tratto da sentenzeappalti.it
Decreto Cura Italia – Sospensione dei termini – Natura e funzione – Procedure di somma urgenza e di protezione civile – Verifiche dei requisiti (art. 80 , art. 163 d.lgs. n. 50/2016)
Così ricostruito, sia pur sinteticamente, l’iter storico-procedimentale della complessa ed articolata vicenda, deve innanzitutto ribadirsi che l’affidamento de quo soggiace, per espressa previsione degli atti di gara, alla disciplina di cui all’art. 163, comma 7, del Codice dei Contratti, disposizione connotata da indubbio carattere di specialità, laddove regolamenta, in modo del tutto peculiare, gli affidamenti in via d’urgenza di cui è merito.

Come già esposto nella narrativa che precede, è previsto che gli operatori economici invitati autodichiarino la sussistenza dei requisiti di moralità, i quali vengono controllati ex post dall’amministrazione, e che si avvii immediatamente l’affidamento ed il relativo rapporto contrattuale.

Contestualmente disponendosi che, tuttavia, laddove la PA riscontri in sede di controllo postumo, che la commessa è stata affidata ad un operatore moralmente inaffidabile, essa receda dal contratto “…fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese eventualmente già sostenute per l’esecuzione della parte rimanente, nei limiti delle utilità conseguite, e procedono alle segnalazioni alle competenti autorità”.

Dal chiaro tenore letterale della disposizione nonché dalla evidente ratio che la ispira, emerge che:

– le procedure di affidamento in rilievo non derogano rispetto al necessario possesso, da parte degli operatori, dei requisiti di ordine morale (necessità ribadita espressamente dagli atti di gara), altrimenti consentendosi che soggetti non affidabili e finanche, in ipotesi, attinti da gravi cause escludenti, risultino di fatto abilitati a contrattare con l’amministrazione, sfruttando la situazione emergenziale per trarne lucro e godere di una immunità generalizzata;

– il (pur apprezzabile) punto di equilibrio tra interesse pubblico e interesse del contraente privato (che, nelle more dei controlli sui requisiti, già può aver adempiuto parzialmente ed avviato le attività strumentali di approntamento della prestazione) è individuato, laddove intervenga una verifica negativa sui requisiti, nel prefigurato esercizio del potere di recesso da parte dell’amministrazione e nel pagamento in favore del contraente del valore delle opere già eseguite e del rimborso delle spese eventualmente già sostenute per l’esecuzione della parte rimanente, nei limiti delle utilità conseguite, previa doveroso annullamento dell’aggiudicazione.

In sostanza, il recesso de quo è rimedio ontologicamente differente rispetto al recesso ordinario civilistico ovvero a quello previsto dall’articolo 109 del Codice, posto che non inerisce ad un diritto potestativo privato di ripensamento, ma rinviene la sua giustificazione nell’accertamento autoritativo postumo di una causa di esclusione ex art. 80 del Codice. Il che comporta, da una parte, la sussistenza della competenza dell’adito Giudice Amministrativo, atteso che, come detto, si tratta di un recesso fondato logicamente e causalmente su di un previo accertamento dell’illegittimità dell’aggiudicazione in favore dell’operatore (in coerenza con gli stessi principi della nota Adunanza Plenaria n. 14/2014, laddove eccettua dall’intervento ablativo sul rapporto conformato come diritto potestativo privatistico, talune peculiari ipotesi in cui il recesso si fonda in modo vincolato su di un pregresso potere pubblicistico; v. la paradigmatica ipotesi del recesso contrattuale operato all’esito di una interdittiva antimafia), dall’altra parte, la sostanziale vincolatezza dell’atto di autotutela de quo, solo apparentemente “interno” al contratto, ma invece incentrato sul rilevato vizio genetico dell’aggiudicazione, siccome disposta in favore di un soggetto privo dei requisiti di partecipazione.

Così impostata la vexata quaestio, tutti i motivi di ricorso sono infondati.

Preliminarmente, deve negarsi che possa applicarsi al caso in esame la sospensione disposta dall’articolo 103 del DL n. 18/2020 e dall’articolo 37 DL 23/2020.

La norma si riferisce ai procedimenti ordinari in corso alla data di dichiarazione dello stato emergenziale ed ha la finalità di salvaguardare, da una parte, gli interessi delle parti coinvolti dal procedimento (al fine di tutelare l’ordinato e fisiologico svolgimento allo stesso, compromesso delle note difficoltà materiali e logistiche indotte dalla pandemia), dall’altra, di consentire all’amministrazione di concentrare le proprie risorse sulle attività amministrative strumentali a fronteggiare la difficilissima situazione attuale in cui versa il paese.

Viceversa, il procedimento de quo, sfociato nell’intervento in autotutela posto in essere dall’amministrazione intimata, si colloca proprio nell’ambito dell’attività emergenziale in corso, essendo connotato da palese cifra di specialità rispetto alla disposta sospensione dei procedimenti “ordinari”.

Quella disposta dal prefato art. 103 è infatti, per così dire, una “sospensione straordinaria dei procedimenti ordinari”, mentre quella che rileva nel caso di specie è una sospensione speciale di un procedimento straordinario, che esula dalla portata applicativa della surriferita norma di favore.

Del resto sarebbe totalmente irragionevole sospendere il procedimento di autotutela e “riprenderlo” alla fine della sospensione, dato che esso è totalmente vincolato e si ritarderebbe irragionevolmente sia la caducazione del vincolo contrattuale, sia la possibilità per l’amministrazione di rivolgersi altrove sul mercato per reperire i dispositivi in questione.

Il procedimento esitato nel recesso di cui si verte, non è un procedimento autonomo ed isolato, ma si inserisce, come un subfase eventuale, nella stessa procedura d’urgenza adottata da Consip e nello svolgimento del relativo contratto, nei quali rinviene il proprio titolo legittimante e dai quali mutua gli stessi caratteri di indifferibilità.

Neppure può essere seguito l’assunto secondo cui rileverebbe, in senso ostativo rispetto all’emanazione degli atti gravati, la sospensione dei termini per il pagamento delle entrate erariali, come previsto dall’art. 68 del medesimo DL n. 18/2020.

È agevole, al riguardo, osservare che, la disciplina di favore riguarda solo i procedimenti tributari pendenti, ma non certo le violazioni tributarie già definitivamente accertate dall’amministrazione fiscale, risolvendosi altrimenti l’indebita estensione in una sorta di immunità rispetto al possesso dei requisiti di ordine morale; evenienza certo non prefigurata dalla citata normativa emergenziale.

Nessun tag inserito.

Torna in alto