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Urbanistica. Permesso di costruire convenzionato
Pubblicato: 15 Luglio 2020
Consiglio di Stato Sez. VI n. 2990 del 12 maggio 2020

Il permesso di costruire convenzionato ha la funzione di assicurare una disciplina accessoria del permesso di costruire, andando oltre la dimensione provvedimentale e consentendo di strutturare e regolare un rapporto di durata che rende più articolata la relazione giuridica tra il richiedente e l’amministrazione comunale.

Pubblicato il 12/05/2020

N. 02990/2020REG.PROV.COLL.

N. 10607/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso NRG 10607/2019, proposto dai sigg. Vincenza Franco e Vincenzo Caputo, rappresentati e difesi dall’avv. Barbara Taurino, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,

contro

il Comune di Leverano (LE), in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio e

nei confronti

Anna Maria Muja, non costituita in giudizio,

per la riforma

della sentenza del TAR Puglia – Lecce, sez. III, n. 749/2019, resa tra le parti e concernente la nota comunale sull’accertamento dell’inottemperanza all’ordinanza di demolizione di opere edilizie sine titulo, nonché l’acquisizione delle opere e dell’area pertinenziale site in Leverano in loc. Caritolo;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore all’udienza pubblica del 16 aprile 2020 il Cons. Silvestro Maria Russo;

Rilevato che l’udienza si svolge ai sensi dell’art. 84 comma 5, del D.L. n. 18 del 17 marzo 2020, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto dalla circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia amministrativa;

Ritenuto in fatto che:

– i sigg. Vincenza Franco e Vincenzo Caputo dichiarano d’esser proprietari di un’area sita in Leverano (LE), tra la via Ferrucci e la via De Pietro e censita in NCEU fg. 32, p.lle 939 e 953, ove nel 2007 realizzarono sine titulo un edificio di civile abitazione per loro residenza;

– per questo essi furono attinti dall’ordinanza n. 21 del 18 febbraio 2008, con cui il Comune di Leverano ingiunse loro la demolizione dell’edificio (già soggetto a sequestro) ed il ripristino dello stato dei luoghi;

– tal provvedimento non fu mai impugnato, ma la sig. Franco e consorte, una volta ottenuto il dissequestro di detto fabbricato, non ebbero più altra notizia da parte del Comune, tant’è che essi confidarono d’aver risolto tal questione;

– tuttavia e con nota prot. n. 7625 del 14 maggio 2013 il Responsabile del SAT comunicò alla sig. Franco e consorte che, secondo quanto reso noto dal rapporto di P.M. del 6 giugno 2008, «… non è stato provveduto alla demolizione della predetta opera abusiva ed al rispristino nel termine intimato ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. 6/6/2001, n. 380…», per cui tal «…accertamento costituisce titolo a favore del Comune di Leverano per l’immissione in possesso e per la trascrizione gratuita nei registri immobiliari del bene, dell’area di sedime e di quella pertinenziale già individuata nella citata ordinanza…»;

Rilevato altresì che:

– in data 2 luglio 2013, la sig. Franco e consorte, reputandone d’esser in ancora in termini in base all’art. 31 del DPR 380/2001, presentarono al Comune un’istanza per accertamento di conformità ai sensi del successivo art. 36;

– al contempo essi adirono il TAR Lecce impugnandovi, col ricorso NRG 1151/2013, la nota n. 7625/2013 e gli atti presupposti e connessi, deducendo: 1) – l’arbitrario differimento di oltre cinque anni, in violazione degli artt. 2 e 21-quater della l. 7 agosto 1990 n. 241, degli atti conseguenti all’omessa spontanea demolizione delle opere abusive (peraltro, non preceduto da un più recente sopralluogo), sì da aver determinato in loro l’affidamento sulla definizione della vicenda; 2) – il mancato avviso d’avvio della procedura esecutiva (in sé sanzione autonoma pur se consequenziale all’ordine di demolizione), vieppiù necessaria e non superabile con l’art. 21-octies della l. 241/1990 perché tal accertamento intervenne dopo molto tempo dall’ordine di demolizione, fermo in ogni caso il difetto di motivazione della misura esecutiva a fronte dell’ingenerato affidamento; 3) – la generica indicazione dell’area di sedime da acquisire, invece necessaria ai sensi dell’art. 31, commi 3 e 4 del DPR 380/2001 e da esporre nell’atto d’acquisizione (a pena d’illegittimità), in quanto detta P.A. richiamò sì il verbale del 2008, ma non l’allegò per intero, né ne riportò il contenuto; 4) – l’illegittimità dell’esecuzione per omesso previo riscontro dell’istanza attorea di conformità;

