29/01/2020 – Il danno da ritardo o da inerzia della P.A. è risarcibile solo se vi sia stato un danno ingiusto ulteriore rispetto al solo passare del tempo

Il danno da ritardo o da inerzia della P.A. è risarcibile solo se vi sia stato un danno ingiusto ulteriore rispetto al solo passare del tempo
di Massimo Asaro – Specialista in Scienza delle autonomie costituzionali, funzionario universitario Responsabile affari legali e istituzionali
La sentenza in commento tratta del danno cagionato dalla P.A. al privato per effetto del suo agire o, nel caso specifico, del suo agire tardivo o del suo non agire. Proprio l’anno scorso si è celebrato il ventennale della sentenza della Cassazione, SS.UU. civ., 22 luglio 1999 n. 500, che è stata una delle più innovative sentenze in materia di responsabilità verso terzi della P.A. [cfr. Vincenti, La sentenza n. 500/1999 fra vecchie e nuove categorie nella materia risarcitoria, su www.giustizia-amministrativa.it, 2019]. Su questa tematica molto è stato scritto sia in giurisprudenza, ove sono state trattate tutte le distinzioni e condizioni, sia in dottrina [Grasso, Procedimento e danno tra interesse legittimo e fondata pretesa, su www.giustizia-amministrativa.it, 2018].
In materia si sono stabilizzati alcuni elementi sintomatici e tratti caratterizzanti che possono essere puntualizzati come segue:
a) il risarcimento del danno imputato alla P.A. non può mai essere conseguenza automatica dell’annullamento di un atto amministrativo ma necessita dell’ulteriore positiva verifica circa la ricorrenza dei vari presupposti richiesti dalla legge. Tra questi, quello della colpevole condotta antigiuridica della stessa amministrazione; in particolare, affinché sussista il requisito della colpa è necessario verificare se l’emanazione e l’esecuzione dell’atto impugnato siano avvenuti in violazione delle regole della imparzialità, correttezza e buona fede, alle quali l’esercizio della funzione pubblica deve costantemente attenersi (T.A.R. Lecce, sez. II, 10 agosto 2017, n. 1404);
b) per «danno ingiusto» risarcibile ai sensi dell’art. 2043 c.c. si intende non qualsiasi perdita economica ma solo la perdita economica ingiusta, ovvero verificatasi con modalità contrarie al diritto; ne consegue quindi la necessità, per chiunque pretenda un risarcimento, di dimostrare la c.d. spettanza del bene della vita, ovvero la necessità di allegare e provare di essere titolare, in base ad una norma giuridica, del bene della vita che ha perduto e di cui attraverso la domanda giudiziale vorrebbe ottenere l’equivalente economico (Cons. Stato, Sez. VI, 10 luglio 2017, sent. n. 3392);
c) deve sussistere il doppio rapporto di causalità tra il provvedimento lesivo e il danno evento e tra quest’ultimo ed il danno conseguenza, in base ai principi della causalità giuridica (Cons. Stato, Sez. III, 5 settembre 2017, sent. n. 4195);
d) in sede di risarcimento del danno derivante da procedimento amministrativo illegittimo il privato danneggiato può infine limitarsi ad invocare l’illegittimità dell’atto quale indice presuntivo della colpa, mentre resta a carico dell’Amministrazione l’onere di dimostrare che si è trattato di un errore scusabile derivante dalla sussistenza di contrasti giurisprudenziali, di incertezza del quadro normativo di riferimento o di particolare complessità della situazione di fatto, ovvero ancora dal comportamento delle parti del procedimento (T.A.R. Basilicata, Sez. I, 19 giugno 2017, sent. n. 451; T.A.R. Napoli, Sez. V, 16 gennaio 2017, sent. n. 387Cons. Stato, Sez. IV, 6 aprile 2016, sent. n. 1347Cons. Stato, Sez. III, 5 settembre 2017, sent. n. 4195).
