03/03/2020 – Il mancato tempestivo riconoscimento del debito fuori bilancio è causa di responsabilità del danno erariale per gli oneri accessori dovuti

Il mancato tempestivo riconoscimento del debito fuori bilancio è causa di responsabilità del danno erariale per gli oneri accessori dovuti
di Vincenzo Giannotti – Dirigente Settore Gestione Risorse (umane e finanziarie) Comune di Frosinone, Gianluca Popolla – Dottore in giu
risprudenza – esperto enti locali
La vicenda
La Procura regionale ha agito in giudizio presso la Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Basilicata, nei confronti del sindaco e del responsabile del servizio urbanistico e lavori pubblici di un ente locale, nell’ambito di una deliberazione del consiglio comunale relativa al riconoscimento di legittimità dei debiti fuori bilancio per gli esborsi dannosi per le finanze del comune, conseguenti a ordinanze di assegnazione rese dal Tribunale nello svolgimento di procedura esecutiva.
Nella prima esecuzione, nei confronti di un’officina meccanica, dopo atto di pignoramento presso terzi notificato al comune, il Tribunale assegnava in pagamento al creditore le somme trattenute dal terzo pignorato e il responsabile del servizio urbanistico e lavori pubblici impegnava, con determina, una somma corrispondente all’importo fissato dal Tribunale da regolarizzare mediante emissione del mandato di pagamento. Lo stesso scenario si era verificato nella seconda esecuzione avente ad oggetto debiti nei confronti di un legale incaricato per difendere l’ente innanzi all’autorità giudiziaria. Pertanto, in conseguenza dei ritardati pagamenti e delle spese accessorie, l’amministrazione comunale ha dovuto sostenere una spesa superiore a quella originariamente prevista e, a dire della Procura, la differenza tra i due importi (quello previsto e quello sostenuto) è stata erogata senza alcuna utilità ed è quindi ravvisabile come danno erariale dovuto all’inerzia del sindaco e del responsabile dell’ufficio urbanistica e lavori pubblici.
Il giudizio innanzi la Corte
Invitati entrambi i presunti responsabili a dedurre innanzi a sé, la Procura non avendo ricevuto argomentazioni significative, ha deciso per adire l’autorità giudiziaria mediante atto di citazione: in particolar modo la giustificazione del sindaco, di essere intervenuto mediante l’uso di glosse a margine degli atti e dei provvedimenti notificatigli, nonché quella del responsabile (e unica parte convenuta costituitasi in giudizio) relativa alla mancanza di una dotazione adeguata, non sono state ritenute sufficienti dall’organo contabile.
Alla richiesta di condanna proposta dalla Procura alla Corte dei Conti, il responsabile ha risposto eccependo che le cosiddette glosse a cui ha fatto riferimento il Sindaco costituirebbero un’esimente, dimostrando infatti la costante interlocuzione col Sindaco il quale piuttosto che agire avrebbe in molte occasioni dichiarato che: “bisognava far pagare al sindaco che lo aveva preceduto”, mentre il convenuto avrebbe cercato in ogni modo di reperire i fondi necessari ai pagamenti dovuti. In tal senso ha poi evidenziato l’insufficienza dei pertinenti capitoli di bilancio e di come i debiti fossero inerenti al periodo di competenza precedenti al proprio, configurandosi così una condizione oggettiva di impossibilità di adempimento dell’obbligazione in esame, pertanto ogni domanda risarcitoria sarebbe da considerarsi infondata.
Le precisazioni della Corte
La Corte ha deciso nel senso dell’accoglimento della pretesa risarcitoria presentata dalla Procura regionale, pur non condividendo la ripartizione del danno erariale proposta, che pertanto è stata oggetto di diversa riparametrazione.