– a seguito del remand al Comune sull’istanza attorea ex art. 36 del DPR 380/2001 —disposto con l’ordinanza cautelare della Sezione n. 4421 del 13 novembre 2013—, con nota prot. n. 1967 del 6 febbraio 2014, il Responsabile dell’UTC ne sospese ogni valutazione, essendo in via di definizione lo strumento urbanistico attuativo ex art. 54 delle NTA del PRG di Leverano, inerente al comparto edificatorio B6.3 – Residenziale di completamento, nelle cui adiacenze ricadeva il fabbricato della sig. Franco e consorte;

– a seguito della delibera consiliare 14 marzo 2017 n. 14 —in virtù della quale il Comune, in base alla norma di semplificazione ex art. 28-bis del DPR 380/2001, previde, al posto del PP attuativo di comparto B.6.3 e grazie alla completezza urbanistica di esso, l’uso del PDC convenzionato per regolarne l’attuazione diretta—, con nota n. 20459, ricevuta il 28 dicembre 2017, il Responsabile dell’UTC, richiamando la delibera n. 14/2017, dispose il diniego definitivo dell’accertamento di conformità, poiché l’intervento edilizio abusivo attoreo «… non è ricompreso nel comparto B6.3 – Residenziale di completamento, giusta Del. C.C. n. 14/2017, ma ricade in zona E1 – Agricola Produttiva Normale… in contrasto con quanto prescritto dagli artt. 65 – 66 N.T.A. …»;

– tal nuova statuizione è stata quindi impugnata dai ricorrenti, in una con la presupposta delibera del Consiglio comunale di Leverano n. 14/2017, con l’atto per motivi aggiunti depositato il 12 febbraio 2018, deducendo adesso, oltre alla violazione del giudicato cautelare, la totale illegittimità del citato rigetto, essenzialmente perché, invece del piano attuativo, il Comune aveva approvato il PDC ex art. 28-bis del DPR 380/2001;

– l’adito TAR, con sentenza n. 749 del 7 maggio 2019, ha integralmente respinto la pretesa attorea, perché: A) – quando l’ordine di demolizione s’è consolidato, come nella specie, in capo ai ricorrenti e si controverte solo della relativa esecuzione, è inammissibile ogni affidamento meritevole di tutela alla conservazione d’una situazione di mero fatto ed abusiva, per il carattere permanente dell’abuso edilizio e non potendo riconoscersi all’inerzia della P.A. l’effetto di “sanare” una posizione privata originata da esso; B) – per ferma giurisprudenza, l’esercizio del potere repressivo di abusi edilizi è attività vincolata della P.A. e per i relativi provvedimenti non è necessario l’avviso d’avvio del procedimento, non essendovi spazio per la partecipazione del destinatario; C) – la natura vincolata dell’atto impugnato, fissata dall’esistenza dei suoi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione sulle ragioni di pubblico interesse (diverse dal ripristino della legalità violata) per la rimozione dell’abuso, pur quando la sanzione intervenga a distanza di tempo da esso; D) – il provvedimento impugnato contiene la specifica indicazione dell’area di sedime e delle circostanti aree da acquisire, con superfici e relative indicazioni catastali; E) – non vi fu elusione del giudicato cautelare, né è possibile presentare l’istanza ex art. 36 del DPR 380/2001 dopo l’accertamento dell’inottemperanza o per riattivare la procedura sanzionatoria;

– il TAR ha rigettato pure i motivi aggiunti, perché: 1) – è stata corretto il responso negativo del Comune, ricadendo l’area d’intervento in zona E1 e fuori dal citato comparto; 2) – neppure l’eventuale (invocato) Piano particolareggiato potrebbe modificare le previsioni/prescrizioni della zona E1 poste dal vigente PRG;

