La valutazione più diffusa in questo momento dell’iniziativa parlamentare è la sua rappresentazione come di un passo in avanti verso la soluzione ad un problema organizzativo ed operativo molto rilevante: la carenza estrema di segretari, meno di 3.500 contro un fabbisogno potenziale di oltre 8.100 sedi.
A meglio vedere, la strada delineata dalla mozione né pare corretta sul piano tecnico né, soprattutto, sembra di alcuna utilità per affrontare (e magari risolvere) il problema più rilevante: l’apporto concreto che i segretari comunali, ma anche dirigenti e funzionari locali, possono dare non solo all’efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa (a questo scopo, basta gestire correttamente entrate ed uscite e seguire le indicazioni politiche), ma soprattutto la correttezza amministrativa di tale gestione, problema molto più rilevante.
In quanto alle soluzioni prospettate dalla mozione, esse sono sostanzialmente due:
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la prima è di più immediata realizzazione: “adottare iniziative per individuare, in via temporanea, figure che possano garantire la reggenza delle sedi vacanti sopperendo al perdurare della mancanza di segretari comunali, da reperire tra personale interno alla pubblica amministrazione locale, ivi compresi coloro che abbiano svolto le funzioni di vice segretario comunale presso enti locali, purché siano in possesso dei titoli di studio richiesti per la partecipazione al corso-concorso”;
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la seconda è una previsione nel medio termine: “assumere iniziative urgenti per affrontare e gestire la grave carenza di segretari comunali sopra descritta e, in particolare, a valutare con la massima urgenza un’iniziativa normativa che miri a superare e correggere le criticità del corso-concorso, attraverso una semplificazione e velocizzazione delle procedure selettive”.
I rischi di questa prima soluzione si riverberano sulla seconda e, soprattutto, sui problemi ordinamentali più generali che la mozione nemmeno lontanamente sfiora.
Appare piuttosto evidente che la soluzione “temporanea” finisce per aumentare ulteriormente il già smisurato potere di nomina e revoca dell’incarico attribuito ai sindaci. I quali sarebbero messi nelle condizioni di non dover nemmeno più sottostare al vincolo di selezionare i segretari tra coloro che abbiano vinto il concorso: potranno attribuire le funzioni del segretario comunale non solo ai vice segretari, ma anche a qualsiasi funzionario che disponga di una laurea tra quelle indicate dai bandi di concorso come idonee per partecipare.
La differenza è enorme. Un conto è selezionare i segretari che quel concorso lo abbiano superato. Cosa molto diversa è una valutazione del tutto prognostica sulla potenziale capacità del funzionario da incaricare “temporaneamente” di assolvere alla funzione del segretario potendo partecipare al concorso, ma senza nessuna garanzia, come ovvio, che tale concorso sia poi effettivamente superato.
Insomma, non è chi non veda come si istituzionalizzi un metodo di attribuzione delle funzioni molto artigianale ed “al ribasso”, giustificato dall’urgenza. Ma, sicuramente ispirato dalla volontà di incrementare il potere di spoil system dei sindaci.
I rischi della prima soluzione sono confermati dalla debolezza della seconda. La mozione rinvia a successive iniziative legislative per correggere le criticità del corso-concorso (oggettivamente un po’ macchinoso, ma funzionale ad una selezione rigorosissima e ad una preparazione sul campo fondamentale).
Tutti, però, almeno tra gli operatori, sono perfettamente coscienti che una soluzione immediata, senza scomodare leggi e modifiche ordinamentali, è disponibile da subito: l’allargamento dei posti ai concorsi attualmente banditi per poco più di 200 segretari, a fronte di un fabbisogno maggiore di almeno una decina di volte.
