesi di mancata astensione nella situazione di conflitto di interesse di cui all’art. 78.  Nulla vieta che nelle ipotesi di cui all’art. 78, il consiglio comunale, pur in assenza di un’espressa disposizione al riguardo, provveda comunque ad una formale contestazione nei confronti del consigliere che si accinga a partecipare alla decisione, anche se si trova in una posizione di conflitto d’interessi.

Con sent. 28 luglio 2015, n. 3705, la Sezione V del Consiglio di Stato ha chiarito che, nel disciplinare l’obbligo di astensione degli amministratori l’articolo 78, comma 2, Tuel, per i casi in cui essi o loro parenti siano potenzialmente interessati a delibere dell’organo di cui fanno parte, prevede che questo dovere è configurabile anche nei riguardi dei «provvedimenti normativi o di carattere generale», purché «sussista una correlazione immediata e diretta fra il contenuto della deliberazione e specifici interessi dell’amministratore o di parenti».

La normativa dispone che :  “…gli amministratori di cui all’articolo 77, comma 2, devono astenersi dal prendere parte alla discussione ed alla votazione di delibere riguardanti interessi propri o di loro parenti o affini sino al quarto grado. L’obbligo di astensione non si applica ai provvedimenti normativi o di carattere generale, quali i piani urbanistici, se non nei casi in cui sussista una correlazione immediata e diretta fra il contenuto della deliberazione e specifici interessi dell’amministratore o di parenti o affini fino al quarto grado” e “nel caso di piani urbanistici, ove la correlazione immediata e diretta di cui al comma 2 sia stata accertata con sentenza passata in giudicato, le parti di strumento urbanistico che costituivano oggetto della correlazione sono annullate e sostituite mediante nuova variante urbanistica parziale. Nelle more dell’accertamento di tale stato di correlazione immediata e diretta tra il contenuto della deliberazione e specifici interessi dell’amministratore o di parenti o affini è sospesa la validità delle relative disposizioni del piano urbanistico…”.

Da tali disposizioni la giurisprudenza (cfr. T.A.R. Liguria, Sez. I, n. 57 del 30 gennaio 2017) ha ricavato il condivisibile principio in base al quale “…la partecipazione alle votazioni di consiglieri che, in ipotesi, avrebbero dovuto astenersi comporta, ai sensi del comma 4 del citato art. 78, l’annullamento delle sole parti dello strumento urbanistico relativamente alle quali sia stata accertata la correlazione con gli specifici interessi dell’amministratore pubblico o dei suoi parenti. Tale disposizione è stata intesa dalla giurisprudenza nel senso che l’eventuale conflitto di interessi, qualora accertato, non travolge l’intero piano urbanistico, ma solo le parti direttamente collegate agli interessi degli amministratori che abbiano illegittimamente concorso alla sua adozione….” (Cons. Stato, sez. V, 12 giugno 2009, n. 3744; T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 8 luglio 2009, n. 1461).

Ne consegue che la legittimazione a far valere un profilo di invalidità di tale natura va riconosciuta esclusivamente a chi dimostri un’effettiva utilità a conseguire l’annullamento in parte qua del Piano. Il proprietario di aree comprese nello strumento urbanistico, in altre parole, ha interesse a denunciare la violazione dell’obbligo di astensione laddove provi che l’interesse personale del consigliere in situazione di conflittualità ha inciso anche sulle sue aree (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 17 maggio 2010, n. 1526)”.

In molti casi è stato osservato che la violazione dell’art. 78, comma 2, del d.lgs. n. 267/2000 non attiene al contenuto intrinseco dell’atto impugnato, ma alla sussistenza di un vizio procedurale che, coinvolgendo il funzionamento del consiglio (la sua composizione), interferisce inevitabilmente con la regolarità della dialettica interna all’organo e, di conseguenza, sulla corretta esplicazione delle prerogative dei consiglieri legittimati a partecipare alla discussione e al voto; e che, quindi, se il vizio dell’iter deliberativo discende, di per sé, dalla sola presenza in assemblea dei consiglieri in conflitto di interesse (in quanto potenzialmente idonea ad influire sulla altrui libera manifestazione di volontà: cfr. TAR Veneto, Venezia, sez. II, 3 settembre 2010, n. 4338), vieppiù il pregiudizio del munus degli altri consiglieri si verifica in concreto, ogni qual volta i membri incompatibili non soltanto siano stati presenti, ma abbiano altresì espresso voto favorevole alla delibera dalla quale si sarebbero invece dovuti astenere (cfr. TAR Liguria, Genova, 19 ottobre 2007, n. 1773; TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 3 maggio 2013, n. 1137).

