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Il cura Italia non cura l’irregolarità fiscale: la prima pronuncia sugli acquisti d’urgenza di Consip
Scritto da Elvis Cavalleri 22 Maggio 2020
 
Il caso scrutinato da Tar Lazio, II, 22 maggio 2020, n. 5436 concerne  la fornitura di “dispositivi di protezione individuale e apparecchiature elettromedicali, dispositivi e servizi connessi, destinati all’emergenza sanitaria”, nell’ambito dello stato di emergenza dichiarato con delibera 31 gennaio 2020 della Presidenza del Consiglio dei Ministri, la quale ha attribuito al Capo del Dipartimento della Protezione Civile i poteri straordinari necessari per fronteggiare la nota emergenza sanitaria in cui versa il Paese.
Per l’effetto, il Capo del Dipartimento della Protezione Civile ha consentito, di ricorrere a procedure ad evidenza pubblica in via d’urgenza, anche in deroga a talune disposizioni del Codice dei Contratti Pubblici.
In attuazione di queste facoltà, il Capo del Dipartimento della Protezione civile ha designato Consip spa quale soggetto attuatore dell’approvvigionamento di attrezzature ospedaliere e dispositivi di protezione individuale (DPI), da mettere a disposizione del personale sanitario e della popolazione civile, ponendo in essere attività procedurali che, in ragione della citata estrema urgenza, potevano derogare alle ordinarie previsioni del Codice in quanto oggettivamente incompatibili con la situazione emergenziale in atto.
Consip ha quindi avviato una procedura negoziata d’urgenza, ai sensi dell’articolo 63 comma 2 lett. c) del Codice, indicando espressamente quali fossero le previsioni del Codice derogate, confermandosi tuttavia che la partecipazione richiedeva l’imprescindibile possesso dei requisiti di ordine generale di cui all’art. 80 del Codice dei Contratti medesimo, requisiti il cui possesso doveva essere attestato, ai sensi dell’art. 163, comma 7, del Codice, dagli operatori medesimi mediante autocertificazione ex DPR 445/2000.
In sostanza, in linea con la predetta disposizione, il controllo circa l’effettivo possesso dei requisiti di ordine generale veniva posticipato rispetto al provvedimento di aggiudicazione ed effettuato successivamente dall’amministrazione entro un termine congruo (non superiore a 60 gg); ciò al fine di avviare subito il rapporto contrattuale (seppur sub condicione) e di intervenire, nel caso, in autotutela, laddove fosse emersa, in sede di verifica successiva, la mancanza di taluno dei predetti requisiti.
L’aggiudicataria di due lotti, ha riscontrato due ordini di fornitura inviati da Consip, emettendo anche le rispettive fatture, come in atti.
È tuttavia accaduto che Consip, effettuati i controlli sui requisiti di ordine generale, abbia riscontrato l’esistenza di un debito fiscale in capo alla società ricorrente, che si atteggiava quale violazione tributaria “grave” (ai sensi dell’art. 80 comma 4 e 48 bis commi 1 e 2 DPR 602/1973) e “definitiva”, nnonché una violazione in materia contributiva e previdenziale.
Dal che Consip:
– ha contestato l’esistenza della causa di esclusione di quell’articolo 80 comma 4 del Codice nonché dell’ulteriore violazione dell’art. 80 comma 5 lett. f bis) del medesimo Codice per la resa falsa dichiarazione;
– ha disposto l’annullamento dell’aggiudicazione;
– ha esercitato il recesso dell’accordo quadro;
– ha preannunciato di voler disporre il pagamento delle sole forniture già eseguite, non potendo rimborsare le spese sostenute dal contraente privato per i prodotti non ancora consegnati, in assenza di alcuna utilità ricevuta dell’amministrazione, in linea con quanto espressamente previsto dall’articolo 163 comma 7 d.lgs. n.50/2016;
– ha comunicato di segnalare l’avvenuto ad ANAC ai sensi dell’art. 80 comma 12 del medesimo d.lgs. 50/2016.
Dal che, il giudizio instaurato presso il Giudice capitolino, il cui pronunciamento è d’interesse sotto plurimi profili, sia sostanziali che processuali.