– appellano la sig. Franco e consorte, col ricorso in epigrafe, deducendo l’erroneità dell’impugnata sentenza in base, in primo luogo, alle determinazioni del Documento programmatico preliminare – DPP (delibera consiliare 12 ottobre 1995 n. 84) sull’inclusione delle aree edificate in zona E 1, se contigue, a quelle dei comparti DB, nonché il contrasto tra la parte normativa del PRG (adeguata al DPP) e quella grafica con prevalenza di quella su questa, oltre a ribadire le censure sia del gravame introduttivo che dell’atto per motivi aggiunti (pure sull’illegittimo uso del PDC convenzionato nei casi in cui il PRG prevede espressamente la propria attuazione mediante PP);

Considerato in diritto che:

– in via preliminare, si rammenti l’istanza attorea per l’accertamento di conformità (2 luglio 2013) sul fabbricato abusivo dagli appellanti, con allegata la relazione tecnica dell’ing. Strafella, per cui, a suo dire, «… il lotto di mq. 726…, sul quale insiste l’abitazione… è riconducibile ad un enclave o relitto, circoscritto su due lati (nord e sud) da strade pubbliche comunali storicamente denominate: via F. Ferrucci (quella a nord) e via De Pietro (quella a sud), entrambe asfaltate e dotate di tutte le opere di urbanizzazione primaria…; sul lato est esso è delimitato da uno stradone di passaggio visibile dalla Carta Tecnica Regionale e dalle ortofoto in scala 1:5.000, mentre sul lato ovest è attiguo alla zona B6.3 “Residenziale di completamento” già interessata dalla Variante di Recupero in zona “E” – n. 3 (redatta ai sensi della L. n. 47/85 e delle LL.RR. n. 26/85 e 40/86 ed approvata con D.G.R. n. 1816/91)…»;

– in disparte la collocazione di tal lotto semplicemente accanto o, meglio, vicino al perimetro di tale comparto B6.3 (oggetto di variante di recupero e perimetrato ai sensi dell’art. 29 della l. 28 febbraio 1985 n. 47), esso non è affatto, ben lo si legge dalla cartografia nel testo del ricorso in epigrafe, né relitto né enclave, ma è sé stante rispetto al comparto de quo, i cui confini sono continui e netti, disegnando una sorta d’esagono tra un’area a N di via Ferrucci e la via De Pietro (che lo delimita a S), avvicinandosi senza lambire il lotto stesso, da cui è separato da talune particelle fondiarie, a quanto si nota non incluse in esso;

– gli appellanti concentrano la loro prioritaria attenzione (cfr. pagg. 9/10 del ricorso in epigrafe), in quanto dirimente per la “sanabilità” dell’opera, sul preteso avvenuto recepimento, da parte del PRG di Leverano (approvato con DGR Puglia n. 1982 del 20 dicembre 2006 ed in vigore dal 26 gennaio 2007), delle previsioni di cui al Documento programmatico preliminare – DPP (delibera consiliare 12 ottobre 1995 n. 84), ad avviso degli appellanti assunto tal quale da tali provvedimento e che aveva previsto (cfr. la citata relazione tecnica dell’ing. Strafella) «… per le varianti in zona “E”, 1-2-3-4-5, redatte ai sensi della L. 47/85 e delle LL.RR. nn. 26/85 e 40/86, dovevano non solo essere riconfermate dal nuovo PRG, ma consentirne l’edificabilità con indice fondiario di almeno 1 mc / mq per i lotti inedificati previa redazione di S.U.A.. Il Perimetro di tali Varianti di Recupero (e non Piani di Recupero come anche la Giunta Regionale ha fatto notare in Delibera n. 689 del 10. 05. 2004) doveva essere ridisegnato, comprendendo aree attigue al fine di determinare un contorno non frastagliato…»;

