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Contratto d’opera con la Pa: occorre la forma scritta ad substantiam
Occorre un atto sottoscritto dal professionista e dal rappresentante della Pa, contenente oggetto della prestazione ed entità del compenso e non surrogabile altrimenti (Cass. n. 11465/2020)
di Irene Marconi – Avvocato
Pubblicato il 03/07/2020
 
Il contratto d’opera professionale con la Pubblica Amministrazione necessita della forma scritta ad substantiam. L’osservanza del requisito richiede la redazione di un atto sottoscritto dal professionista e dall’organo che ha la rappresentanza dell’ente all’esterno, nonchè l’indicazione dell’oggetto della prestazione e l’entità del compenso.
La sussistenza del contratto non può ricavarsi da altri atti, neppure se correlati dall’accettazione del professionista; non può quindi sopperirvi una delibera autorizzatoria dell’organo collegiale dell’ente, in quanto atto a rilevanza meramente interna.
Questo, in sintesi, il principio di diritto affermato dalla Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 11465/2020 (testo in calce).
Sommario
I fatti di causa
A fondamento della pronuncia vi è il rapporto d’opera professionale intercorso tra un Comune ed un architetto e la successiva opposizione proposta dall’ente, avverso il decreto ingiuntivo emesso in favore del professionista per il pagamento del compenso.
Il Tribunale accoglieva l’opposizione, accertando che l’incarico era stato validamente conferito con delibera e che la condizione sospensiva contenuta nel disciplinare d’incarico (che subordinava il compenso del professionista alla corresponsione di un finanziamento regionale) non si era avverata.
La situazione si rovesciava in appello: i giudici accertavano infatti l’esistenza di un giudicato interno sulla validità del contratto d’opera, rilevando che il Comune non aveva proposto appello incidentale contro il rigetto dell’eccezione di nullità del contratto. Quanto alla clausola che subordinava il compenso del professionista all’erogazione del finanziamento regionale la ritenevano nulla, stante la natura onerosa del rapporto professionale intercorso tra l’architetto e il Comune.
A seguito di impugnazione dell’ente, la vicenda giungeva in Cassazione.
I motivi di ricorso
Il ricorrente contestava innanzitutto l’esistenza del giudicato interno sulla validità del contratto d’opera.
Questo perché, a suo dire, il giudice di primo grado si sarebbe pronunciato sulla mera legittimità delle delibere comunali di conferimento dell’incarico e finanziamento del progetto ma non sull’eccezione di nullità del contratto per carenza di forma ad substantiam.
Non essendo mai stata formulata un’eccezione di nullità non sussisteva neppure l’esigenza di proporre appello incidentale; in ogni caso, dato che il Comune era risultato vittorioso in primo grado, era sufficiente la riproposizione delle difese in appello, ai sensi dell’art. 346 c.p.c..
Lamentava poi l’erronea declaratoria (d’ufficio) di nullità di una clausola del disciplinare di incarico: un atto autorizzatorio con mera efficacia interna all’ente, che però non si era tradotto in un contratto sottoscritto dal rappresentante comunale e dal professionista, di fatto inesistente.
Di qui il motivo per cui il Comune non aveva dedotto la nullità della clausola, nè in primo, nè in secondo grado.
La Corte di merito sarebbe quindi incorsa nel vizio di ultrapetizione, dichiarando nulla la clausola di un contratto inesistente di cui era stata eccepita la nullità.
Soccombenza teorica e appello incidentale
Quanto alla prima censura la Corte la reputa infondata e lo fa muovendo dall’insegnamento delle Sezioni Unite (sent. n. 11799/2017, che a sua volta conferma Cass. Sez. Unite, sent. n. 7700/2016).
I giudici ribadiscono la necessità dell’appello incidentale anche in caso di soccombenza c.d. teorica, cioè quando l’esito del giudizio è favorevole al convenuto ma un’eccezione di merito da questi proposta viene tuttavia respinta, sia con motivazione espressa che in maniera implicita ma comunque chiara e inequivoca.
Nel caso di specie il Comune, pur vittorioso in primo grado, era risultato soccombente rispetto all’eccezione di nullità del contratto per cui, secondo gli Ermellini, per evitare la formazione del giudicato sulla validità del contratto avrebbe dovuto proporre appello incidentale.
Contratto d’opera con la P.A.: i requisiti formali
La seconda doglianza trova invece accoglimento.
La Corte osserva che il contratto d’opera professionale con la Pubblica Amministrazione, anche quando questa agisce al pari di un soggetto privato, necessita della forma scritta a pena di nullità.
Il conferimento dell’incarico dev’essere quindi formalizzato mediante un atto, sottoscritto dal professionista e dall’organo che ha la rappresentanza dell’ente all’esterno, contenente l’indicazione dell’oggetto della prestazione e l’entità del compenso.
Ai fini di validità del contratto deve pertanto escludersi che la sua sussistenza possa ricavarsi da altri atti, neppure se accompagnati dall’accettazione scritta del professionista, quali ad esempio una delibera dell’organo collegiale dell’ente che abbia autorizzato il conferimento dell’incarico (come in questo caso).
Nè è sufficiente che il professionista accetti, espressamente o tacitamente, la delibera a contrarre, poichè questa, anche se sottoscritta dall’organo rappresentativo dell’ente, resta un atto interno a quest’ultimo, che può revocarla a sua discrezione (così Cass. n. 1167 del 2013).
Conseguenze
Secondo la Corte il contratto concluso con la P.A. in difetto del predetto requisito formale è quindi nullo e non è sanabile in alcun modo e sotto nessun profilo: questo perché gli atti negoziali della P.A. constano di manifestazioni formali di volontà, non surrogabili con comportamenti concludenti (in tal senso Cass. n. 22501/2006).
Nel caso di specie, con l’opposizione a decreto ingiuntivo e la comparsa di costituzione nel giudizio d’appello, il Comune aveva chiesto la declaratoria di nullità del contratto concluso con il professionista per assenza di forma scritta ad substantiam.
La Corte d’appello si è tuttavia pronunciata non sulla nullità del contratto ma su quella di una clausola della delibera della Giunta Municipale, contenente il disciplinare di incarico: un atto con efficacia interna all’ente, che lo autorizzava a conferire l’incarico al professionista ma che avrebbe dovuto perfezionarsi tramite sottoscrizione delle parti, non essendo ipotizzabile una conclusione tacita o mediante il consenso.
I giudici d’appello hanno quindi errato nel rilevare un profilo di nullità che non solo non era stato dedotto nei giudizi di merito, ma nemmeno poteva essere rilevato d’ufficio, proprio perchè la clausola del disciplinare di incarico era priva di rilevanza esterna.
Conclusioni
Muovendo da tali considerazioni la Corte ha quindi rigettato il ricorso, cassando la sentenza e rinviando ad altra sezione della Corte d’appello, chiamata a provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità attenendosi al seguente principio di diritto: “Il contratto d’opera professionale con la pubblica amministrazione deve rivestire la forma scritta ad substantiam. L’osservanza della forma scritta richiede la redazione di un atto recante la sottoscrizione del professionista e dell’organo dell’ente legittimato ad esprimerne la volontà all’esterno, nonchè l’indicazione dell’oggetto della prestazione e l’entità del compenso. La sussistenza del contratto non può ricavarsi dalla delibera dell’organo collegiale dell’ente che abbia autorizzato il conferimento dell’incarico, in quanto si tratta di un atto di rilevanza interna di natura autorizzatoria”.

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