03/07/2020 – Libertà di culto e luoghi di preghiera: i locali in cui si svolgono le relative attività sono compatibili con tutte le destinazioni d’uso omogenee

Libertà di culto e luoghi di preghiera: i locali in cui si svolgono le relative attività sono compatibili con tutte le destinazioni d’uso omogenee
di Marilisa Bombi – Giornalista. Consulente attività economiche.
 
Il Consiglio di Stato, Sezione VI, con la sentenza n. 3803 del 15 giugno 2020, ha preso in esame la complessa questione connessa all’utilizzo di un locale commerciale da parte di una comunità islamica che intendeva destinare un immobile di proprietà ad attività non solo di carattere religioso, ma concernenti anche l’interscambio culturale fra la cittadinanza veneziana e la comunità islamica di origine bengalese. Il Comune di Venezia aveva, tuttavia, emesso formale diffida a conformare, ai sensi dell’art. 27D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (T.U. Edilizia), l’edificio alle norme urbanistiche, regolamentari e edilizie ovvero al ripristino della destinazione d’uso dei locali ad attività commerciale. Ciò in quanto si era venuto a configurare un cambio di destinazione d’uso senza opere da attività commerciale a attività culturale – religiosa (come da statuto) regolamentata dalla L.R. Veneto n. 12/2006 (art. 31-bis comma 2, lettera c), in assenza del prescritto titolo edilizio P.d.C. o S.C.I.A. L’associazione di bengalesi ha impugnato la diffida davanti al Tar il quale aveva respinto il ricorso. Di segno opposto, invece, la decisione del Giudice di appello, alla luce delle seguenti argomentazioni.
L’associazione è libera di scegliere, autonomamente e senza vincoli, la sede dove insediarsi. Lo prevede, espressamente, l’art. 71, comma 1, D.Lgs. 3 luglio 2017, n. 117 che, di fatto, ha confermato il contenuto del precedente art. 32, comma 4, L. n. 383/2000. Nel senso che i locali in cui si svolgono le relative attività istituzionali, purché non di tipo produttivo, sono compatibili con tutte le destinazioni d’uso omogenee previste dal decreto del Ministero dei lavori pubblici 2 aprile 1968 n. 1444 e simili, indipendentemente dalla destinazione urbanistica. L’obiettivo della citata disposizione è legato alla meritevolezza delle finalità perseguite dalle associazioni di promozione sociale. Da ciò ne consegue che le relative sedi e i locali adibiti all’attività sociale sono localizzabili in tutte le parti del territorio urbano e in qualunque fabbricato a prescindere dalla destinazione d’uso edilizio ad esso impressa specificamente e funzionalmente dal titolo abilitativo.
Di diverso avviso era stato l’Ente locale il quale aveva ritenuto che, ai sensi dell’art. 32, comma 1, lett. a), D.P.R. n. 380/2001, il mutamento di destinazione d’uso non autorizzato e attuato (come nella specie) senza opere, dà luogo a una c.d. variazione essenziale sanzionabile, se e in quanto implichi una modifica degli standards previsti dal D.M. 2 aprile 1968, ossia dei carichi urbanistici relativi a ciascuna delle categorie urbanistiche individuate nella fonte normativa statale in cui si ripartisce la c.d. zonizzazione del territorio. In caso contrario, non essendo stata realizzata alcuna opera edilizia né alcuna trasformazione rilevante, il mutamento d’uso costituisce espressione della facoltà di godimento, quale concreta proiezione dello ius utendi, spettante al proprietario o a colui che a titolo a godere del bene. E, nel caso in esame, da nessun elemento oggettivo si poteva evincere che la destinazione impressa al locale dall’associazione appellante abbia comportato un aumento del carico urbanistico della zona. Ne consegue che il mutamento d’uso realizzato, che peraltro non ha comportato il passaggio da una ad altra delle categorie funzionali indicate nell’art. 23-terD.P.R. n. 380/2001, doveva ritenersi urbanisticamente irrilevante, e quindi non subordinato al preventivo rilascio di un titolo edilizio.
Entrando nel merito della problematica connessa ai luoghi di culto, la Sezione ha rilevato come l’art. 31-bisL.R. Veneto n. 11/2004, non sia applicabile alla fattispecie. Tale norma, infatti, regolamenta la realizzazione di attrezzature di interesse comune per servizi religiosi da effettuarsi da parte degli enti istituzionalmente competenti in materia di culto della Chiesa Cattolica, delle confessioni religiose, i cui rapporti con lo Stato siano disciplinati ai sensi dell’art. 8, terzo comma, della Costituzione, e delle altre confessioni religiose ed è stato ritenuto palese che tra gli enti ivi contemplati, non rientra l’associazione appellante.

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