– in primo grado essi avevano fatto constare come il rigetto della loro istanza ex art. 36 del decreto n. 380, poi impugnato con l’atto per motivi aggiunti, avesse disatteso il contenuto precettivo di tal DPP (come sopra recepito) in ordine alla conferma delle varianti di recupero in zona E ed alla loro riperimetrazione comprendendovi le aree attigue al fine di determinare un contorno non frastagliato (tenendo conto pure della strada perimetrale che avrebbe dovuto circondare il perimetro dell’intero abitato), donde, a loro avviso, il contrasto tra la parte normativa (DPP) e la parte grafica del vigente

PRG di Leverano (che tal inclusione non contempla) da sanare con la prevalenza della prima sulla seconda in base alla legge ed al principio dell’affidamento e senza che il PP che la preveda crei una variante al PRG stesso;

– tuttavia, il TAR, con argomentazione immune da vizi logici, ha respinto tal impostazione (cfr. pag. 15 della sentenza), in virtù della quale «… è sufficiente (e dirimente) osservare che risulta, in forza del P.R.G. vigente del Comune di Leverano,…(l’area attorea non è) compresa nel Comparto B6.3 (“Residenziale di completamento”), ma solo ubicata in adiacenza al predetto Comparto e tipizzata, invece, dal P.R.G. come Zona Agricola “E1”, nel mentre le invocate previsioni di cui al punto n. 6 del Documento Programmatico Preliminare al P.R.G. approvato nel 2004 (relative alle “aree attigue” alle Varianti di Recupero in zona “E”) non risultano recepite nel P.R.G. del 2006 nella parte normativa o cartografica.”.

– sul punto gli appellanti lamentano l’omessa considerazione dell’avvenuta approvazione del PRG da parte della Regione Puglia, con la parte normativa del piano adottato dal Comune di Leverano (delibera del Commissario ad acta 16 luglio 1998 n. 1), con la introduzione negli atti di prescrizioni e modifiche poste dalla DGR n. 690/1998, di cui son parte integrante gli atti tecnico-amministrativi ed il parere del CUR ristretto (con prescrizioni) dell’11 novembre 2003, onde il Comune di Leverano omise di adeguare la parte cartografica alle prescrizioni stesse, sia il loro recepimento all’atto della pianificazione di dettaglio;

– per vero, il contrasto tra parte normativa e parte cartografica del PRG ed i modi per risolverlo si appalesano un pseudo-problema, in quanto la situazione reale è come la descrive il TAR, nel senso, cioè, che allo stato non appare in detto PRG, al di là delle delimitazione delle zone B di variante in sanatoria a suo tempo effettuate in base all’art. 29 della l. 47/1985 ed all’art. 3, III co. della l. reg. Puglia 13 maggio 1985 n. 26 (ed approvate con DGR 7 maggio 1991 n. 1816) e del loro trattamento con la pianificazione di II livello o sue alternative, alcuna specifica prescrizione congruente col DPP sul punto oggidì controverso;

– non si può desumere argomento a confutazione dal parere del CUR ristretto (del novembre 2003), che fu colà riportato qual orientamento nella valutazione dell’organo tecnico insieme agli altri contenuti del medesimo DPP;

– infatti la “prescrizione del DPP in parola, ben lungi dal fissare un automatico contenuto del PRG o una prescrizione tecnica conformativa delle relative NTA, distingue le sorti dei lotti inedificati e già compresi in dette Varianti (solo per i quali è ammessa l’edificazione con un indice di fabbricabilità fondiario di almeno mc 1/mq) dalle aree attigue ai comparti di variante in zona E1, indicando per questi ultimi che «… il perimetro di tali Varianti… verrà ridisegnato comprendendo aree attigue al fine di determinare un contorno non frastagliato…»;

– la ragione di tal differimento ad altre fonti risiede nel potere conformativo, recato dal combinato disposto dell’art. 29 della l. 47/1985 e dell’art. 55 della l.r. Puglia 31 maggio 1980 n. 56 e s.m.i., per cui tali varianti in sanatoria ex art. 3, III co. della l.r. 26/1985 son obbligate per le zone perimetrate ai sensi del precedente II co., per i soli edifici sanabili alla luce dei tre condoni edilizi e per quegli insediamenti abusivi contigui alle «zone edificate od edificabili in base allo strumento urbanistico vigente», ossia, per Leverano, il PDF vigente al tempo in cui furono effettuate siffatte originarie perimetrazioni, prima, cioè, del citato DPP;

