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Urbanistica. Realizzazione di una recinzione
Pubblicato: 29 Maggio 2020
Consiglio di Stato Sez. VI n. 2029 del 23 marzo 2020

La realizzazione di una recinzione non richiede titolo edilizio quando, per l’utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni dell’intervento, non comporti un’apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale

Pubblicato il 23/03/2020

N. 02029/2020REG.PROV.COLL.

N. 09442/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9442 del 2016, proposto da

FRANCESCO MONTESANTO, GIOVANNI MONTESANTO, LUIGI MONTESANTO, rappresentati e difesi dall’avvocato Giuseppe Vitolo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Viglione Vitolo in Roma, Lungotevere dei Mellini, n. 17;

contro

COMUNE DI NOCERA SUPERIORE, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Sabato Criscuolo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Carmine De Vita in Roma, via Gallia n. 122;

AGENZIA REGIONALE DIFESA SUOLO, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sede di Salerno, n. 1018 del 2016;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Nocera Superiore;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 marzo 2020 il Cons. Dario Simeoli e uditi per le parti gli avvocati Giuseppe Vitolo, Ennio de Vita, in dichiarata sostituzione dell’avvocato Sabato Criscuolo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.‒ Gli odierni appellanti deducono che:

– sono comproprietari di un fondo di 15.530 mq sito nel Comune di Nocera Superiore alla via Lamia n. 240-242, censito in Catasto al Foglio 8 particella 1428 (ex 197);

– il fondo, nell’anno 2007, in occasione dell’emergenza fiume Sarno, fu utilizzato per la realizzazione di un impianto di stoccaggio e trattamento dei sedimenti prelevati dal fiume Sarno e dai canali affluenti;

– il Comune di Nocera Superiore, al fine di consentire al realizzazione del sito di stoccaggio, in sede di conferenza di servizi assentì il cambio di destinazione d’uso da agricola a industriale dell’area di proprietà dei ricorrenti (variante allo strumento urbanistico poi concretamente intervenuta, ai sensi dell’art. 208, comma 6, del decreto legislativo n. 152 del 2006, mediante l’approvazione del progetto esecutivo con ordinanza commissariale n. 801/2008);

– con contratto sottoscritto in data 29 gennaio 2008, gli appellanti concessero in locazione l’area al Commissario delegato per l’emergenza fiume Sarno, per la durata di 36 mesi, poi prorogata;

– il Commissario provvide a realizzare su parte del fondo, nel rispetto del progetto approvato, le opere necessarie per allocare l’impianto di stoccaggio, e segnatamente l’impermeabilizzazione, la pavimentazione e la recinzione dell’area;

– in data 18 giugno 2013, il locatario restituì il fondo agli appellanti nello stato di fatto in cui lo stesso si trovava;

– il Comune di Nocera Superiore, con disposizione n. 3 del 16 gennaio 2015, ingiunse agli appellanti di ripristinare lo stato originario dei luoghi;

– con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, i proprietari hanno impugnato la suddetta ordinanza, lamentando in sintesi che: l’intervento edilizio esistente sull’area non potrebbe ritenersi abusivo, in quanto realizzato dal Commissario delegato in conformità all’autorizzazione ed alla disciplina urbanistica del Comune di Nocera Superiore; l’Amministrazione non avrebbe tenuto conto del mutamento di destinazione d’uso (da agricolo ad industriale), nel frattempo intervenuto; le opere di pavimentazione non richiederebbero titolo edilizio preventivo; l’atto sarebbe affetto da vizio della motivazione, stante la mancata indicazione delle norme poste a base dell’ordine di ripristino; in forza delle previsioni contrattuali, era il conduttore obbligato a restituire l’area ai proprietari nello stato originario; l’atto sarebbe illegittimo anche perché non preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento.

2.‒ Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, con sentenza n. 1018 del 2016, respingeva il ricorso, rilevando quanto segue:

«5.a.- Nella prospettazione attorea, la destinazione dell’area sarebbe stata variata, con un’apposita Conferenza dei Servizi, passando da “agricola” ad “industriale”.

