16/07/2020 – Amministrazione competente e amministrazione procedente in Conferenza di servizi

Amministrazione competente e amministrazione procedente in Conferenza di servizi
di Michele Deodati – Responsabile SUAP Unione Appennino bolognese e Vicesegretario comunale
 
Il caso: ampliamento di un impianto produttivo
Una società ha presentato un’istanza per la realizzazione di un intervento edilizio consistente nell’ampliamento di una struttura produttiva già esistente. La struttura si trova collocata in zona classificata agricola dallo strumento urbanistico. L’intervento proposto consiste nell’ampliamento del manufatto esistente attraverso la costruzione di un altro capannone di mq. 12.041, con annessi uffici al piano terra e al piano primo, finalizzato a soddisfare le esigenze funzionali e di sviluppo della propria attività d’impresa, che consiste in attività di trasporto, logistica, deposito e movimentazione delle merci per conto terzi.
Lo strumento giuridico utilizzato per l’operazione è la variante urbanistica semplificata, prevista dall’art. 8 del D.P.R. n. 160/2010. A riguardo, l’Amministrazione comunale ha tenuto un atteggiamento inerte, nei confronti del quale l’interessata ha preteso giustizia davanti al competente T.A.R., che ha accolto il ricorso. Il Commissario ad acta, nominato al fine di dare esecuzione alla sentenza, ha indetto la Conferenza di servizi.
La Conferenza si è però espressa negativamente, in quanto la Regione ha formulato parere contrario, sul presupposto che il PRG del Comune individua due comparti nei quali è possibile insediare l’intervento proposto. Dunque, difetterebbe l’elemento costituito dalla mancanza di superfici a disposizione. Il Commissario ad acta ha integralmente recepito il parere regionale, ritenendolo vincolante ed obbligatorio, ed ha di conseguenza respinto l’istanza avanzata dalla odierna ricorrente. Ne è seguita l’impugnazione davanti al T.A.R., in via principale per quanto riguarda il parere regionale sfavorevole, e in via incidentale rispetto alla disciplina regionale delle varianti semplificate, contenuta nell’allora vigente D.G.R. n. 2581/2011, oggi non più vigente perché sostituita dalla D.G.R. n. 2332/2018.
L’accoglimento da parte del Tribunale poggia sulla non necessità, in radice, di procedere alla preliminare verifica della sussistenza del requisito della mancanza o della insufficienza di aree disponibili nello strumento urbanistico generale e idonee ai sensi dell’art. 8 del D.P.R. n. 160/2010. Questo perché, in base alla lettura che il giudice di primo grado ha offerto della disciplina regionale, trattandosi di ampliamento di impianto produttivo esistente, ogni valutazione va condotta con riferimento alle esigenze funzionali e di sviluppo di quell’impianto specifico.
Rispetto alla posizione assunta dalla Regione, l’interessata ha replicato che i comparti produttivi esistenti non risultano idonei in quanto avrebbero un’estensione insufficiente rispetto al progetto presentato, non sarebbero giuridicamente disponibili, non sarebbero idonei sotto il profilo qualitativo. Queste ultime censure sono rimaste assorbite.
Gli appelli al Consiglio di Stato
Contro la sentenza del T.A.R. che accoglie la pretesa della ricorrente, sono insorti la stessa ricorrente in via principale, e poi la Regione in via incidentale.
E’ evidente che la società era rimasta insoddisfatta dal verdetto formulato dal giudice in prime cure, essendo la stessa interessata ad un pronunciamento più ampio, che prendesse in considerazione anche le doglianze riferite alla sostanziale inadeguatezza delle aree potenzialmente idonee all’insediamento del proprio progetto.
Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 3961 del 22 giugno 2020, ha respinto l’appello principale della società ed ha accolto quello incidentale proposto dalla Regione. Il primo profilo esaminato concerne il potere esercitabile dalla Regione nell’ambito della conferenza di servizi convocata dal Commissario ad acta -in sostituzione dell’Amministrazione comunale- per le determinazioni da assumere sull’istanza di variante semplificata presentata dal privato, nonché la natura del parere reso dalla Regione medesima. La base normativa è stata individuata nell’art. 25 del D.L. n. 112/1998: la lettera g) dell’articolo in questione esprime