– al più l’indicazione del DPP è una linea-guida per l’eventuale aggiornamento delle Varianti già perimetrate, spettando al Comune di valutare se ed in qual misura vi siano perimetri con contorni frastagliati, a quali aree contigue occorra concedere un beneficio di sanatoria a regime ed a quali condizioni (certo non a quelli già acquisiti di diritto al patrimonio comunale), sicché valgono tuttora le prescrizioni di zona secondo il PRG;

– sicché non solo non errò il Comune a rigettare l’istanza attorea per l’accertamento di conformità, ricadendo allo stato l’intervento abusivo ancora in zona E1, ma gli appellanti avrebbero dovuto far constare l’inerzia del Comune sull’an ed il quomodo della riperimetrazione della variante B6.3 (in attuazione del DPP), se non da prima, almeno dal certificato comunale n. 3989 del 19 marzo 2015, con cui, per l’ennesima volta e nonostante l’ordinanza della Sezione n. 4421/2013, la P.A. differì la definizione dell’invocato accertamento di conformità in attesa del piano particolareggiato per il comparto B6.3, nella cui sede se del caso avrebbe potuto trovare attuazione l’indicazione del DPP;

– appunto per questo gli appellanti non si possono dolere dell’uso nella zona perimetrata B6.3 (o del mancato uso in loro favore di un potere di riperimetrazione del comparto assunto come presupposto della concessione del permesso convenzionato) del sopravvenuto istituto di semplificazione ex art. 28-bis del DPR 380/2001 (ed anche dopo la delibera di Giunta comunale 25 luglio 2014 n. 108, recante l’atto d’indirizzo per la redazione dei piani particolareggiati previsti dal PRG), poiché il PDC convenzionato è invero sostitutivo sì della pianificazione di dettaglio nei casi all’uopo previsti (e, secondo la delibera n. 14/2017, in effetti sufficiente per un comparto da tempo perimetrato, munito delle opere d’urbanizzazione e allo stato non, o non ancora, bisognoso di aggiornamenti), ma senza con ciò inibire (o consentire di “saltare”) la necessità delle previsioni di autonomi piani di dettaglio per ogni altra vicenda non ancora definita o regolata sul medesimo comparto e tanto più, come nella specie, in zone finitime;

– l’art. 28-bis del DPR 380/2001 ha così introdotto una nuova figura di titolo edilizio, suscettibile di buon uso le quante volte vi sia bisogno d’un rapporto giuridico strutturato e complesso tra privato e P.A. relativamente ai profili collaterali al contenuto abilitativo del permesso di costruire (donde la soggezione della parte integrativa del provvedimento al regime ex art. 11 della l. 7 agosto 1990 n. 241), quantunque limitato ai soli casi indicati nel co. 3, per cui il Collegio ben può concludere sul punto, per un verso ripudiando la tesi attorea (che propugna l’applicazione d’una norma, condizionata ad un presupposto non menzionato espressamente dalla medesima come il dovere di definire i contorni frastagliati di un comparto edificatorio per ragioni perequative, mentre la predetta disposizione ha comunque un suo specifico presupposto ed è stata dettata per semplificare l’attuazione dei piani urbanistici sovraordinati, con l’obbligo di previa fissazione in tali piani dei casi d’uso, come previsto testualmente al suo comma 2, e comunque specificandone anche direttamente le finalità generali in conformità a quanto previsto al comma 3) e per altro verso richiamando quei limiti d’applicazione del nuovo istituto che garantiscono gli spazi tuttora riservati alla pianificazione attuativa;

Considerato altresì che:

– sfugge al Collegio il senso della, anzi s’appalesa pretestuosa la doglianza sulla violazione dell’art. 21-quater della l. 241/1990, sol perché, a fronte della potestà del Comune di provvedere a seguito dell’inottemperanza all’ordine di demolizione e rimessione in pristino, quello di Leverano, non si sa perché, lo specifico dovere di emanare gli atti conseguenti e di porre in essere l’attività materiale di adeguamento dello stato di fatto a quello di diritto, nel senso, cioè, che il Comune notificò agli appellanti l’accertamento di tal inottemperanza circa cinque anni dopo l’ordinanza di ripristino;

