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Urbanistica. Applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen. nelle ipotesi di violazioni urbanistiche e paesaggistiche
Pubblicato: 24 Marzo 2020
Cass. Sez. III n. 8335 del 2 marzo 2020 (UP 27 nov 2019)

Ai fini della applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen. nelle ipotesi di violazioni urbanistiche e paesaggistiche, la consistenza dell’intervento abusivo – data da tipologia, dimensioni e caratteristiche costruttive – costituisce solo uno dei parametri di valutazione, assumendo rilievo anche altri elementi quali, ad esempio, la destinazione dell’immobile, l’incidenza sul carico urbanistico, l’eventuale contrasto con gli strumenti urbanistici e l’impossibilità di sanatoria, il mancato rispetto di vincoli e la conseguente violazione di più disposizioni, l’eventuale collegamento dell’opera abusiva con interventi preesistenti, la totale assenza di titolo abilitativo o il grado di difformità dallo stesso, il rispetto o meno di provvedimenti autoritativi emessi dall’amministrazione competente, le modalità di esecuzione dell’intervento

 RITENUTO IN FATTO

    1. Con ricorso per cassazione proposto in data 24/06/2019, Sessa Michele e Ferrara Giovanna hanno impugnato la sentenza emessa in data 12/03/2019  dalla Corte di Appello di Salerno, con la quale, in riforme della sentenza di proscioglimento del Tribunale di Nocera Inferiore del 29/06/2017, i predetti imputati sono stati condannati per i reati tutti di cui all’art. 44, comma 1, lett. b) del d.P.R. n. 380 del 2001 e 71,72 e 95 del medesimo d.P.R. quanto in particolare alla realizzazione, in difformità dal permesso di costruire, di un porticato di cemento armato aperto su tre lati al posto del previsto terrazzo di circa 15 mq. con pergolato in legno e, per i soli reati antisismici e in materia di opere in cemento armato, quanto alla effettuata realizzazione di sopraelevazione comportante eccesso di volumetria (oggetto di intervenuta sanatoria quanto al reato edilizio), alla pena di mesi quattro di arresto ed euro 6.000 di ammenda ciascuno.

    2. Con la prima doglianza, premesso che la sentenza impugnata avrebbe escluso la possibilità di fare applicazione, come invece ritenuto in primo grado, della causa di esclusione della punibilità ex art. 131 bis cod. pen per il fatto che sarebbero stati effettuati ulteriori ampliamenti volumetrici evidenziati dal testimone a carico Aliberti Giuseppe, si eccepisce la violazione dell’art. 603, comma 3 bis cod. proc. pen. per omessa rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale da parte della Corte di Appello di Salerno  stante la difforme valutazione in grado d’appello delle dichiarazioni di detto teste in relazione alla consolidata  giurisprudenza della corte di Cassazione.

3. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione ed omessa applicazione dell’art. 131 bis cod. pen., essendosi, la Corte Territoriale, limitata a richiamare l’orientamento giurisprudenziale che esclude la particolare tenuità del fatto nel caso in cui gli abusi edilizi contestati abbiano comportato anche la commissione dei c.d reati satelliti previsti e punti dagli artt. 71, 72 e 95 del d. P.R. n. 380 del 2001, quando invece:

– non solo la stessa giurisprudenza della Corte di Cassazione ammetterebbe che non osta all’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p. l’avvenuta commissione da parte dell’imputato di più reati, quando essa, come nel caso di specie, si sia collocata in un unico contesto spazio-temporale sì da risultare frutto di un’unica volizione;

–  ma anche il comparto motivazionale della sentenza impugnata relativo ai punti in ordine alla valutazione della tenuità del fatto non appare sorretto da argomenti logici dovendosi considerare, ma così non è stato, ai sensi dell’art. 133 cod. pen., tanto le modalità della condotta quanto l’esiguità del danno o del pericolo, rilevando pertanto e il tipo di opera eseguita, ossia un piccolo “porticato” (tettoia) in luogo del pergolato in legno originariamente assentite, e il comportamento, significativo della non abitualità alla commissione di reati (diversa dalla recidiva) tenuto dagli imputati, i quali si sono anche attivati fin da subito per ottenere la sanatoria edilizia, anche ricorrendo con esito vittorioso al giudice amministrativo;

Si aggiunge che, in conformità alla giurisprudenza, la consistenza dell’intervento abusivo costituirebbe solo uno dei parametri di valutazione insieme con  la destinazione dell’immobile, l’incidenza sul carico urbanistico, la possibilità di sanatoria, il grado di difformità dal titolo abilitativo ed anche la contestuale violazione di più disposizioni, applicati al caso di specie, i quali depongono a favore e non ad esclusione della particolare tenuità del fatto.

