09/07/2020 – Non è possibile concedere in via successiva, con efficacia sanante un’autorizzazione per incarichi extra istituzionali

Non è possibile concedere in via successiva, con efficacia sanante un’autorizzazione per incarichi extra istituzionali
di Marcello Lupoli – Dirigente P.A.
 
Non è possibile concedere in via successiva con efficacia sanante “ora per allora” un’autorizzazione per l’espletamento di incarichi extraistituzionali ex art. 53D.Lgs. n. 165/2001.
E’ questo, in estrema sintesi, il portato della sentenza 18 giugno 2020, n. 11811 resa dalla II Sezione Civile della Corte di Cassazione.
L’occasione per l’affermazione del suddetto assunto è offerta ai giudici della Suprema Corte dalla disamina di un ricorso finalizzato ad ottenere la cassazione della pronuncia resa dal Tribunale territorialmente competente a conoscere del gravame interposto nei riguardi della sentenza resa dal Giudice di Pace relativamente all’opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione emessa dall’Agenzia delle Entrate, con la quale era stata comminata una sanzione pecuniaria per violazione dell’art. 53 del D.Lgs. n. 165/2001, commi 9 e 11, ad un soggetto per aver conferito un incarico professionale retribuito ad un docente universitario senza la preventiva autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza di quest’ultimo e per non aver comunicato nei termini i compensi corrisposti.
Le doglianze avanzate dall’Agenzia fiscale – incentrate essenzialmente sulla considerazione che la condotta sanzionata si ponesse in contrasto con il principio di buon andamento dell’amministrazione, a prescindere dalla sussistenza di un danno, non essendo possibile ritenere sanato, con l’autorizzazione postuma della P.A. interessata, un comportamento illegittimo posto in essere – non sono state accolte né dal giudice di prime cure, né dal giudice del gravame, di guisa che è stato proposto il ricorso per cassazione della sentenza resa dal giudice d’appello, ricorso accolto dai giudici di Piazza Cavour, che hanno ritenuto fondato il motivo assorbente relativo alla confutazione della ritenuta portata convalidante ex tunc dell’autorizzazione postuma rilasciata “ora per allora”, con conseguente cassazione della sentenza del tribunale e rinvio al medesimo tribunale territorialmente competente in diversa composizione.
Ed invero, i giudici della Suprema Corte non ritengono di assecondare l’assunto del giudice di appello, “secondo cui, quella in questione, non sarebbe una mera “autorizzazione postuma”, che potrebbe far pensare a un’autorizzazione successiva al conferimento dell’incarico con efficacia ex nunc, bensì un’autorizzazione con formula “ora per allora” con effetti ex tunc equivalente a quella preventiva”, con l’effetto che “la circostanza che, nel momento in cui era stata formulata la richiesta di autorizzazione, l’incarico privato fosse già stato conferito, non ne inficerebbe la validità, proprio in quanto concessa con la formula “ora per allora”.
La sentenza in disamina – dopo aver preliminarmente evidenziato che la “normativa, nel suo insieme, non vieta […] l’espletamento di incarichi extraistituzionali retribuiti, ma li consente solo ove gli stessi siano conferiti dall’amministrazione di provenienza ovvero da questa “preventivamente autorizzati”, rimettendo al datore di lavoro pubblico la valutazione della legittimità dell’incarico e della sua compatibilità, soggettiva e oggettiva, con i compiti propri dell’ufficio […] – fonda il suo arresto affidandosi alla finalità ultima sottesa all’art. 53 del D.Lgs. n. 165/2001, che è quella “di garantire l’imparzialità, l’efficienza e il buon andamento della pubblica amministrazione nel rispetto dei principi sanciti dagli artt. 97 e 98 Cost.[…], così evitando “che il pubblico dipendente possa svolgere incarichi ulteriori rispetto a quelli che discendono dai propri doveri istituzionali, distogliendolo da essi ovvero creando forme autorizzate di concorrenza soggettiva in capo al medesimo soggetto interessato, e procurandogli un vantaggio economico che non ne giustificherebbe, se stabile e duraturo e quindi dotato dei caratteri della prevalenza e continuità, la permanenza all’interno della pubblica amministrazione, con i conseguenti rilevanti oneri ad essa attribuiti”.
Conseguentemente – osservano ancora i giudici della Seconda sezione Civile della Corte di Cassazione – “quanto all’effetto di rimozione del generale divieto di conseguire l’incarico, se non attraverso una autorizzazione adottata prima dell’inizio dello stesso […]”, non viene ravvisata “una diversità della “autorizzazione postuma” rispetto a quella “ora per allora”, in quanto entrambe intervengono dopo l’inizio (ovvero anche la fine) dello svolgimento dell’incarico”.
