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Il mancato adeguamento degli strumenti urbanistici alla normativa regionale comporta la disapplicazione delle regole locali
di Michele Deodati – Responsabile SUAP Unione Appennino bolognese e Vicesegretario comunale
Una società commerciale ha presentato al SUAP un’istanza per ottenere un permesso di costruire in variante per la realizzazione di un supermercato, ma l’Amministrazione comunale l’ha rigettata.
Di qui il ricorso al Tribunale amministrativo regionale, che con provvedimento interinale ha imposto al Comune di procedere al riesame dell’istanza, ma anche in questo caso l’esito è stato il medesimo.
Il Giudice ha condiviso la posizione espressa dal responsabile del SUAP, per il quale il diniego si fonda sul mancato rispetto dei parametri edilizi vigenti. In particolare, l’Ufficio ha ritenuto la necessità di chiedere un nuovo permesso a costruire in luogo di una variante, oltre a rilevare una serie di criticità, come la non compatibilità dell’intervento con la destinazione della zona, la violazione dell’indice di fabbricabilità fondiario, di 2 mc/mq, della distanza minima dai confini di 10 metri, del rapporto di copertura di 1/3, della normativa nazionale sugli standard di parcheggio, in quanto gli spazi vengono reperiti in parte su aree a verde pubblico. Nel diniego, il Comune ha affermato l’impossibilità di approvare le modifiche apposte dalla parte appellante quali varianti al progetto originariamente autorizzato, atteso che le varianti al progetto oggetto della richiesta comportavano delle modifiche essenziali che necessitavano di essere approvate a mezzo di un nuovo permesso di costruire.
Se da un lato il nuovo strumento di pianificazione urbanistica ha riproposto la destinazione dell’area ad “attrezzature e servizi – mercati”, per cui l’intervento non può dirsi incompatibile dal punto di vista della destinazione urbanistica, non per questo – ha sostenuto il Comune – è possibile disapplicare tutti i parametri edilizi che le NTA hanno individuato per tutte le aree di interesse comune. In linea generale, il progetto non ha spiegato perché la realizzazione dovesse verificarsi in deroga a tutte le previsioni indicate.
L’appello al Consiglio di Stato: la tesi della disapplicazione delle norme urbanistiche locali in contrasto
La società proponente, rimasta soccombente in primo grado, ha proposto appello al Consiglio di Stato, che con la sentenza n. 206 del 9 gennaio 2020 lo ha accolto. In contrapposizione alla tesi comunale, abbracciata anche dal Giudice di primo grado, ha dedotto la legittimità della domanda come variante, e l’erronea applicazione delle NTA locali. Il Collegio romano ha rilevato che al centro dell’appello è la questione relativa al mancato rispetto dei parametri urbanistici stabiliti dalle locali NTA, che il Tribunale ha risolto ritenendo legittimo il diniego all’istanza di variante, anche a causa del mancato rispetto degli indici di fabbricabilità.
Gli effetti del mancato adeguamento della strumentazione urbanistica locale alla normativa regionale
Il punto della questione risiede nel fatto che il Comune ha mancato di adeguare la propria strumentazione urbanistica, in particolare le NTA, alle prescrizioni della normativa regionale sopravvenuta, e pertanto, secondo il Collegio d’appello, non rinvenendosi alcuna dimostrazione di tale adeguamento, gli indici e i parametri edilizi ivi contenuti debbano essere conformati al D.M. n. 1444/1968 e alla normativa regionale.
In particolare, nel caso in argomento, trattandosi della costruzione di un centro commerciale non rileva l’indice fondiario ovvero il rapporto di copertura, poiché il D.M. n. 1444/1968 richiede di fissare solo la superficie lorda massima di pavimento realizzabile. Detta previsione si giustifica poiché tali tipologie di intervento necessitano di altezze maggiori di quelle degli edifici di abitazioni, quindi non rientranti nel calcolo della volumetria massima realizzabile sul singolo lotto di terreno. La possibilità per l’Amministrazione di stabilire standard maggiori dei valori minimi previsti dal Decreto statale e dalle norme regionali era comunque prevista, ma in sede di adeguamento delle NTA. Non essendosi adeguato nei termini indicati, devono essere considerati esclusivamente i valori minimi applicabili indicati nel D.M. n. 1444/1968.
Variante o nuova domanda di premesso a costruire?
Per quanto riguarda la questione della legittimità della domanda come variante, e comunque la sua irrilevanza, deve ritenersi che l’appellante ha richiesto un nuovo permesso di costruire conforme alla disciplina urbanistica sopravvenuta, indicandolo come “in variante” soltanto perché formalmente integra un intervento già oggetto di un precedente atto abilitativo. Non è dunque possibile fondare un diniego sulla semplice circostanza per cui il proponente avrebbe dovuto chiedere un nuovo permesso di costruire in luogo di una variante, poiché si tratta di un rilievo meramente formale ed irrilevante, non incidendo in concreto sulla tipologia di procedimento amministrativo, sulla documentazione a sostegno dell’istanza e sulla normativa da applicare, indipendentemente da come venga formalmente definita e richiesta l’autorizzazione per l’intervento modificativo in esame.
Varianti urbanistiche per attività produttive: i rapporti tra regolamenti statali e leggi regionali
In argomento di varianti urbanistiche per attività produttive, per quanto comunque estranea alla fattispecie in commento, va ricordata la posizione espressa dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 1020/2018, secondo la quale la disciplina regolamentare dettata dallo Stato ha carattere di specialità rispetto alle norme regionali sul commercio. L’emanazione dei regolamenti statali di delegificazione, riguardanti eventualmente ambiti materiali di competenza regionale, non ha alcun effetto abrogativo né invalidante sulle leggi regionali in vigore, sia emanate in attuazione dei principi di semplificazione, sia semplicemente preesistenti, né produce effetti di vincolo per i legislatori regionali. Le norme regolamentari vanno semplicemente a sostituire le norme legislative statali di dettaglio che già risultassero applicabili, a titolo suppletivo e cedevole, in assenza di corrispondente disciplina regionale.
Occorre dunque stabilire in che tipo di relazione si pone la disciplina statale contenuta nel D.P.R. n. 447/1998, e nel successivo D.P.R. n. 440/2000 (oggi D.P.R. n. 160/2010), rispetto alla normativa regionale in materia di commercio. Il Collegio ha evidenziato come le due discipline si muovano in realtà su piani diversi: la legge regionale introduce disposizioni generali sul commercio, mentre in materia urbanistica, ai fini del rilascio delle autorizzazioni per grandi strutture di vendita, rinvia alle previsioni dettate dal Comune e dalla Regione. I regolamenti delegati individuano una procedura semplificata per la realizzazione di impianti produttivi, qualunque ne sia l’oggetto, di cui la sentenza n. 1020/2018 ha sottolineato il carattere esclusivamente urbanistico, essendo volta alla variazione dello strumento urbanistico vigente. Di conseguenza, la materia a cui ricondurre tali norme è il “governo del territorio”, ascrivibile alla competenza concorrente e non esclusiva delle regioni.

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