Il Collegio dapprima ricostruisce le motivazioni per le quali, pur vertendosi su di un caso di recesso, la competenza sia del giudice amministrativo: “il recesso de quo è rimedio ontologicamente differente rispetto al recesso ordinario civilistico ovvero a quello previsto dall’articolo 109 del Codice, posto che non inerisce ad un diritto potestativo privato di ripensamento, ma rinviene la sua giustificazione nell’accertamento autoritativo postumo di una causa di esclusione ex art. 80 del Codice“;
di poi, passa ad analizzare la censura della ricorrente, la quale invocava gli artt. 68 e 103 del D.L. n. 18/2020, laddove è prevista una sorta di “moratoria” dei termini di pagamento degli obblighi tributari, nonché la sospensione dei procedimenti amministrativi pendenti ad emergenza in atto.7.
Il Collegio nega seccamente che possa applicarsi al caso in esame la sospensione disposta dall’articolo 103 del DL n. 18/2020 e 37 DL 23/2020.
Quanto all’art. 103 del DL n. 18/2020 “La norma si riferisce ai procedimenti ordinari in corso alla data di dichiarazione dello stato emergenziale ed ha la finalità di salvaguardare, da una parte, gli interessi delle parti coinvolti dal procedimento (al fine di tutelare l’ordinato e fisiologico svolgimento allo stesso, compromesso delle note difficoltà materiali e logistiche indotte dalla pandemia), dall’altra, di consentire all’amministrazione di concentrare le proprie risorse sulle attività amministrative strumentali a fronteggiare la difficilissima situazione attuale in cui versa il paese.
Viceversa, il procedimento de quo, sfociato nell’intervento in autotutela posto in essere dall’amministrazione intimata, si colloca proprio nell’ambito dell’attività emergenziale in corso, essendo connotato da palese cifra di specialità rispetto alla disposta sospensione dei procedimenti “ordinari”.
Quella disposta dal prefato art. 103 è infatti, per così dire, una “sospensione straordinaria dei procedimenti ordinari”, mentre quella che rileva nel caso di specie è una sospensione speciale di un procedimento straordinario, che esula dalla portata applicativa della surriferita norma di favore.
Del resto sarebbe totalmente irragionevole sospendere il procedimento di autotutela e “riprenderlo” alla fine della sospensione, dato che esso è totalmente vincolato e si ritarderebbe irragionevolmente sia la caducazione del vincolo contrattuale, sia la possibilità per l’amministrazione di rivolgersi altrove sul mercato per reperire i dispositivi in questione.
Il procedimento esitato nel recesso di cui si verte, non è un procedimento autonomo ed isolato, ma si inserisce, come un subfase eventuale, nella stessa procedura d’urgenza adottata da Consip e nello svolgimento del relativo contratto, nei quali rinviene il proprio titolo legittimante e dai quali mutua gli stessi caratteri di indifferibilità“.
Quanto all’irregolarità fiscale, “è agevole (…) osservare che la disciplina di favore riguarda solo i procedimenti tributari pendenti, ma non certo le violazioni tributarie già definitivamente accertate dall’amministrazione fiscale, risolvendosi altrimenti l’indebita estensione in una sorta di immunità rispetto al possesso dei requisiti di ordine morale; evenienza certo non prefigurata dalla citata normativa emergenziale“.
Quanto infine alla contestazione in ordine alla prefigurata intenzione di Consip, manifestata in chiusura del provvedimento, di voler pagare le sole forniture già eseguite e non anche quelle per le quali la ricorrente ha già sostenuto spese di approvvigionamento, il Collegio ha rilevato “che le questioni patrimoniali, di dare/avere tra le parti, esulano dalla giurisdizione del Giudice Amministrativo.
In ogni caso, il provvedimento sembra corretto nella parte in cui, in linea con quanto disposto dall’ultima parte del comma 7 dell’articolo 163, preannunzia il pagamento delle forniture già eseguite al prezzo di costo, mentre, viceversa, assume di non voler saldare le spese già sostenute in vista dell’approvvigionamento, posto che alcuna utilità dalle stesse ha potuto ritrarre l’amministrazione.
Altrimenti ragionando, in violazione della norma che esprime una regola ispirata alla logica dell’ingiustificato arricchimento, si consentirebbe, in ipotesi, all’operatore (anche quello privo dei requisiti) di, per così dire, “affrettarsi” nell’approvvigionamento di forniture, pur non utilizzabili dall’amministrazione, contando sul rimborso di beni che mai saranno oggetto di prestazione finale; così surrettiziamente convertendosi il quantum disegnato dalla norma (in ottica evidentemente indennitaria) in una sorta di corrispettivo contrattuale “mascherato””.

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