Innanzitutto il Collegio si è soffermato sulla natura della dichiarazione introdotta in giudizio dalla difesa del convenuto, e da questa attribuita al Sindaco, con cui avrebbe rivendicato la non imputabilità dei debiti in oggetto alla propria legislatura perché contratta dalle amministrazioni precedenti. La Corte si è espressa nel senso nell’impossibilità dell’introduzione in giudizio per violazione delle norme procedurali civili in ossequio all’assunto che, come enunciato dall’art. 98 del codice di giustizia contabile, “la prova testimoniale è assunta ai sensi del codice di procedura civile e delle relative disposizioni di attuazione”: in particolar modo è stata rilevata la violazione dell’art. 244 c.p.c. che fissa i requisiti di ammissibilità della testimonianza d’ufficio nel giudizio, dell’art. 250 c.p.c. in merito alle modalità di intimazione del testimone per l’assunzione del mezzo di prova, nonché dell’art. 257-bis c.p.c. relativo all’introduzione in giudizio della testimonianza scritta. Infine, il documento depositato dalla difesa quale “dichiarazione testimoniale”, non appare conforme alle regole procedimentali e di forma previste dall’art. 257-bis c.p.c. per la prova testimoniale, ne consegue pertanto “l’assoluta preclusione a dare ingresso nel presente giudizio all’evocata prova testimoniale.”.
La sezione giurisdizionale della Corte dei Conti, per la Regione Basilicata, ha ritenuto pienamente fondata la pretesa attrice e ha sottolineato come l’amministrazione non abbia agito correttamente nella situazione in esame, non esperendo tutti quegli strumenti giuridici che gli avrebbero consentito di non aggravare il bilancio dell’ente comunale, in tal senso infatti il Collegio ha posto l’accento sul cd. “riconoscimento di debito”: “ben avrebbe potuto l’amministrazione locale avvalersi, a tempo debito, dello strumento del cosiddetto -riconoscimento di debito- in tutte quelle circostanze in cui si fosse proceduto a disporre una prestazione irregolarmente ordinata, (per l’impossibilità di avvalersi delle ordinarie procedure contabili) e al solo scopo di non aggravare ulteriormente gli equilibri finanziari di bilancio, tanto di competenza che di cassa.”. Lo strumento però avrebbe dovuto considerarsi conforme a legge solamente nel caso in cui fosse stato assunto con tempestività e in presenza di un’effettiva e comprovata utilità delle prestazioni ricevute e mai come modalità ordinaria di adempimento delle obbligazioni assunte.
La Corte ha rigettato la tesi difensiva sulla circostanza che la mancanza di disponibilità finanziaria dell’ente potesse considerarsi come un’esimente, infatti “per la copertura dei debiti fuori bilancio riconoscibili possono essere utilizzate per l’anno in corso, secondo un piano di rateizzazione convenuto con i creditori, tutte le entrate e le disponibilità, ad eccezione, di quelle provenienti dall’assunzione di prestiti e di quelle aventi specifica destinazione per legge”. Nel caso di specie, invece, non è stata riscontrata alcuna attività di programmazione degli impegni contabili assunti, il cui adempimento deve avvenire anche attraverso il ricorso a variazioni di bilancio finalizzate a reperire i fondi, e “con irresponsabile trascuratezza e sciatteria amministrativa, si è colpevolmente atteso il trascorrere del tempo, pur a fronte di debiti assai risalenti, rivendicati con legittime azioni giudiziali”.
Sull’elemento psicologico la Corte non ha potuto fare a meno di notare le condotte “disutili e del tutto improduttive” di entrambi i soggetti coinvolti: da un lato il ricorso da parte del sindaco a commenti a margine di atti e provvedimenti non ha alcun valore di esimente e soprattutto non ha contribuito in alcun modo alla risoluzione dei problemi in quanto non seguito da un serio interrogativo sulla questione della provvista dei fondi necessari, dall’altro il Responsabile nonostante a conoscenza della situazione di indebitamento plurimo dell’ente locale non ha formalizzato agli amministratori del comune l’impossibilità di procedere all’adempimento delle obbligazioni giuridiche: pertanto a entrambi sono ascrivibili i fatti di causa per grave difetto di diligenza professionale e di conseguenza il danno erariale “insorto per l’oggettivo disvalore della condotta inerte ed omissiva assunta in materia.”.
Il Collegio ha poi deciso nel senso di rimodulare le percentuali di partecipazione al risarcimento del danno proposte dalla Procura Regionale e, in virtù dei ruoli e della mancata programmazione e del mancato esercizio del potere direttivo da parte dell’organo politico, ha ritenuto più congruo ascrivere al Sindaco il 60% del danno e al Responsabile il restante 40%.
La decisione della Corte
Per quanto sopra esposto, la Corte dei Conti ha condannato i due convenuti al pagamento del danno secondo la ripartizione qui di seguito ripotata: il 60% del danno per il Sindaco e il 40% del danno per il Responsabile

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