Ed ancora : l’approvazione del progetto di allargamento e sistemazione della strada, non esclude l’ipotizzabilità di vantaggi indiretti connessi alla realizzazione dell’opera idonei a fondare un potenziale conflitto di interessi. Affinchè si verifichi la fattispecie generatrice dell’obbligo di astensione, invero, occorre prescindere dalla produzione, in concreto, di un vantaggio alla posizione privata e di uno svantaggio a quella della p.a. (Cons. St. Sez. IV, n. 28.1.2011, n. 693).

Al riguardo la regola ricavata dall’esegesi della citata disposizione del T.U. sugli enti locali è nel senso che “l’astensione del Consigliere comunale dalle deliberazioni assunte dall’organo collegiale deve trovare applicazione in tutti i casi in cui, per ragioni di ordine obiettivo, egli non si trovi in posizioni di assoluta serenità rispetto alle decisioni da adottare di natura discrezionale, con la precisazione che il concetto di “interesse” del consigliere alla deliberazione comprende ogni situazione di conflitto o di contrasto di situazioni personali, comportante una tensione della volontà, verso una qualsiasi utilità che si possa ricavare dal contribuire all’adozione di una delibera” (Cons. St. Sez. IV, n. 28.1.2011, n. 693).

Giova, in primis, rammentare, da un lato, che, ai sensi dell’art. 78, comma 2, del d.lgs. n. 267/2000, i consiglieri comunali, relativamente agli atti a carattere generale quali gli strumenti urbanistici, devono astenersi dal partecipare alla discussione ed alla votazione nei casi in cui sussista una correlazione immediata e diretta fra il contenuto della deliberazione e specifici interessi propri o di congiunti fino al quarto grado (quali, appunto, gli interessi inerenti alla classificazione di aree ricadenti nella zonizzazione di piano: cfr. Cons. Stato, sez. IV, 21 giugno 2007, n. 3385; TAR Puglia, Lecce, sez. III, 29 gennaio 2014, n. 268) (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 25 settembre 2014, n. 4806) e, d’altro lato, che, anche in omaggio al principio generale sancito dall’art. 6 bis della l. n. 241/1990, tale obbligo di allontanamento dalla seduta, in quanto volto a garantire la trasparenza e l’imparzialità dell’azione amministrativa, sorge per il solo fatto che i consiglieri comunali rivestono posizioni suscettibili di determinare, anche in astratto, conflitti di interesse, a nulla rilevando che sia stato o meno realizzato lo specifico fine privato e che si sia prodotto o meno un concreto pregiudizio per la pubblica amministrazione, ma dovendosi, piuttosto, scongiurare in radice che si verifichi un vizio procedurale incidente sulla composizione e sul funzionamento dell’organo collegiale, e, quindi, sulla sua dialettica interna, nonché sull’esercizio delle prerogative dei suoi membri (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28 gennaio 2011, n. 693; TAR Lazio, Roma, sez. II, 12 marzo 2007, n. 2284; TAR Liguria, Genova, 19 ottobre 2007, n. 1773; TAR Abruzzo, L’Aquila, 19 marzo 2014, n. 261).

In senso contrario, non può accreditarsi la tesi di molti comuni italiani, secondo cui le situazioni di conflitto di interessi comportanti l’obbligo di astensione non sarebbero in concreto estrapolabili, allorquando il corpo deliberante sia chiamato ad adottare un provvedimento di carattere generale, quale il P.U.C., dove il voto del singolo amministratore non riguarda uno specifico “affare” su cui si appunta un personale coinvolgimento, ma tocca il contenuto globale di un atto, frutto di procedimenti complessi, in cui refluiscono e si compensano interessi molteplici, pubblici, collettivi ed individuali.

Una volta chiarito ciò e tornando al comma secondo della norma in commento, va chiarito anzitutto che il dovere di astensione si impone al consigliere , per così dire, ex ante, ogniqualvolta cioè incidendo l’atto da adottare su un interesse dell’amministratore, in senso vantaggioso o svantaggioso, vi sia il pericolo che la volontà dello stesso non sia immune da condizionamenti, e che vi sia invalidità della delibera adottata con il concorso di chi avrebbe dovuto astenersi.

E ciò a prescindere dai vantaggi o svantaggi in concreto conseguiti; v’è un contrasto dunque tra due interessi facenti capo alla stessa persona, uno dei quali di tipo «istituzionale» ed un altro di tipo «personale» che va risolto con l’astensione dal partecipare alla discussione e alla votazione sulla deliberazione.

