22/05/2020 – Urbanistica. Demolizione e acquisizione al patrimonio comunale

Urbanistica. Demolizione e acquisizione al patrimonio comunale
Pubblicato: 21 Maggio 2020
Cass. Sez. III n. 13147 del 28 aprile 2020 (CC 19 feb 2020)

Il potere dovere del giudice penale di eseguire la demolizione del manufatto abusivo, disposta con la sentenza di condanna ex art. 31 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, opera anche nel caso in cui i beni siano stati acquisiti al patrimonio comunale, atteso che l’eventuale contrasto con il potere amministrativo si realizza soltanto al momento in cui il consiglio comunale abbia manifestato la volontà di non procedere alla demolizione per l’esistenza di prevalenti interessi pubblici.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Catania, quale giudice dell’esecuzione, con ordinanza del 2 maggio 2019 ha rigettato l’istanza di revoca o sospensione dell’ordine di demolizione n.101/2011, emesso dal Pubblico Ministero il 20 novembre 2017 in esecuzione della sentenza n. 44/2011 del Tribunale di Catania – Sezione distaccata di Belpasso del 28 aprile 2011, irrevocabile il 27 giugno 2011, con la quale Salvatore D’Ignoti Parenti era stato condannato alla pena di sei mesi di arresto ed euro 20.000,00 di ammenda.

Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati.

2. Con un primo motivo di ricorso deduce l’impossibilità di eseguire l’ordine di demolizione in quanto, prima ancora della sentenza di condanna, sarebbe intervenuta l’acquisizione del bene al patrimonio del comune a seguito di inottemperanza di ingiunzione alla demolizione.

3. Con un secondo motivo di ricorso deduce l’impossibilità di eseguire l’ordine di demolizione in quanto la sentenza di condanna non può avere efficacia di giudicato nei confronti di soggetti diversi dall’imputato.

Assume, a tale proposito, che l’esecuzione dell’ordine di demolizione pregiudicherebbe i diritti della moglie del ricorrente, comproprietaria del terreno rimasta estranea al processo e dei figli, divenuti proprietari a seguito del decesso della madre.

4. Con un terzo motivo di ricorso deduce la prescrizione dell’ordine di demolizione dopo cinque anni dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna.

Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Occorre rilevare, con riferimento al primo motivo di ricorso, come la giurisprudenza di questa Corte abbia avuto modo di precisare, in più occasioni, che l’intervenuta acquisizione del bene al patrimonio comunale non è ostativa all’emissione dell’ordine giudiziale di demolizione, in quanto anche lo scopo dell’acquisizione è quello di provvedere all’eliminazione del manufatto abusivo, a meno che il consiglio comunale abbia manifestato la volontà di non procedere alla demolizione per l’esistenza di prevalenti interessi pubblici, circostanza, questa, che non risulta in alcun modo documentata (così Sez. 3, n. 26149 del 9/6/2005, Barbadoro, Rv. 231941. Conf. Sez. 3, n. 37120 del 8/7/2003, Bommarito, Rv. 226321. V. anche  Sez. 3, n. 41051 del 15/9/2015, Fantaccini, Rv. 264976).

3. Quanto al secondo motivo di impugnazione, va ricordato come si sia stabilito che l’esecuzione dell’ordine di demolizione, impartito dal giudice a seguito dell’accertata edificazione in violazione di norme urbanistiche, non è escluso dall’alienazione del manufatto abusivo a terzi, anche se intervenuta anteriormente all’ordine medesimo, ciò in quanto tale ordine, avendo carattere reale, ricade direttamente sul soggetto che è in rapporto con il bene a prescindere dagli atti traslativi intercorsi, con la sola conseguenza che l’acquirente, se estraneo all’abuso, potrà rivalersi nei confronti del venditore a seguito dell’avvenuta demolizione (cfr., da ultimo, Sez. 3 n. 45848 del 1/10/2019, Cannova, Rv. 277266 cui si rinvia per i richiami ai precedenti).

Per la sua natura, dunque, l’ordine di demolizione dell’immobile abusivo è legittimamente adottato nei confronti del proprietario dell’immobile indipendentemente dall’essere egli stato anche autore dell’abuso e, come pure è stato affermato, esso spiega i suoi effetti anche nei confronti degli eredi del condannato (Sez. 3, n. 40675 del 20/5/2016, Marranzini, non massimata; Sez. 3 n. 42699 del 7/7/2015, Curcio, Rv. 265193; Sez. 3, n. 12976 del 17/12/2014 (dep. 2015), Russolillo, non massimata; Sez. 3 n.12976 del 7/7/2015, Renis, non massimata; Sez. 3, n. 16687 del 5/3/2009, Romano, Rv. 243405; Sez. 3, n. 3720 del 24/11/1999 (dep. 2000), Barbadoro, Rv. 215601).

4. Per ciò che concerne, infine, la dedotta soggezione a prescrizione dell’ordine di demolizione di cui tratta il terzo motivo di ricorso, si è già affermato che la demolizione del manufatto abusivo, anche se disposta dal giudice penale ai sensi dell’art. 31, comma 9, qualora non sia stata altrimenti eseguita, ha natura di sanzione amministrativa che assolve ad un’autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso, configura un obbligo di fare, imposto per ragioni di tutela del territorio, non ha finalità punitive ed ha carattere reale, producendo effetti sul soggetto che è in rapporto con il bene, indipendentemente dall’essere stato o meno quest’ultimo l’autore dell’abuso. Per tali sue caratteristiche, la demolizione non può ritenersi una «pena» nel senso individuato dalla giurisprudenza della Corte EDU e non è soggetta alla prescrizione stabilita dall’art. 173 cod. pen. (Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, P.M. in proc. Delorier, Rv. 265540).

A tale decisione, che richiama i numerosi precedenti conformi, ha fatto seguito altra pronuncia che, nel pervenire alle medesime conclusioni, ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 117 Cost., dell’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 per mancata previsione di un termine di prescrizione dell’ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto con la sentenza di condanna, ribadendo che le caratteristiche di detta sanzione amministrativa – che assolve ad una funzione ripristinatoria del bene leso, configura un obbligo di fare per ragioni di tutela del territorio, non ha finalità punitive ed ha carattere reale, producendo effetti sul soggetto che si trova in rapporto con il bene, anche se non è l’autore dell’abuso – non consentono di ritenerla “pena” nel senso individuato dalla giurisprudenza della Corte EDU e, pertanto, è da escludere sia la irragionevolezza della disciplina che la riguarda rispetto a quella delle sanzioni penali soggette a prescrizione, sia una violazione del parametro interposto di cui all’art. 117 Cost. (Sez. 3, n. 41475 del 3/5/2016, Porcu, Rv. 267977. Conf. Sez. 3 n. 3979 del 21/9/2018 (dep.2019), Cerra, Rv. 275850).

Di tali indirizzi interpretativi ha correttamente tenuto conto il Tribunale, mentre il ricorrente non si confronta minimamente con le argomentazioni sviluppate nell’impugnato provvedimento, limitandosi a proporre del tutto apoditticamente censure manifestamente infondate.

5. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità  consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 2.000,00 (duemila) in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in data 19/2/2020

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