Contrariamente a quanto dedotto, la destinazione agricola non risulta essere stata oggetto di apposita variante definitiva in ordine alla tipizzazione dell’area bensì di un temporaneo assenso favorevole al cambio di destinazione d’uso, “strumentale alla realizzazione del sito”.

D’altronde, la stessa Ordinanza commissariale n. 801 del 14.1.2008 (rettificata con ordinanza n. 872 del 6.5.2008) dispone l’approvazione del progetto di realizzazione del sito di stoccaggio provvisorio, con variante “temporanea e limitata al completamento delle attività di dragaggio e gestione dei rifiuti poste in essere dal Commissario Delegato allo strumento urbanistico del Comune di Nocera Superiore”.

5.b.- Siffatte conclusioni risultano parimenti confermate dal contratto di locazione, intercorso tra i ricorrenti ed il Commissario delegato, laddove, all’art. 7, risulta espressamente previsto che “il conduttore restituisce l’immobile al locatore nello stato medesimo in cui l’ha ricevuto…”.

5.c.- La previsione in questione, alla quale, peraltro si richiama parte ricorrente, per escludere l’onere a proprio carico del ripristino dello stato dei luoghi, risulta, comunque, superato dalla nota del 24 luglio 2012, con la quale i ricorrenti accettano dall’Arcadis la riconsegna del sito “nello stato in cui attualmente si trova, con la rinuncia delle indennità maturate … considerata la consistenza delle installazioni presenti sul sito e che vengono immediatamente trasferite nella loro disponibilità con la sottoscrizione del verbale”.

5.d.- Escluso, dunque, per tabulas il mutamento di destinazione d’uso dell’area de qua ed accertato che l’onere di ripristino dello stato dei luoghi risulta essere stato accettato anche, ai fini privatistici, dai ricorrenti con il verbale di consegna dell’area, devono stimarsi infondati i primi due motivi di ricorso radicati alla ri-tipizzazione dell’area ed il quinto motivo, legato all’etero assunzione dell’obbligazione di ripristino, peraltro in opponibile all’amministrazione che, per giurisprudenza pacifica, agisce sempre nei confronti del proprietario dell’area, anche per abusi risalenti nel tempo e commessi da altri (ex multis Tar Lombardia Milano Sez. II 27 agosto 2014 n. 2261).

5.e.- Parimenti infondato si rivela il terzo ed il quarto motivo di ricorso, atteso che le opere realizzate – così come individuabili dal report fotografico allegato al verbale di riconsegna, versato in atti – prettamente finalizzate ad attività di tipo industriale, quale lo stoccaggio di rifiuti, risultano incompatibili con l’attuale destinazione agricola dell’area, giusta certificazione versata in atti.

5.f.- E’ infondato anche l’ultimo motivo di ricorso, atteso che, per giurisprudenza pacifica, l’ordine di demolizione non deve essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di atto dovuto e rigorosamente vincolato con riferimento al quale non sono richiesti apporti partecipativi del privato (ex multis Tar Bari Sez. II 11 novembre 20010 n. 3902).

Può concludersi per la reiezione del ricorso».

3.‒ Avverso la predetta sentenza hanno sollevato appello i signori Francesco Montesanto, Giovanni Montesanto, Luigi Montesanto, riproponendo in sostanza i motivi di censura articolati nel ricorso originario, sia pure adattati all’impianto motivazionale della pronuncia gravata.