Inoltre, dal tenore letterale dell’art. 78, comma 2, del d.lgs. n. 267 del 2000 emerge che la deroga divisata per gli atti generali e normativi, oltre a non essere assoluta posto che se ricorre l’interesse personale si ripristina l’obbligo di astensione anche se non vengono in considerazione i detti atti, è da considerarsi tassativa e dunque se non opera in presenza di atti di natura diversa in via generale tuttavia l’astensione diviene doverosa se sussiste la correlazione ivi descritta .  Il dovere di astensione ha quindi portata generale e dunque non possono esservi dubbi, sulla sua applicabilità (oltre che ai piani generali) anche con riguardo alle convenzioni aventi valore di piani esecutivi (Cons. Stato Sez. IV, 25 settembre  2014 n.4806).

Il comma terzo si riferisce non ai consiglieri comunali ma ai componenti della giunta, i quali sono tenuti a non esercitare attività professionale in materia di edilizia privata e pubblica nel territorio amministrato quando sono titolari di competenze in materia urbanistica, edilizia e lavori pubblici.

Si tratta quindi di un diverso tipo di conflitto d’interessi, non solo in senso soggettivo ma anche oggettivo inerendo alla carica, la cui disciplina non opera quindi per l’attività deliberativa dei consiglieri comunali quanto alla previsione espressa di un obbligo di astensione.

Deve altresì evidenziarsi, al riguardo, che, in ogni caso, l’eventuale posizione di conflitto di interessi nella quale si trovino taluni consiglieri comunali, i quali avrebbero dovuto astenersi dal partecipare al voto sullo strumento urbanistico generale in quanto proprietari di suoli direttamente interessati dalle scelte pianificatorie con esso effettuate, non determina l’integrale caducazione del piano, ma vizia unicamente le parti concernenti i suoli interessati dall’obbligo di astensione violato, con la conseguenza che il vizio può essere fatto valere soltanto da chi dimostri di essere titolare di uno specifico e qualificato interesse ancorato a situazioni di collegamento con detti suoli (Consiglio di Stato sez. IV 12 gennaio 2011 n. 133); di contro, un privato che sia danneggiato da una previsione urbanistica estranea al conflitto di interessi degli amministratori non può avvalersi di tale situazione di illegittimità per ottenere la caducazione dell’intero piano urbanistico.

Alla luce di quanto esposto  la  Delibera di Consiglio Comunale di adozione di uno strumento urbanistico  con la presenza di consiglieri in chiaro conflitto di interessi, sarebbe  emanata  in dispregio al T.U.E.L. e, come tale, annullabile, nelle parti in cui ha per oggetto quelle zonizzazioni di aree in rapporto alle quali si sono configurati – bensì in astratto, ma, comunque, in via immediata, restando, quindi, esclusa ogni ulteriore situazione di incompatibilità in via meramente indiretta e congetturale – conflitti di interesse con le posizioni dei consiglieri comunali, non doverosamente astenutisi quali risultano effettivamente aver partecipato alla discussione ed alla votazione, nonostante, in ragione di interessi specifici propri o di congiunti entro il quarto grado, versassero in situazioni di incompatibilità e si imponesse loro l’obbligo di astensione ex art. 78, comma 2, del d.lgs. n. 267/2000.

L’attenuazione delle conseguenze che la norma dispone per la violazione del dovere di astensione, circoscrivendo gli effetti dell’illegittimità dell’approvazione della deliberazione a parti dello strumento urbanistico, connettendosi alla natura di atto generale del piano, rafforza, invero, pena la loro vanificazione, le ragioni del rigoroso rispetto di tale dovere nella ipotesi in cui, come nella fattispecie in esame, anche per la natura dello strumento urbanistico generale, sia ancora più evidente il concreto, diretto e immediato conflitto di posizioni tra i consiglieri comunali (loro congiunti o affini fino al quarto grado)  proprietari di suoli direttamente interessati alla zonizzazione di piano in termini più favorevoli del precedente strumento   ed il contenuto della deliberazione consiliare che ha ad oggetto la sua approvazione, evidente essendo il vantaggio che ne deriva seppur non immediatamente.  Ne consegue che il nuovo strumento,  limitatamente ad ipotetici  azzonamenti ricomprese nella nuova zonizzazione  urbanistica,   deliberata con la partecipazione di consiglieri comunali in conflitto di interesse, sarebbe approvato in violazione di legge.  E tanto, sia in linea con l’imperativo di mantenere l’atto  deliberativo  rigorosamente aderente ai limiti di legittimazione ad agire dei consiglieri comunali, se e in quanto lesi nell’esercizio delle proprie prerogative funzionali e sia in linea con un approccio ragionevole e pragmatico che, in omaggio al principio ‘utile per inutile non vitiatur’, circoscriva l’effetto annullatorio (in caso di pronuncia giurisdizionale)  ai soli punti della deliberata pianificazione rivelatisi inficiata dalla violazione dell’art. 78, comma 2, del d.lgs. n. 267/2000.