Quanto poi al danno da ritardo la giurisprudenza (cfr., ex multis, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III stralcio, 17 dicembre 2019, sent. n. 14466) ha avuto modo di specificare che:
e) Il g.a. riconosce il risarcimento del danno causato al privato dal comportamento della P.A. solo quando sia stata accertata la spettanza al bene della vita, ovvero nelle sole ipotesi in cui non venga emanato o venga emanato in ritardo un provvedimento vantaggioso per l’interessato; ne consegue che il risarcimento del danno subito non è assolutamente configurabile quando il provvedimento adottato in ritardo risulti di carattere negativo e non sia stato impugnato. Non è in altre parole risarcibile il danno da ritardo provvedimentale c.d. «mero», dovendosi verificare se il bene della vita finale sotteso all’interesse legittimo azionato sia o meno dovuto (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 15 settembre 2005, n. 7);
f) l’entrata in vigore dell’art. 2-bisL. n. 241/1990 non ha elevato a bene della vita -suscettibile di autonoma protezione mediante il risarcimento del danno- l’interesse procedimentale al rispetto dei termini dell’azione amministrativa avulso da ogni riferimento alla spettanza dell’interesse sostanziale al cui conseguimento il procedimento stesso è finalizzato; inoltre, il riconoscimento della responsabilità della P.A., per il tardivo esercizio della funzione amministrativa, richiede, oltre alla constatazione della violazione dei termini del procedimento, l’accertamento che l’inosservanza delle cadenze procedimentali è imputabile a colpa o dolo dell’Amministrazione medesima, che il danno lamentato è conseguenza diretta e immediata del ritardo dell’Amministrazione, nonché la prova del danno lamentato (cfr., ex multis, T.A.R. Campania, Sez. I, 27 settembre 2019, sent. n. 4634);
g) la pretesa risarcitoria relativa al danno da ritardo va ricondotta allo schema generale dell’art. 2043 c.c., con conseguente applicazione rigorosa del principio dell’onere della prova in capo al danneggiato circa la sussistenza di tutti i presupposti oggettivi e soggettivi dell’illecito, con l’avvertenza che, nell’azione di responsabilità per danni, il principio dispositivo, sancito in generale dall’art. 2697 comma 1, c.c., opera con pienezza, e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento (cfr., ex multis, Cons. Stato , Sez. VI, 18 marzo 2011, sent. n. 1672; Cons. Stato, Sez. III, 17 dicembre 2012, n. 870; Cons. Stato, Sez. IV, 17 gennaio 2018, sent. n. 240; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I stralcio, 16 gennaio 2020, sent. n. 488).
A seguito della riforma del 2009, l’art. 2-bisL. n. 241/1990 così dispone:
“1. Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.
1-bis. Fatto salvo quanto previsto dal comma 1 e ad esclusione delle ipotesi di silenzio qualificato e dei concorsi pubblici, in caso di inosservanza del termine di conclusione del procedimento ad istanza di parte, per il quale sussiste l’obbligo di pronunziarsi, l’istante ha diritto di ottenere un indennizzo per il mero ritardo alle condizioni e con le modalità stabilite dalla legge o, sulla base della legge, da un regolamento emanato ai sensi dell’articolo 17, comma 2, L. 23 agosto 1988, n. 400. In tal caso le somme corrisposte o da corrispondere a titolo di indennizzo sono detratte dal risarcimento.”
La disposizione prevede la possibilità di risarcimento del danno da ritardo o inerzia dell’amministrazione nella conclusione del procedimento amministrativo non già come effetto del ritardo in sé e per sé, bensì per il fatto che la condotta inerte o tardiva dell’amministrazione sia stata causa di un danno altrimenti prodottosi nella sfera giuridica del privato che, con la propria istanza, ha dato avvio al procedimento amministrativo; il danno prodottosi nella sfera giuridica del privato, e del quale quest’ultimo deve fornire la prova sia sull’an che sul quantum, deve essere riconducibile, secondo la verifica del nesso di causalità, al comportamento inerte ovvero all’adozione tardiva del provvedimento conclusivo del procedimento, da parte dell’amministrazione; e ciò sempre che, nell’ipotesi ora considerata, la legge non preveda, alla scadenza del termine previsto per la conclusione del procedimento, un’ipotesi di silenzio significativo (in questo senso, anche Cons. Stato, Sez. V, 23 agosto 2019, sent. n. 5810; id., Ad. plen., 4 maggio 2018, n. 5).

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