In particolare, gli appellanti:

i) con il primo motivo di appello, censurano la sentenza di primo grado nella parte in cui esclude la compatibilità delle opere oggetto dell’ordinanza di demolizione n. 3/2015 con la destinazione dell’area su cui esse insistono;

ii) con il secondo motivo di appello, deducono l’erroneità della sentenza del T.a.r., nella parte in cui afferma la sussistenza in capo agli appellanti dell’obbligo di ripristino, in relazione a quanto accettato dagli stessi con il verbale del 18 giugno 2013 di riconsegna delle aree, senza tenere conto che, con il predetto verbale di riconsegna, essi avrebbero acquisito le opere realizzate a titolo di contropartita delle indennità dovute, senza esonerare l’organo commissariale dagli oneri di ripristino;

iii) con il terzo motivo di appello, affermano che, attesa la destinazione industriale dell’area, la realizzazione delle opere per cui è causa non avrebbe richiesto il preventivo rilascio di titolo edilizio, ricadendo nell’ambito nel regime dell’attività edilizia libera;

iv) con il quarto motivo di appello, la sentenza appellata viene criticata nella parte in cui esclude, in contrasto con la giurisprudenza pacifica, che l’ordinanza di demolizione avrebbe dovuto essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento.

4.‒ Con ordinanza n. 2488 del 16 aprile 2019, la Sezione ha disposto una verificazione, incaricando il Direttore del Genio Civile competente per la provincia di Salerno, con facoltà di delega, di rispondere al seguente quesito: «Letti gli atti di causa e svolti i necessari accertamenti, anche sul luogo, dica l’organismo verificatore, se il sito oggetto di causa si trovi o meno in un’area della particella con destinazione “D” o ricada in un’area con diversa destinazione urbanistica, in caso affermativo, quale».

5.‒ Depositata la relazione del verificatore, all’udienza del 5 marzo 2020, la causa è stata discussa e trattenuta in decisione.

6.‒ L’appello va accolto per i seguenti motivi.

7.‒ Con il provvedimento impugnato, il Comune di Nocera Superiore ha ingiunto ai ricorrenti il ripristino dello stato dei luoghi dell’area di loro proprietà, a suo tempo concessa in locazione al Commissario delegato per lì emergenza del fiume Sarno ed utilizzata dallo stesso per la realizzazione di un sito di stoccaggio provvisorio. L’area è stata restituita ai proprietari senza la rimozione delle opere ivi realizzate, incompatibili con la destinazione agricola dell’area.

7.1.‒ Secondo l’Amministrazione, il fondo degli appellanti, al momento dell’adozione dell’ordinanza di demolizione n. 3/2015, non era affatto industriale, essendo stata ripristinata, con la cessazione dell’utilizzo del sito, la condizione urbanistica originaria.. Una volta scaduto il titolo al mantenimento delle opere, queste andrebbero qualificate come opere realizzate in assenza di titolo per totale difformità rispetto allo strumento urbanistico.

7.2.‒ La sentenza impugnata ha avallato la ricostruzione dell’Amministrazione, affermando che: «la destinazione agricola non risulta essere stata oggetto di apposita variante definitiva in ordine alla tipizzazione dell’area bensì di un temporanea assenso favorevole al cambio di destinazione d’uso strumentale alla realizzazione del sito».

7.2.‒ Sennonché, le risultanze dell’istruttoria disposta dal Collegio hanno consentito di appurare il difetto di istruttoria e motivazione in cui è incorsa l’Amministrazione..

7.3.‒ Il verificatore ‒ al termine di una compiuta fase di indagine, nel corso della quale ha: acquisito tutta la documentazione urbanistica ed edilizia rilevante: posto confronto il certificato di destinazione urbanistica alla data dell’occupazione dell’area da parte del Commissario per l’emergenza del fiume con il certificato di destinazione urbanistica alla attualità del lotto; effettuato le misurazioni e i rilievi topografici dell’area interessata ‒ ha rassegnato le seguenti conclusioni.

Il lotto di proprietà degli appellanti, di 15.530 mq, si trova ubicato in un’area del Comune di Nocera Superiore, alla Via Lamia n.240-242, in adiacenza a svariate attività industriali, identificato catastalmente al foglio 8 particella 1428 (ex 197).

Al tempo del cambio di destinazione d’uso, l’area in questione «era ubicata in zona omogenea “D” con destinazione in parte a strada di piano, in parte a zona di rispetto autostradale, in parte a zona di spazi pubblici ed in piccolissima parte in zona “D-industriale e artigianale della tav. 2 (zonizzazione); in parte zona omogenea tipo “D” e parte “non zonizzata della tav. 3 (individuazione delle zone omogenee) del foglio 8 particella 1428 (ex 197) come riportato nel certificato di destinazione urbanistica n. 32669 del 30/10/2019».