A sostegno di quanto osservato, si conclude che le scelte effettuate in sede di strumento urbanistico costituiscono espressione di ampi poteri discrezionali e, come tali, sono insindacabili se non per errori di fatto, irrazionalità, abnormità o altri profili di eccesso di potere e, in ragione di tale discrezionalità, l’Amministrazione non è tenuta a fornire apposita motivazione delle scelte operate se non richiamando le ragioni di carattere generale che giustificano l’impostazione dello strumento urbanistico né una precedente destinazione di un’area comporta che siano definitive ed immodificabili le relative posizioni, spettando per legge alle autorità urbanistiche il potere di mutare le relative previsioni.

Secondo tale orientamento le scelte di politica urbanistica operate dagli amministratori nell’esercizio dell’attività politica di governo del territorio non necessitano di specifica ed articolata motivazione, essendo sufficiente che dallo strumento pianificatorio emergano i criteri generali ai quali esso si ispira e gli obiettivi che lo stesso intende realizzare (cfr. C.G.A., ss. rr., 23 Settembre 2008, n. 374/08 e da ultimo C.G. A., ss. rr., 14 gennaio 2014, n. 2156/2011; ex plurimis Consiglio di Stato A.p. n. 24/1999; sez.IV n. 4907/2002; sez. IV n. 4907 /2002; n. 548/2004; n. 3314/2004 ).

In particolare si rileva che :

“Le scelte effettuate in sede di strumento urbanistico costituiscono espressione di ampi poteri discrezionali e, come tali, sono insindacabili se non per errori di fatto, irrazionalità, abnormità o altri profili di eccesso di potere e, in ragione di tale discrezionalità, l’Amministrazione non è tenuta a fornire apposita motivazione delle scelte operate se non richiamando le ragioni di carattere generale che giustificano l’impostazione dello strumento urbanistico né una precedente destinazione di un’area comporta che siano definitive ed immodificabili le relative posizioni, spettando per legge alle autorità urbanistiche il potere di mutare le relative previsioni” (T. A. R. Molise, Sez. I, 22/06/2012, n. 274).

“Non è ravvisabile un’aspettativa qualificata rispetto al mutamento della destinazione urbanistica pregressa della medesima area, mutamento rispetto al quale l’Amministrazione ha ampia discrezionalità e può modificare la destinazione stessa, anche in senso peggiorativo rispetto agli interessi del proprietario. Pertanto, il mero rilascio di un titolo edilizio non appare idoneo a creare una ragione di particolare motivazione. L’effetto abilitativo di quel titolo segue, invero, la regola del tempo del suo rilascio e, dunque, non è inciso da sopravvenienze urbanistiche, sicché non vi è uno speciale contrasto da motivare, salve determinate condizioni, da verificare caso per caso” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 13/02/2013, n. 893).

Ed è chiaro come la modificabilità delle previsioni urbanistiche debba valere, sia quando da una destinazione più favorevole, l’Amministrazione intenda passare ad una deteriore, sia nel caso inverso in cui si postula il passaggio da una destinazione di zona più sfavorevole, ad una migliorativa delle aspettative, in senso edificatorio, dei privati  (T.A.R. Campania,  Salerno, sez. II, 17 maggio 2016 n. 1257), coerentemente destinazioni favorevoli riguardanti suoli non appartenenti a consiglieri comunali che emanano la deliberazione. In tal caso si incorrerebbe  in posizione di palese conflitto di interessi e conseguente violazione  degli artt. 78, comma 2, del d.lgs. n. 267/2000 e 323 C.P. in quanto i consiglieri  hanno omesso  di astenersi in presenza di un interesse proprio considerato che  l’atto adottato intenzionalmente procura a se e  ad altri (seppur non immediatamente, ma all’atto della edificazione futura dei suoli) un ingiusto vantaggio patrimoniale.

Dalla riferita giurisprudenza emerge la ratio che la possibilità di sindacare le determinazioni in materia urbanistica, frutto di apprezzamenti di merito, vi è solo quando esse si presentino manifestamente illogiche, contraddittorie oppure assunte in evidente conflitto di interesse dei partecipanti alla votazione.

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