il seguente principio direttivo: “possibilità del ricorso alla conferenza di servizi quando il progetto contrasti con le previsioni di uno strumento urbanistico; in tal caso, ove la conferenza di servizi registri un accordo sulla variazione dello strumento urbanistico, la determinazione costituisce proposta di variante sulla quale si pronuncia definitivamente il consiglio comunale, tenuto conto delle osservazioni, proposte e opposizioni avanzate in conferenza di servizi nonché delle osservazioni e opposizioni formulate dagli aventi titolo ai sensi della L. 17 agosto 1942, n. 1150“. Questo è il contenuto della disposizione dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 206/2001, che ha sancito l’illegittimità costituzionale della stessa nella parte in cui prevedeva che, qualora la conferenza di servizi registri un accordo sulla variazione dello strumento urbanistico, la determinazione costituisce proposta di variante sulla quale si pronuncia definitivamente il consiglio comunale, anche quando vi sia il dissenso della Regione.
Amministrazione procedente e amministrazione competente in Conferenza di servizi: ruoli e conseguenze
Da tale riflessione sul contesto normativo, la sentenza n. 3961/2020 del Consiglio di Stato vuole trarre argomenti per definire i criteri interpretativi circa la natura dei poteri esercitabili dall’Amministrazione regionale in sede di conferenza di servizi.
Tale criterio è sintetizzabile nella fondamentale distinzione tra il ruolo ricoperto dalle Amministrazioni che partecipano alla conferenza di servizi e le prerogative dalle medesime esercitabili sul progetto da esaminare.
Sotto il primo aspetto, va ribadita l’affermazione – più volte espressa dalla stessa Sezione – secondo cui in sede di conferenza di servizi l’unica amministrazione alla quale va formalmente imputata la decisione finale è quella procedente, la quale è anche quella che, processualmente, deve essere necessariamente evocata in giudizio.
Nella fattispecie all’esame, tale Amministrazione si deve intendere individuata dal legislatore nel Comune, mentre le altre – tra cui, la Regione – esprimono pareri endoprocedimentali.
Sotto il secondo aspetto – continua la sentenza n. 3961 -, nessuna interferenza sulle prerogative sostanziali e sul riparto di competenze tra le Amministrazioni coinvolte può essere prodotta dalla utilizzazione dello strumento della conferenza di servizi, la quale resta un modulo procedimentale di carattere organizzativo volto a semplificare il raggiungimento di una determinazione amministrazione quando plurime siano le articolazioni amministrative coinvolte, sostituendosi così allo schema classico delle relazioni procedimentali (di presupposizione o di esercizio di poteri con procedimenti paralleli) quello della unica sede decisionale. Da ciò il Collegio ha derivato la natura obbligatoria e vincolante del parere espresso dall’Amministrazione regionale in seno alla conferenza di servizi. Dunque, la posizione del Comune, che ha tenuto conto del parere sfavorevole espresso dalla Regione, è da ritenersi legittima.
Carattere eccezionale e derogatorio della variante semplificata
A sostegno delle sue conclusioni, il Collegio ha richiamato il dato testuale ricavabile dall’art. 8 del Regolamento n. 160/2010, che fa salva l’applicazione della normativa regionale e richiede l’assenso della Regione in sede di Conferenza di servizi. Inoltre, dai procedenti in materia si ricava che la norma in questione è sempre stata interpretata in modo da evidenziarne il carattere eccezionale e derogatorio. La variante urbanistica semplificata, si legge in tali precedenti, non può essere surrettiziamente trasformata in una modalità ‘ordinaria’ di variazione dello strumento urbanistico generale: pertanto, perché a tale procedura possa legittimamente farsi luogo, occorre che siano preventivamente accertati in modo oggettivo e rigoroso i presupposti di fatto richiesti dalla norma, e quindi anche l’assenza nello strumento urbanistico di aree destinate ad insediamenti produttivi ovvero l’insufficienza di queste, laddove per “insufficienza” deve intendersi, in costanza degli standard previsti, una superficie non congrua (e, quindi, insufficiente) in ordine all’insediamento da realizzare.

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