– per vero, l’ordinanza n. 21/2008 fu notificata il 20 febbraio 2008, mentre l’atto d’accertamento della relativa inottemperanza, emanato sulla scorta del rapporto di Polizia municipale del 6 giugno 2008, intervenne il 14 maggio 2013, sicché, a tutto concedere, gli appellanti, che non impugnarono l’ordine di demolizione né lo eseguirono spontaneamente né chiesero per tempo un accertamento di conformità, godettero per circa cinque anni dell’illecito edilizio e del possesso materiale dell’area di sedime di questo già di proprietà comunale, tutto qui;

– non si comprende il senso di tal doglianza, stante il chiaro dato testuale dell’art. 31, commi 3 e 4 del DPR 380/2001, secondo cui «… se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime… sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune…» e, rispettivamente, «…l’accertamento dell’inottemperanza alla ingiunzione a demolire, nel termine di cui al precedente comma 3, previa notifica all’interessato, costituisce titolo per l’immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari…»;

– pertanto, l’acquisizione di diritto si verificò ope legis allo scadere del predetto termine, mentre l’accertamento dell’inottemperanza, peraltro debitamente comunicato agli appellanti, non ha altri scopi che l’immissione e la trascrizione ed entrambe dette proposizioni sono del tutto pacifiche in giurisprudenza, tanto da esimere il Collegio da ogni pignolesca citazione;

– in disparte l’assenza di ragioni per cui il Comune avrebbe dovuto effettuare un nuovo sopralluogo se non v’è prova, da parte degli appellanti, d’una significativa modifica dello stato dei luoghi e della consistenza dell’abuso, ben prima che l’Adunanza plenaria di questo Consiglio si pronunciasse sul punto, vi fu una forte tendenza della giurisprudenza (cfr. Cons. St., IV, 31 agosto 2010 n. 3955; id., V, 11 gennaio 2011 n. 79; id., 27 aprile 2011 nn. 2497 e 2526, comunque mai per gli immobili abusivi ricadenti in aree soggette a vincolo paesaggistico, id., 27 agosto 2012 n. 4610; id., IV, 28 dicembre 2012 n. 6702; id., VI, 4 marzo 2013 n. 1268, 20 giugno 2013 n. 3367 e 4 ottobre 2013 n. 4907; id., IV, 4 marzo 2014 n. 1016; id., VI, 5 gennaio 2015 n. 13, per cui, ove s’annettesse rilievo al lungo tempo trascorso tra abuso e sanzione, sia pur al solo fine d’incidere sul quantum di motivazione richiesto alla P.A., si perverrebbe in via pretoria a delineare una sorta di “sanatoria extra ordinem” la quale opererebbe anche ove l’interessato non abbia potuto, o voluto avvalersi delle disposizioni normative in tema di sanatoria di abusi edilizi; id., V, 29 luglio 2016 n. 3435; id., VI, 30 giugno 2017 n. 3210), per cui l’ordine di demolizione e, più in generale, tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia sono atti vincolati e, quindi, non richiedono uno specifico giudizio sulle ragioni d’interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una dettagliata motivazione su tali profili e men che mai sulla sussistenza d’un interesse pubblico concreto e attuale alla demolizione o all’acquisizione, né può ammettersi alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non è in grado di legittimare;

– dal canto suo, l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere abusive realizzate non rappresenta un provvedimento di autotutela, ma costituisce una misura sanzionatoria che consegue automaticamente all’inottemperanza dell’ordine di demolizione e non può esserle opposta né una qualsivoglia rilevanza del tempo trascorso dalla realizzazione dell’abuso, né l’affidamento riposto eventualmente dall’interessato sulla legittimità delle opere da realizzare, né l’assenza di motivazione specifica sulle ragioni di interesse pubblico perseguite con l’acquisizione stessa (cfr. Cons. St., V, 8 agosto 2014 n. 4213; id., II, 13 giugno 2019 n. 3962);

