13/07/2020 – Sulla disciplina semplificata della gestione delle “terre e rocce” da scavo

Sulla disciplina semplificata della gestione delle “terre e rocce” da scavo
di Giuseppe Cassano – Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School Of Economics
 
Il G.A. di Brescia, nella sentenza in esame, è chiamato a pronunciarsi in ordine alla legittimità, o meno, di un’ordinanza comunale inibitoria dell’uso come sottoprodotto di terre e rocce da scavo ottenute in esecuzione di alcuni lavori di livellamento di un terreno agricolo (utili ad una migliore irrigazione dello stesso).
In esecuzione di tali lavori, in particolare, si aveva l’asportazione di un grosso quantitativo di ghiaia che il proprietario dell’area intendeva cedere a terzi.
In seguito ad un sopralluogo era emerso che, in sede di esame per la verifica del rispetto degli standards ambientali, le analisi svolte sul materiale asportato non contemplavano né l’amianto né il cobalto (di tali materiali non si avevamo quindi le concentrazioni soglia di contaminazione – CSC): da qui l’adozione dell’impugnato provvedimento inibitorio.
Prima di soffermarsi sul dictum dell’adito G.A. di Brescia è utile un breve sguardo di insieme alla normativa di riferimento giacché che la disciplina delle rocce e terre da scavo si è sempre atteggiata con tratti di marcata specialità, onde attribuire ai soggetti che svolgono attività edilizia una più ampia possibilità di riutilizzo del materiale di risulta delle operazioni di costruzione. E, nel corso del tempo, il relativo regime giuridico è stato sottoposto a ripetuti interventi di riforma (Cass. pen., sez. III, 20 febbraio 2018, n. 8026).
Orbene, la disciplina in esame (delle “terre e rocce da scavo”) è stata originariamente introdotta nell’ormai abrogato D.Lgs. n. 22 del 1997 (cd. Decreto Ronchi) e successivamente riproposta, con una nuova formulazione, nel D.Lgs. n. 152 del 2006 – Codice dell’Ambiente (art. 186) al duplice scopo, indicato nella relazione introduttiva, di recepire le indicazioni della Commissione Europea contenute in numerose procedure di infrazione avviate contro l’Italia e di fornire prescrizioni operative utili per una corretta lettura della norma da parte degli organi deputati ai controlli.
Il D.Lgs. n. 4 del 2008 ha successivamente sostituito integralmente l’art. 186, prevedendo una disciplina più rigorosa; successive modifiche sono poi intervenute ad opera del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, conv. con mod. dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2, del D.L. 30 dicembre 2008, n. 208, conv. con mod. dalla L. 27 febbraio 2009, n. 13 e, infine, del D.Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205 che, all’art. 39, comma 4, ne ha disposto l’abrogazione dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui all’art. 184-bis, comma 2, relativo alla adozione delle misure per stabilire criteri qualitativi e/o quantitativi da soddisfare affinché specifiche tipologie di sostanze (o oggetti) fossero considerati sottoprodotti e non rifiuti.
Detto decreto, con la conseguente abrogazione dell’art. 186, è stato successivamente emanato (D.M. 10 agosto 2012, n. 161 “Regolamento recante la disciplina dell’utilizzazione delle terre e rocce da scavo”) (v. Cass. pen., sez. III, 4 febbraio 2015, n. 5178).
L’intera disciplina in esame è attualmente regolata dal D.P.R. 13 giugno 2017, n. 120 (Regolamento recante la disciplina semplificata della gestione delle terre e rocce da scavo) che ha abrogato il D.M. 10 agosto 2012, n. 161.
L’attuale regolamento distingue tra terre e rocce da scavo prodotte in cantieri di grandi dimensioni (capo 2), terre e rocce da scavo prodotte in cantieri di grandi dimensioni non sottoposti a VIA o AIA (capo 4), e terre e rocce da scavo provenienti da cantieri di piccole dimensioni (capo 3).
L’utilizzo delle terre e rocce da scavo è disciplinato, nel caso di produzione in cantieri di grandi dimensioni sottoposti a VIA o AIA, dal Piano di Utilizzo di cui all’art. 2, comma 1, lett. f), e all’art. 9 del regolamento, che deve essere redatto in conformità all’allegato 5 del regolamento stesso.
Il piano include la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà redatta ai sensi del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 (art. 47), con la quale il legale rappresentante dell’impresa, o la persona fisica proponente l’opera, attesta la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 4, in conformità anche a quanto previsto nell’allegato 3, con riferimento alla normale pratica industriale (art. 9, comma 2).
