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Stipendi salvi per i dipendenti – Nessuna decurtazione per l’impossibilitato a lavorare
di Luigi Oliveri
Stipendi salvi per i dipendenti pubblici impossibilitati al lavoro per il coronavirus, ma la norma è piuttosto confusa e non ha la portata ampia che sarebbe stata necessaria. L’art. 19 del dl 9/2020 affronta il problema delle misure urgenti da adottare per un sistema del pubblico impiego che si è trovato del tutto impreparato alla situazione straordinaria dovuta al Coivid-19. Non solo, infatti, la stragrande parte delle amministrazioni non è stata e non è ancora in grado di attivare strumenti di lavoro a distanza (telelavoro o smart working), ma il mondo del lavoro pubblico si è «scoperto» privo di coperture e tutele nel caso di assenze connesse proprio ad emergenze sanitarie (o anche di altro genere). Infatti, non esisteva norma legislativa o contrattuale che avesse regolato nemmeno lontanamente l’ipotesi di assenze dal servizio forzate. Con la conseguente necessità di imporre ferie o permessi o altri giustificativi per evitare sanzioni disciplinari o decurtazioni stipendiali, pur non essendo l’assenza causata da comportamenti volontari e dolosi del dipendente. Inoltre, l’ordinamento presentava anche la beffa della trattenuta stipendiale introdotta da una delle riforme Brunetta, l’art. 71, comma 1, del dl 112/2008, convertito in legge 133/2008 per i primi dieci giorni di assenza dovuta a malattia. Il dl 9/2020 prova a mettere ordine. Il comma 1 dell’articolo 19, quindi, equipara a periodo di ricovero quello trascorso in malattia o in quarantena con sorveglianza attiva, o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva, dai dipendenti delle amministrazioni pubbliche. Quindi, si tratta di assenza giustificata, come quella per malattia e conseguente ricovero. Il comma 2 dell’articolo 19 pone rimedio parziale alla trattenuta-Brunetta. Si modifica proprio l’art. 71, comma 1, dl 112/2008 escludendo dalla trattenuta i periodi di assenza dovuti a ricovero ospedaliero in strutture del servizio sanitario nazionale per l’erogazione delle prestazioni rientranti nei livelli essenziali di assistenza, il che permette di non applicare la trattenuta proprio per le assenze previste dal comma 1 visto in precedenza. Col comma 3 dell’articolo 19, il dl cerca di chiudere il quadro e al di là dei casi di assenze equiparate a ricoveri, stabilisce che i periodi di assenza dal servizio dei dipendenti pubblici «imposti dai provvedimenti di contenimento del fenomeno epidemiologico da Covid-19, adottati ai sensi dell’articolo 3, comma 1, del decreto legge 23 febbraio 2020, n. 6, costituiscono servizio prestato a tutti gli effetti di legge. L’amministrazione non corrisponde l’indennità sostitutiva di mensa, ove prevista». Insomma, il datore di lavoro pubblico si accolla gli oneri di una sostanziale sospensione dell’obbligazione lavorativa, scaturente dal «factum principis», cioè da norme speciali che impediscano la prestazione, per causa non imputabile al dipendente. Il problema è che si tratta di norme non generali e a regime, per altro connesse alla serie confusa di norme e decreti attuativi che si stanno susseguendo in questi giorni. Meglio sarebbe una disciplina definita, da adottare con la legge di conversione, che estenda la tutela del rapporto di lavoro ad ogni ipotesi di assenza forzata (purtroppo possono esservi casi connessi a catastrofi naturali), anche introducendo misure nel lavoro pubblico analoghe a quelle della cassa integrazione straordinaria.

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