Insomma, pare di poter affermare che la mozione lungi dal delineare una concreta e veloce modalità di superamento dell’emergenza segretari, sia invece funzionale al proseguimento di una politica che a questo punto appare intenzionale: abbandonati gli intenti espressi di abolizione della categoria contenuti nella riforma Madia, continuare con la graduale estinzione dei segretari reclutati per concorso, introducendo una nuova figura di creazione interamente sindacale che potrebbe aggiungersi prima e cancellare dopo i segretari “di carriera”, semplicemente lasciando che la provvisorietà della prima soluzione si trasformi in sistema ordinario.
Sullo sfondo resta un’analisi seria sulla funzione e sugli scopi della figura del segretario comunale. A leggere gli interventi dei deputati che hanno partecipato alla discussione per la votazione della mozione, da un lato appare che essi colgano l’importanza della figura, ma dall’alto appare evidente il travisamento delle competenze e delle funzioni, purtroppo “aiutato” dall’erronea sentenza della Corte costituzionale 23/2019, un arresto della Consulta che si spera prima o poi possa essere radicalmente corretto e modificato.
È sempre più forte l’insistenza del ruolo del segretario come soggetto che compartecipa alla formazione dell’indirizzo politico. Per questa via, quindi, lo spoil system sarebbe l’approdo inevitabile. Ma, proprio questo approdo renderebbe evidente l’inutilità della selezione per concorso, rafforzando il sindaco come king maker.
Nella gestione amministrativa pubblica non può esservi un’attività efficiente ed efficace che non sia, insieme, anzi prima ancora, legittima. Un programma, un progetto, una funzione, un atto, possono essere efficienti e coerenti con la volontà dell’organo di governo; ma, se sono contrari a legge finiscono per creare più danno (civile, penale, erariale) che beneficio.
L’estensione dello spoil system non conduce ad altro risultato che all’indebolimento dell’autonomia tecnica della struttura, la quale viene messa nelle condizioni di “contrattare” contenuti e decisioni molto ai confini, talvolta molto oltre i confini, della legalità, con la conferma dell’incarico.
Ne è esempio chiarissimo il caso (molto meno isolato di quanto si possa credere) della deliberazione di giunta comunale del comune di San Germano Vercellese 72/2017, di recente annullata dalla sentenza del Tar Piemonte, Sezione I, 9 gennaio 2020, n. 30.
La deliberazione contiene una serie di valutazioni di chiarissima impronta politica. Si dirà: è perfettamente normale che un organo di governo, di matrice politica, esprima il proprio indirizzo.
Certo, ma una deliberazione di giunta non ne è la sede. La giunta, infatti, come anche gli altri organi di indirizzo politico, è un organo di amministrazione. Certo, segue un indirizzo politico, ma adotta atti concreti e specifici, non aventi la libertà dei fini propria degli organi legislativi e rappresentativi dell’intero corpo elettorale.
È, invece, diffusissima la convinzione, negli amministratori locali, che i comuni dispongano di una totale libertà nei fini, quasi a rivestire un ruolo di ente superiorem non recognoscens; convinzione che costituisce un costante elemento di attrito con l’apparato amministrativo, tenuto a ricondurre, invece, l’azione gestionale entro i confini delle norme.
Ma, oltre alla ridda di valutazioni su ruolo e funzioni dei comuni in rapporto allo Stato sul tema dell’immigrazione, la deliberazione in sostanza:
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fissa contenuti propri di una normazione: pertanto, come osservato dal Tar, i suoi contenuti avrebbero dovuto semmai avere una connotazione di regolamento e, quindi, la competenza si sarebbe potuta individuare nel consiglio;
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prescrive gravami gestionali sui cittadini, singoli o associati, che ospitassero immigrati in edifici di loro proprietà, con prescrizioni non attuative di norme vigenti, ma nuove e diverse;
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stabilisce sanzioni nel caso di violazione di queste prescrizioni.
Ora, è perfettamente evidente che trattandosi di un provvedimento con contenuti precettivi e sanzionatori esso non possa in alcun modo essere qualificato come “indirizzo”. Un atto di indirizzo delinea solo obiettivi da perseguire, risorse attivabili e possibili percorsi gestionali ritenuti idonei, ma non incide ovviamente, in modo diretto né potenziale, sulla sfera giuridica o sull’ordinamento, essendo rivolto solo all’apparato che quell’indirizzo deve attuare con propri atti gestionali.
