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Abusi edilizi di “necessità” e diritto all’abitazione: è possibile revocare l’ordine di demolizione?
16/01/2020
Il diritto all’abitazione è riconducibile alla categoria dei diritti sociali che trovano legittimazione nell’ordinamento Italiano con gli art. 2 e 3 della Costituzione, nell’art. 25 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, nell’art. 11 del Patto internazionale del 1966 relativo ai diritti economici, sociali e culturali, e dall’art. 1 del protocollo della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Ciò premesso, il diritto all’abitazione può andare contro le leggi nazionali di edificazione? ed inoltre l’ordinamento nazionale concepisce l’abuso edilizio di “necessità”?
Sull’argomento si sono susseguite negli anni parecchi interventi giurisprudenziali, ultimo dei quali quello della Sezione Terza della Suprema Corte di Cassazione che con sentenza n. 844 del 13 gennaio 2020 è intervenuta sull’argomento rigettando il ricorso per l’annullamento di un ordine di demolizione sulla base di una necessità degli occupanti l’abitazione.
Il ricorrente ha contestato l’ordine di demolizione per violazione del suo diritto all’abitazione in quanto nell’immobile in questione era abitato sia dal suo nucleo familiare che quello del suocero evidenziando l’indisponibilità di un altro diverso alloggio nonché delle necessarie risorse economiche per garantirsi un’altra abitazione.
Inoltre, era stato contestato con una CTP si era evidenziato che la demolizione della porzione di immobile ritenuta abusiva avrebbe comportato per le parti regolarmente assentite consistenti danni dovuti alle vibrazioni prodotte, nonché un nuovo assetto statico con aggravamento del quadro fessurativo già esistente. L’interessato proponeva, dunque, istanza di sospensione o di revoca dell’ordine di demolizione al giudice dell’esecuzione in quanto idoneo a compromettere il diritto alla tutela dell’abitazione di 7 persone e che la demolizione dei manufatti abusivi avrebbe comportato seri danni per la porzione regolarmente assentita, nonché danni irreparabili agli impianti elettrico, di gas-metano e acquedotto, i quali attraversavano senza soluzione di continuità l’intero immobile. Istanza che è stata respinta dal tribunale che, secondo il ricorrente in Cassazione, sarebbe incorso nell’inosservanza di norme di cui deve tenersi conto nell’applicazione della legge penale e, segnatamente, quelle che riguardano il suo diritto all’abitazione.
Gli ermellini hanno rilevato che sul tema “diritto all’abitazione” assume rilievo l’art. 1 Prot. 1 Cedu posto a tutela del diritto di proprietà che sarebbe costituito da tre norme:
  • il comma 1 enuncia il principio del rispetto del diritto di proprietà;
  • sempre il comma 1 definisce le ipotesi di privazione della proprietà, le quali vengono subordinate alla sussistenza di determinate condizioni;
  • il comma 2 concerne la regolamentazione dell’uso dei beni riconosciuta in capo allo Stato nell’ottica del perseguimento dell’interesse generale.
Difettando una precisa definizione del termine “proprietà”, esso ha assunto un significato autonomo rispetto a quello riconosciuto nei diversi ordinamenti statali, venendo riconosciuta la tutela anche a situazioni di mero fatto, ergo a prescindere dalla effettiva titolarità del diritto.
In Turchia, il ricorrente aveva costruito una baracca su un terreno pubblico, occupato abusivamente. Elemento determinante, ancora una volta, è stato individuato nella tolleranza delle autorità statali protratta nel tempo, non avendo esse provveduto ad adottare le misure necessarie ad evitare l’abusiva situazione, ovvero a porvi rimedio. Il ricorrente era stato pertanto ritenuto titolare di un interesse patrimoniale sostanziale rispetto all’abitazione.
Il Belgio, il ricorrente utilizzava il bene come casa di villeggiatura, sebbene la stessa fosse stata edificata senza permesso di costruire in zona sottoposta a vincolo di inedificabilità. La Corte EDU ha dichiarato l’avvenuta violazione da parte dello Stato belga dell’art. 1, Prot. 1, in quanto l’inattività dell’autorità pubblica si era protratta per oltre 25 anni, difettando una precedente contestazione dell’illegittimità della condotta).