Nel ricordare che anche il Consiglio di Stato (Consiglio di Stato Sez. VI, 2 novembre 2016, n. 4590) ha precisato che “il dovere di rispettare la regola per cui – tra gli incarichi non vietati – gli incarichi extraistituzionali consentiti al dipendente (rispetto ai quali quest’ultimo è legittimato a trattenere le relative remunerazioni) sono solo quelli o previamente autorizzati dall’Amministrazione datoriale o quelli dalla stessa direttamente conferiti costituisce interpolativamente (giacché introdotto per legge) null’altro che uno dei diversi doveri del dipendente che rientrano nel fascio dei suoi obblighi dovuti per effetto del rapporto lavorativo dipendente”, i giudici della Suprema Corte osservano ulteriormente che l’autorizzazione postuma “ora per allora” risulta ontologicamente incompatibile con la finalità dell’istituto della previa autorizzazione che, in base al disposto di cui all’art. 53, comma 7, D.Lgs. n. 165 del 2001, è quella […] di verificare, necessariamente ex ante, l’insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi”.
Declinando i suddetti principi di ordine generale nella fattispecie concreta portata all’attenzione dei giudici di Piazza Cavour, con particolare riferimento ai professori universitari “a tempo pieno”, occorre rammentare il disposto dell’art. 6, comma 10, secondo periodo, della L. n. 240/2010, ai sensi del quale “i professori e i ricercatori a tempo pieno possono altresì svolgere, previa autorizzazione del rettore, funzioni didattiche e di ricerca, nonché compiti istituzionali e gestionali senza vincolo di subordinazione presso enti pubblici e privati senza scopo di lucro, purché non si determinino situazioni di conflitto di interesse con l’università di appartenenza, a condizione comunque che l’attività non rappresenti detrimento delle attività didattiche, scientifiche e gestionali loro affidate dall’università di appartenenza”.
La giurisprudenza amministrativa, in merito alla fattispecie concreta suddetta, ha affermato che “sarebbe un controsenso autorizzare ex post un incarico in base ad un potenziale conflitto di interessi, se si considera, altresì, che il fondamento della disciplina della norma citata deve rintracciarsi negli articoli 97 e 98 della Costituzione, ovvero nelle garanzie di imparzialità, efficienza e buon andamento dei pubblici impiegati che sono a servizio esclusivo della Nazione. Sussiste in questa materia una presunzione legale di carattere generale in relazione all’incompatibilità degli incarichi esterni con i doveri d’ufficio (in termini, T.A.R. Lombardia, sez. IV, 7 marzo 2013, n. 614)”, evidenziando, altresì, “che la situazione di incompatibilità deve, conseguentemente, essere valutata in astratto, sul presupposto che la norma mira anche a salvaguardare le energie lavorative del dipendente al fine del miglior rendimento, indipendentemente anche dalla circostanza che questi abbia sempre regolarmente svolto la propria attività impiegatizia” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 13 gennaio 1999, n. 29; in termini, cfr. TAR Emilia Romagna, Parma, sentenze n. 263/2017 e n. 191/2017, che ben compendiano lo stato della giurisprudenza amministrativa con riferimento alla fattispecie de qua dei docenti universitari).
A tanto si aggiunga la non irrilevante considerazione che il dato testuale tanto dell’art. 53 del D.Lgs. n. 165/2001 (“…previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza“) quanto dell’art. 6, comma 10, della L. n. 240/2010 (“…previa autorizzazione del rettore“) depongono per la necessaria acquisizione preventiva dell’autorizzazione, non senza dimenticare le irrinunciabili ragioni di buon andamento dell’amministrazione universitaria che devono essere tenute presenti preventivamente in occasione dell’assenso ad incarichi esterni ai professori universitari, al fine di scongiurare in astratto potenziali pregiudizi all’adempimento della pubblica funzione cui gli stessi sono assegnati.
Quanto sopra non è derogato neppure dal rilievo che il principio di tipicità degli atti amministrativi non impedisce che il momento di esercizio del potere amministrativo possa essere spostato in avanti in tutti i casi in cui sia ancora possibile effettuare le valutazioni che ne sono alla base (come per le autorizzazioni postume in relazione ad attività edilizie ovvero paesaggistiche), ostandovi appunto le osservazioni che precedono.
Un ulteriore elemento evidenziato dai supremi giudici nella pronuncia in disamina, a conferma dell’impossibilità di una successiva autorizzazione in sanatoria “ora per allora”, è la considerazione che il potere sanzionatorio è attribuito all’Agenzia delle Entrate e non all’amministrazione di appartenenza del dipendente investito dell’incarico extraistituzionale, con l’effetto che “il legislatore delegato non abbia previsto le sanzioni in oggetto […] allo scopo di contrastare “violazioni sostanziali”; non comprendendosi altrimenti, per quale motivo la potestà punitiva sia affidata a un soggetto pubblico diverso da quello preposto a valutare la compatibilità tra l’incarico esterno e le normali funzioni istituzionali, in quanto titolare del potere di rilasciare l’autorizzazione”.
In conclusione, ontologiche ragioni connaturate all’istituto che ne occupa impediscono opzioni ermeneutiche della disposizione normativa in parola operate dal giudice del gravame, con conseguente cassazione con rinvio della pronuncia resa da quest’ultimo a seguito dell’accoglimento della doglianza avanzata dalla parte ricorrente.

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