4 Con il terzo motivo lamenta l’assenza ovvero contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza in relazione allo specifico punto riguardante, almeno in riferimento al porticato non sanato, la sussistenza dei presupposti, di cui sopra, della non applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 113 bis cod. pen. (cfr. Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza n. 45578/17) su cui invece la sentenza di primo grado aveva compiuto una diffusa analisi giungendo a soluzione contraria.

5. Con la quarta censura si lamenta la violazione ed erronea applicazione dell’art. 44 del d.P.R. n.380 del 2001 e la conseguente manifesta illogicità della motivazione in ordine all’illegittimità (contestata al capo 1 della rubrica) del presunto porticato non oggetto di sanatoria ottenuta dagli imputati nel 2016 in quanto priva di riferimento a due circostanze fondamentali: che, cioè, il TAR Campania nel 2017 aveva annullato l’ordine di demolizione emesso dal Comune di Montecorvino anche in relazione al porticato e che le difformità successivamente riscontrate non avevano comportato un aumento volumetrico e/o di superficie ma soltanto una mera ridistribuzione spaziale delle opere assentite (peraltro confermata dalla testimonianza resa all’udienza del 25.11.2016 dall’architetto Aliberti G. e ribadita nella consulenza tecnica in atti a firma del direttore dei lavori, architetto Conforti M., escusso all’udienza del 18.05.2017).

6. Con il quinto motivo di ricorso si lamenta la violazione ed erronea applicazione degli artt. 65 e 72 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 in merito al riconoscimento della penale responsabilità, in capo ai ricorrenti, per la condotta omissiva contestata al capo 3 della rubrica.

Deduce, richiamando un relativo orientamento giurisprudenziale, che il reato omissivo proprio in esame è configurabile in capo al costruttore, essendo imposto dalla legge, in via esclusiva a carico di quest’ultimo, l’obbligo di denuncia dell’inizio dei lavori in cemento armato (Sez. 3, n. 17539 del 24/03/2010, Musso, Rv. 247168) salva la responsabilità del committente in qualità di concorrente “extraneus”, nella contravvenzione, nella specie mai ipotizzata.

7. Con la sesta ed ultima censura si lamenta l’assenza o manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche e alla sproporzione del trattamento sanzionatorio irrogato avuto anche riguardo allo stato di incensuratezza di Ferrara Giovanna.

Lamenta in particolare il presupposto errato consistente nell’asserita commissione, da parte degli imputati, di un ulteriore abuso nel corso del 2016 in fase di completamento dei lavori dopo il rilascio di permesso a costruire in sanatoria che  né è mai stato contestato ai ricorrenti, né risulta posto in essere, essendosi trattato di un ineliminabile e necessario intervento per il completamento dei lavori, tramite accompagnamento del solaio su un pilastro preesistente per appena un metro come risultato dalla testimonianza di Aliberti Giuseppe.

                                     CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo è inammissibile : dalla lettura della sentenza impugnata si evince infatti che il motivo della esclusione della invocata causa di esclusione della punibilità ex art. 131 bis cod. proc. pen.  e della conseguente riforma della sentenza di primo grado sul punto è stato infatti ricondotto alla realizzazione dei reati afferenti la disciplina antisismica di cui ai capi 2 e seguenti dell’imputazione (e non di  ulteriori abusi edilizi, come peraltro preteso dal ricorrente), sì che non è dato comprendere, atteso che la diversa conclusione rispetto al primo grado appare dovuta ad una valutazione di ordine prettamente giuridico insita nella lettura dell’art. 131 bis cod. proc. pen, perché il giudice di appello avrebbe dovuto procedere alla rinnovazione dibattimentale di cui all’art. 603, comma 3 bis, cod. proc. pen. mdiante nuovo esame di un teste.