Il Piano di Utilizzo è sostanzialmente sovrapponibile, quanto a contenuto e modalità di presentazione, oltre che di attestazione, a quello già previsto dal D.M. n. 161 del 2012art. 5.
Negli altri casi (terre e rocce da scavo prodotte in cantieri di grandi dimensioni non sottoposti a VIA o AIA e terre e rocce da scavo provenienti da cantieri di piccole dimensioni), la sussistenza delle condizioni previste dall’art. 4, deve essere attestata dal produttore tramite una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà resa ai sensi del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 (art. 47), con la trasmissione, anche solo in via telematica, almeno 15 giorni prima dell’inizio dei lavori di scavo, del modulo di cui all’allegato 6 del regolamento al comune del luogo di produzione e all’Agenzia di protezione ambientale territorialmente competente.
Nella dichiarazione il produttore indica le quantità di terre e rocce da scavo destinate all’utilizzo come sottoprodotti, l’eventuale sito di deposito intermedio, il sito di destinazione, gli estremi delle autorizzazioni per la realizzazione delle opere e i tempi previsti per l’utilizzo, che non possono comunque superare un anno dalla data di produzione delle terre e rocce da scavo, salvo il caso in cui l’opera nella quale le terre e rocce da scavo qualificate come sottoprodotti sono destinate ad essere utilizzate, preveda un termine di esecuzione superiore.
La dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà di cui al comma 1, assolve la funzione del piano di utilizzo (art. 21, commi 1 e 2).
Orbene, avuto riguardo alla vicenda sottoposta al vaglio del Tar Brescia (riferita ad un cantiere di piccole dimensioni) parte ricorrente solleva, in primis, la censura secondo cui l’ordinanza impugnata era stata adottata del «Responsabile dell’area tecnica edilizia privata e urbanistica» del Comune e non già dal Sindaco, unico soggetto, quest’ultimo, competente ex art. 192 D.Lgs. n. 152/2006.
Sul punto il Giudice di Brescia, nel rigettare la doglianza, precisa come il provvedimento impugnato non era stato adottato ex art. 192 Codice dell’Ambiente (norma che derogando al sistema ordinario ex art. 107 D.Lgs. n. 267/2000 rimette in effetti al Sindaco – e non alla dirigenza comunale – l’emissione del provvedimento di rimozione dei rifiuti abbandonati) risultando emesso ai sensi dell’art. 21, comma 7, D.P.R. n. 120/2017 secondo cui espressamente «L’autorità competente, qualora accerti l’assenza dei requisiti di cui all’articolo 4, o delle circostanze sopravvenute, impreviste o imprevedibili di cui ai commi 3 e 4, dispone il divieto di inizio ovvero di prosecuzione delle attività di gestione delle terre e rocce da scavo come sottoprodotti» (quindi il potere inibitorio era stato esercitato poiché – in tesi – nel caso concreto le terre e rocce da scavo non potevano essere qualificate alla stregua di un sottoprodotto).
La deroga alla competenza porta dall’art. 192 D.Lgs. n. 152/2006 non vale anche per l’art. 21, comma 7, del decreto del 2017 che, come visto, incardina espressamente la competenza nelle amni dell’«Autorità competente» (ovverosia la dirigenza comunale).
Al tempo stesso, quanto al merito della vicenda, il Tar adito sottolinea come l’amministrazione, una volta appurata l’assenza di alcune analisi, non si sarebbe dovuta limitare a vietare l’uso del materiale estratto (che essa qualificava come rifiuto speciale) ma avrebbe dovuto ordinare l’esecuzione di dette analisi (eventualmente nelle more sospendendo i lavori di scavo).
Non sfugge invero come, nella disciplina generale del procedimento amministrativo, operi il potere di soccorso istruttorio ex art. 6, comma 1, lett. b), L. n. 241 del 1990, il quale costituisce un istituto generale.
Peraltro la giurisprudenza penale, intervenuta in tema di gestione dei rifiuti, ha avuto modo di precisare come l’applicazione della disciplina sulle terre e rocce da scavo (D.Lgs. n. 152 del 2006art. 186), nella parte in cui sottopone i materiali da essa indicati al regime dei sottoprodotti e non a quello dei rifiuti, è subordinata alla prova positiva, gravante sull’imputato, della sussistenza delle condizioni previste per la sua operatività, in quanto trattasi di disciplina avente natura eccezionale e derogatoria rispetto a quella ordinaria (Cass. pen., sez. III, 22 giugno 2016, n. 25802).

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