La limitrofa particella 1429 (ex 197), risultava invece «per la maggior consistenza essere in zona “D industriale-artigianale” mentre la restante parte in zona “Spazi pubblici” e in parte in “Strada di Previsione” della tav. 2 (zonizzazione); in zona omogenea tipo “D” della Tav. 3 (individuazione zone omogenee)».

Attualmente la zona in questione è riportata nel nuovo piano urbanistico comunale come zona «G2 – Attrezzature di interesse comune” e in minor parte come zona “A4 –edifici, complessi, ville e giardini

di particolare interesse storico, architettonico e/o tipologico».

Gli appellanti hanno allegato ‒ senza specifica contestazione di controparte ‒ che sull’area confinante, insiste attualmente l’impianto comunale per lo smaltimento dei rifiuti (isola ecologica).

7.4‒ Dalla relazione del verificatore emerge, dunque, che il fondo di proprietà degli appellanti, contrariamente a quanto sostenuto dal giudice di primo grado, non si trova in area agricola.

Su queste basi, non è dato comprendere quali siano i presupposti per l’applicabilità del regime sanzionatorio di cui all’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001.

Non si evince, in primo luogo, quale sia il contrasto sostanziale tra le opere di impermeabilizzazione, pavimentazione e recinzione e la destinazione dell’area: in parte a strada di piano, in parte a zona di rispetto autostradale, in parte a zona di spazi pubblici, e in parte industriale e artigianale.

Neppure appare riscontrabile un abuso formale per carenza di titolo abilitativo, giacché: le opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni possono essere realizzate il preventivo rilascio di un titolo edilizio, ricadendo nella definizione di attività edilizia libera di cui all’art. 6, comma 2, lettera c), del d.P.R. n. 380 del 2001; la realizzazione della recinzione non richiede titolo edilizio quando, per l’utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni dell’intervento, non comporti un’apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale (ma delle concrete caratteristiche del manufatto, nell’atto impugnato, non risulta traccia).

La difesa dell’Amministrazione ‒ secondo cui se l’area fosse stata già industriale, non sarebbe stata necessaria l’approvazione di alcun mutamento, quand’anche provvisorio, della destinazione d’uso dell’area ‒ non rimedia affatto alla predetta insufficienza motivazionale, bensì rende ancora più perplesso l’agire della pubblica amministrazione.

Sulla rimozione dei box prefabbricati ‒ citati peraltro nella sola permessa in fatto della memoria comunale e non nel provvedimento impugnato ‒ non occorre statuire, poiché in merito ad essi l’appellante non ha mosso alcuna doglianza.

8.– Per le ragioni che precedono, l’appello è fondato e, per l’effetto, va disposto l’annullamento dell’atto impugnato.

9.‒ Le spese di lite del doppio grado di giudizio e quelle di verificazione ‒ queste ultime da liquidarsi nella misura complessiva di € 3.300,00 (ivi incluso l’acconto già disposto di € 2.000,00) ‒ seguono la soccombenza, secondo la regola generale.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 9442 del 2016, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, annulla l’atto impugnato nei termini di cui in motivazione.

Condanna l’Amministrazione comunale al pagamento in favore degli appellanti delle spese del doppio grado di giudizio, che si liquidano in € 4.000,00, oltre accessori di legge, da distrarsi in favore del procuratore dichiaratosi antistatario.

Le spese di verificazione, liquidate nella misura di € 3.300,00 (da cui va detratto l’acconto di € 2.000,00, ove già corrisposto) sono poste in via definitiva a carico dell’Amministrazione comunale soccombente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 marzo 2020 con l’intervento dei magistrati:

Diego Sabatino, Presidente FF

Silvestro Maria Russo, Consigliere

Dario Simeoli, Consigliere, Estensore

Giordano Lamberti, Consigliere

Francesco De Luca, Consiglie

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