– quanto alla necessità d’un nuovo ordine di demolizione o, almeno, di far precedere l’accertamento dell’inottemperanza dall’avviso d’avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della l. 241/1990, le due pretese e la stessa (e risalente) giurisprudenza citata dagli appellanti, peraltro in un caso in cui si controverte d’un illecito edilizio secco e non della rimozione d’un titolo esistente da molto tempo e già eseguito, son state tutte ripudiate da numerosi arresti ai quali la ferma giurisprudenza di questo Consiglio è approdata in tempi anteriori o coevi ai fatti di causa, ferma sempre restando l’avvenuta consolidazione e, da tempo, in capo a loro per omesso tempestivo gravame, dell’ordinanza e della stessa inottemperanza;

– la manifesta infondatezza della pretesa attorea sul citato avviso d’avvio s’appalesa vieppiù quando gli appellanti deducono che la mancanza di esso avrebbe loro impedito l’istanza di sanatoria, sol che si pensi come nel 2008, quando fu loro notificata l’ordinanza di demolizione, era già approvato e vigente il PRG di Leverano, onde essi fin d’allora avrebbero potuto far constare gli stessi argomenti ora addotti con riguardo alla viciniorità del loro immobile al comparto B6.3;

– priva di pregio è la reiterazione della doglianza sulla genericità dell’individuazione dell’area da acquisire al patrimonio comunale, in quanto il Comune fece riferimento alle particelle catastali interessate dall’intervento abusivo, non essendo perspicua, anzi essendo mera petizione di principio la ragione per cui tal indicazione catastale sia in sé insufficiente a capire di qual sedime si tratti;

– ancor più infondata è la censura sull’omessa allegazione, nel provvedimento comunale che accerta l’inottemperanza e pur richiamandolo, del rapporto di Polizia Municipale redatto il 6 giugno 2008, in quanto, se è vero l’obbligo di allegazione o di trascrizione dell’atto cui il provvedimento rinvia per relationem, tal irregolarità è irrilevante nella specie, ov’è descritto il fatto giuridico di detta inottemperanza, che accadde e non è controverso tra le parti;

– non è perspicuo in base a qual dato testuale o a qual principio di diritto gli appellanti deducano la sopravvenuta illegittimità dell’accertamento dell’inottemperanza (non della demolizione, che non è più revocabile in dubbio) sol perché essi hanno presentato un’istanza, che essi chiamano “sanatoria” e invece è solo, per l’accertamento di conformità del loro edificio, giacché nessuna norma di legge, del DPR 380/2001 o di altre fonti, prevede che la presentazione di tal domanda renda irrilevanti il precedente ordine di demolizione e gli altri atti sanzionatori emessi con riferimento all’abuso in questione (in tali termini Cons. St., VI, 9 aprile 2013, n. 1909; id., 2 febbraio 2015 n. 466; id., 4 aprile 2017 n. 1565; id., 4 dicembre 2017 n. 5653), a differenza di quel che accade in base alle norme sul condono ex l. 47/1985, che hanno natura eccezionale e sono insuscettibili d’applicazione analogica al caso in esame;

– pertanto, l’esecuzione della sanzione è solo temporaneamente sospesa, onde, a seguito del diniego espresso o di quello tacito ex art. 36, co. 3 del DPR 380/2001 o della definizione in senso negativo del contenzioso nei confronti dell’istante, la sanzione edilizia è eseguibile e non occorre emanare ulteriori atti sanzionatori (cfr. Cons. St., VI, 6 giugno 2018 n. 3417);

– in definitiva, l’appello va rigettato, mentre tutte le questioni testé vagliate esauriscono la vicenda sottoposta all’esame della Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c. e gli argomenti di doglianza non esaminati espressamente sono stati ritenuti dal Collegio non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso;

– nulla si dispone sulle spese di lite, poiché il Comune e la controinteressata, pur se ritualmente intimati, non si son costituiti nel presente giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. VI), definitivamente pronunciando sull’appello (ricorso NRG 10607/2019 in epigrafe), lo respinge.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 16 aprile 2020, con l’intervento dei Magistrati:

Giancarlo Montedoro, Presidente

Diego Sabatino, Consigliere

Silvestro Maria Russo, Consigliere, Estensore

Alessandro Maggio, Consigliere

Dario Simeoli, Consigliere

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