28/01/2020 – Condannato il Sindaco che non si attiva per ordinare lo smaltimento di amianto su un terreno privato

Condannato il Sindaco che non si attiva per ordinare lo smaltimento di amianto su un terreno privato
di Amedeo Di Filippo – Dirigente comunale
La Suprema Corte valuta la sentenza con cui la Corte di Appello di Milano ha confermato il reato di rifiuto di atti d’ufficio ex art. 328 c.p. nei confronti di un Sindaco per avere, nell’arco temporale durato alcuni anni, omesso di assumere qualsiasi iniziativa atta ad imporre lo smaltimento di lastre di eternit (amianto) accatastate alla rinfusa e all’aperto su un terreno privato, a fronte di reiterate denunce di organi pubblici e di privati cittadini.
il Sindaco contesta la violazione di legge processuale per avere il pubblico ministero esercitato l’azione penale per un fatto per cui vi era stata archiviazione; per mancata enunciazione in forma chiara e precisa del fatto e omessa motivazione su un argomento difensivo potenzialmente decisivo; per mancata correlazione tra imputazione e sentenza e mancata considerazione delle allegazioni difensive circa l’inattendibilità e la sostanziale inutilità della deposizione di un teste; per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. La sesta sezione penale della Cassazione rigetta il ricorso con la sentenza n. 1657 depositata il 16 gennaio.
Il reato
I giudici si concentrano sulla struttura dell’illecito penale contestato, ossia il rifiuto di atti di ufficio, che, affermano, è integrato “ogni qualvolta si configuri una situazione di fatto che qualifichi l’atto omesso come dovuto”. Nel caso di specie, il reato si era configurato a partire da una prima segnalazione dell’abbandono a cielo aperto di rifiuti contaminati da amianto in un’area privata, effettuata dal Corpo Forestale dello Stato, a cui hanno fatto seguito diversi inviti formali rivolti al Sindaco da parte di organi pubblici o da privati cittadini e dallo stesso proprietario dell’area, tutti rimasti senza effetto.
Appurata la presenza del contenuto del reato, rilevano di non volersi discostare dalla concezione e dalla affermazione giurisprudenziale tradizionali secondo cui quello di cui all’art. 328, comma 1, c.p. costituisce un “reato di natura istantanea”, in quanto punisce con la reclusione da sei mesi a due anni il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo.
Si definisce reato istantaneo quello in cui la condotta si esaurisce in un solo istante (come per esempio l’omicidio), pertanto il momento consumativo coincide con l’ultimo della serie di atti posti in essere al fine di integrare la condotta costitutiva. Il reato permanente invece si caratterizza per la presenza di un’ulteriore fase – detta “di permanenza” – che segue il momento della perfezione del reato, di durata non preventivamente individuata e che si protrae per un tempo apprezzabile, in cui perdura una condotta volontaria dell’agente, che è in grado di interrompere in qualsiasi momento la situazione antigiuridica.
La natura del reato
La Cassazione si trova di fronte a un reato per sua natura istantaneo che però ha visto il pubblico ufficiale reiteratamente e formalmente sollecitato ad adottare un atto del proprio ufficio, da intendersi come atto dovuto per esigenze di tutela sanitaria. Codificano quindi il principio secondo cui, nel caso di specie, il reato si sia consumato ogni volta che l’imputato ha rifiutato di intervenire a fronte di formali sollecitazioni prospettanti la sussistenza di quella particolare situazione concreta (la presenza di rifiuti di amianto accatastati a cielo aperto in prossimità di abitazioni limitrofe) che rendeva indifferibile l’adozione di una ordinanza contingibile e urgente.
Secondo i giudici della sesta sezione penale, il reato istantaneo di rifiuto di un atto dell’ufficio può manifestarsi come reato continuato quando, a fronte di formali sollecitazioni ad agire rivolti al pubblico ufficiale rimaste senza esito, la situazione potenzialmente pericolosa continui ad esplicare i suoi effetti negativi e l’adozione dell’atto dovuto sia suscettibile di farla cessare. Questo porta ad escludere che possa esservi una pluralità di reati né che possa tramutarsi in un reato continuato, che comporterebbe la necessità di dichiararne in parte la prescrizione.

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