Comunque sia andata, appare evidente la rinuncia allo svolgimento delle funzioni dell’apparato amministrativo: il quale, come rilevato sopra, non essendo un apparato “servile”, bensì “servente”, ha il compito di tradurre in atti legittimi, oltre che efficaci, l’indirizzo; non ha l’obbligo di voltarsi dall’altra parte e lasciare campo a qualsiasi provvedimento, di qualsiasi contenuto, fingendo che si tratti di indirizzi.
Il risultato, come rilevato, è stato l’annullamento drastico del TAR Piemonte. Il cosiddetto “indirizzo” dà, poi, atto che “che la presente deliberazione non comporta alcun onere finanziario per l’Ente, ma contribuisce a stimolare e a promuovere comportamenti virtuosi da parte di chi è chiamato in modo democratico a rappresentare l’intera comunità”. Sulla “virtuosità” della decisione di quel comune si è però pronunciato ancora una volta il Tar Piemonte, nella parte dispositiva della sentenza: “Condanna il Comune di San Germano Vercellese al pagamento delle spese di giudizio in favore del sig. ____ e dell’Associazione ______, liquidate in euro 3.000,00 (tremila/00), più accessori di legge e rimborso del contributo unificato. Spese compensate con il Ministero dell’Interno”.
Uno “indirizzo” che da un lato non ha potuto ovviamente risolvere nessuno dei problemi che la deliberazione ha individuato e per altro verso ha comportato costi (si pensi al tempo dedicato alla difesa in giudizio, l’incarico all’avvocato per difendere un provvedimento viziato – cosa che il Tar non ha evidenziato in modo efficace – di difetto totale di attribuzione, gli atti, le delibere, gli impegni di spesa, i costi del processo avviato) e spese vive (la condanna) di nessuna efficacia per gli interessi pubblici e costituenti un gravame per l’erario.
Sono queste l’efficienza e l’efficacia alle quali occorre attendere? L’apparato amministrativo può limitarsi a concordare con gli organi di governo forme di non contrasto, come il chiudere gli occhi e qualificare atti come “indirizzo” per non pronunciarsi? Serve questo tipo di segretari, di dirigenti e funzionari, indeboliti dallo spoil system, per assicurare un corretto perseguimento dell’interesse pubblico?
È evidente che le cose non stanno così. Ed è incredibile che la stampa non sia assolutamente capace di cogliere i veri problemi che da troppi anni assillano l’amministrazione: la totale abolizione di controlli preventivi esterni di legittimità e l’estensione dello spoil system.
Per giorni la stampa si è concentrata sul falso problema dell’inesistente “segretezza” dei dati patrimoniali dei dirigenti, introdotta dal d.l. 162/2019, ma non si è accorta che lo stesso decreto aumenta dall’8% al 10% il numero dei dirigenti che possono essere incaricati “a contratto” senza concorsi, aumentando ulteriormente, quindi, la consustanzia tra politica e dirigenza.
Le soluzioni immaginate dalla mozione appaiono tutte quante ancora ispirate alle logiche gravemente erronee seguire da oltre 25 anni a questa parte e, se attuate, determinerebbero l’ulteriore indebolimento della figura e della funzione del segretario comunale e della dirigenza locale. L’assenza di controlli preventivi fa sì che il rimedio a provvedimenti clamorosamente illegittimi e dannosi come quelli del comune di San Germano Vercellese sia rimesso esclusivamente alla ventura che qualcuno presenti un ricorso; ma è evidente e noto che per una sentenza di annullamento di un TAR , mille e più altri provvedimenti locali, adottati sotto la pressione dello spoil system e in assenza di supporti esterni alla correttezza della gestione (controlli preventivi) sfuggono. Con continue lesioni all’interesse pubblico, all’efficienza, all’efficacia, all’erario.
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