2. Il secondo e terzo motivo, congiuntamente esaminabili perché riguardanti il medesimo profilo relativo ai presupposti di applicabilità della disposizione dell’art. 131 bis cod. pen., sono infondati.

Sul punto va infatti  data continuità al principio affermato da Sez. 3, n. 19111 del 10/03/2016, Mancuso, Rv. 266586 secondo cui, ai fini della applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen. nelle ipotesi di violazioni urbanistiche e paesaggistiche, la consistenza dell’intervento abusivo – data da tipologia, dimensioni e caratteristiche costruttive – costituisce solo uno dei parametri di valutazione, assumendo rilievo anche altri elementi quali, ad esempio, la destinazione dell’immobile, l’incidenza sul carico urbanistico, l’eventuale contrasto con gli strumenti urbanistici e l’impossibilità di sanatoria, il mancato rispetto di vincoli e la conseguente violazione di più disposizioni, l’eventuale collegamento dell’opera abusiva con interventi preesistenti, la totale assenza di titolo abilitativo o il grado di difformità dallo stesso, il rispetto o meno di provvedimenti autoritativi emessi dall’amministrazione competente, le modalità di esecuzione dell’intervento (vedi anche Sez. 3, n. 47039 del 08/10/2015, P.M. in proc. Derossi, Rv. 265450).

Nella specie, essendo state violate più disposizioni di legge (ovvero urbanistiche ed antisismiche) non può dunque parlarsi di particolare tenuità, avuto riguardo all’offensività complessiva della condotta derivante appunto dalla violazione di più disposizioni della legge penale, pur a fronte dell’unicità naturalistica del fatto.

3. Il quarto motivo è anch’esso inammissibile  : irrilevante di per sé solo, come invece sostanzialmente assunto in ricorso, il fatto che il Comune abbia revocato l’ordine di demolizione del porticato, le ulteriori argomentazioni in ordine alla mancanza di aumento volumetrico presentano natura fattuale e, dunque, non sono prospettabili nel presente giudizio di legittimità.

4. Il quinto motivo è invece fondato : va infatti ribadito che il reato di omessa denuncia delle opere in conglomerato cementizio armato  contemplato dagli artt. 65 e 72 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, è reato omissivo proprio del costruttore, essendo l’obbligo di denuncia imposto dalla legge, in via esclusiva, a carico di quest’ultimo, sicché la responsabilità del committente dell’opera può configurarsi soltanto a titolo di concorso dell'”extraneus” nel reato proprio, come avviene allorché la denuncia sia, ad esempio, omessa su istigazione di chi ha ordinato i lavori (tra le altre, Sez. 3, n. 39475 del 19/07/2017, Cozzolino, Rv. 271632; Sez. 3, n. 21775 del 23/03/2011, Ronca e altri, Rv. 250377); nessun addebito poteva dunque essere mosso sul punto ai ricorrenti, in quanto meri committenti delle opere.

5. Il sesto motivo è inammissibile :  la sentenza impugnata ha correttamente richiamato i precedenti ostativi alle attenuanti generiche di Sessa mentre, con riguardo a Ferrara Giovanna, il ricorso si limita a valorizzare il solo, insufficiente per legge, profilo della incensuratezza; quanto poi alla pena, va rilevato che  la stessa è stata irrogata in misura prossima al minimo con conseguente insindacabilità sul punto della motivazione, tanto più avendo la sentenza valorizzato un abuso commesso nel corso del 2016 in fase di completamento lavori che, se anche non contestato, ben può essere comunque considerato all’interno degli elementi di cui all’art. 133 cod. pen..

6. In definitiva, la sentenza impugnata va annullata limitatamente al reato di cui al capo 3) dell’imputazione  per non avere commesso il fatto sì che, decurtati dalla pena finale giorni dieci di arresto ed euro 200 di ammenda (inflitti per il reato satellite in oggetto), la pena va rideterminata in quella di mesi tre e giorni venti di arresto ed euro 5.800 di ammenda.

                                                  P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata quanto al reato di cui al capo 3) dell’imputazione per non avere gli imputati commesso il fatto e ridetermina la pena in mesi tre e giorni venti di arresto ed euro 5.800 di ammenda ciascuno. Rigetta nel resto i ricorsi.

 

Così deciso il 27 novembre 2019       

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