Conseguenza evidente di tale orientamento giurisprudenziale è l’estensione della tutela anche a situazioni in cui l’oggetto della proprietà siano immobili realizzati contra ius, sottraendo gli agenti all’applicazione della legge nazionale in materia urbanistica ed edilizia e riconoscendo tutela (a prescindere dalla buona/mala fede dell’agente) ad una situazione giuridica non riconosciuta come tale nell’ordinamento interno, con pregiudizio anche dell’interesse generale. Sebbene la Corte EDU abbia mirato ad estendere i confini di tutela del diritto di proprietà, devono essere correttamente interpretate le conseguenze derivanti alla luce del singolo caso concreto, dovendosi tenere conto della natura eminentemente casistica delle decisioni della Corte EDU che, proprio per tale ragione, non sempre può consentire l’estrapolazione di principi di diritto valevoli in maniera assoluta.
In Bulgaria, a seguito della realizzazione di un immobile in assenza di permesso di costruzione, era stato indetto dall’autorità pubblica un bando di gara rivolto alle compagnie private per la demolizione dell’opera abusiva. La Corte EDU ha ritenuto legittima l’interferenza statale in quanto fondata sulla normativa interna, e tale doveva essere dichiarata anche la demolizione. La ricorrente aveva fondato le proprie censure sul pregiudizio alla medesima derivante dall’eventuale demolizione dell’immobile, costituente la sua unica casa. Sul punto la Corte ha ritenuto indefettibile un giudizio di proporzionalità della misura applicata dallo Stato ove il soggetto destinatario della stessa rischi di perdere la propria abitazione. Nel caso in esame l’intervento statuale è stato ritenuto sproporzionato dal momento che, in applicazione delle disposizioni del diritto processuale amministrativo bulgaro, i ricorrenti avrebbero potuto solo ottenere un differimento temporaneo della misura, ma non anche un esame completo della sua proporzionalità. La Corte ha inoltre escluso che il bilanciamento tra il diritto all’abitazione e l’interesse pubblico all’effettiva applicazione delle norme in materia edilizia possa esplicarsi in termini assoluti e, quindi, in via generale, dovendo piuttosto procedersi caso per caso, tenuto conto delle peculiarità della fattispecie concreta. L’obbiettivo perseguito mediante l’ordine di demolizione, è quello di garantire il ripristino dello status quo ante, in modo tale da ristabilire l’ordine giuridico violato dal comportamento dell’autore dell’abuso edilizio, così scoraggiando anche eventuali ulteriori trasgressori. L’interesse generale della collettività al rispetto della normativa nazionale si presenta, pertanto, come un limite idoneo della tutela dell’interesse patrimoniale del singolo. La Corte ha inoltre negato che l’esecuzione dell’ordine di demolizione possa configurare una violazione dell’art. 1 Prot. 1: la misura persegue, come sopra evidenziato, uno scopo legittimo, garantendo l’effettiva attuazione della normativa interna in materia, sicché essa potrebbe essere ricondotta alla “prevenzione dei disordini”, finalizzata a promuovere il “benessere economico del paese.
Il giudice di legittimità ha sottolineato che, dalla giurisprudenza CEDU, si ricava anzitutto il principio dell’interesse dell’ordinamento all’eliminazione, in luogo della confisca, delle opere incompatibili con le disposizioni urbanistiche.L’interesse dell’ordinamento nazionale è quello di abbattere l’immobile abusivamente realizzato, ripristinando l’ordine giuridico violato e garantendo il rispetto delle disposizioni urbanistiche applicabili.
La demolizione configurerebbe una legittima sanzione ripristinatoria e l’interesse con essa perseguito deve ritenersi prevalente sul diritto all’abitazione dell’immobile abusivamente realizzato.
È stata negata, tra l’altro, la funzione punitiva dell’ordine di demolizione, non costituendo un elemento della pena irrogata all’agente, ma essendo piuttosto strumentale al ristabilimento dello status quo ante, con eliminazione delle conseguenze dannose della condotta illecita.
Si è escluso che la demolizione dell’opera abusiva possa legittimamente avvenire solo ove il condannato abbia a disposizione un alloggio alternativo, ovvero qualora a ciò abbia provveduto lo Stato, non potendosi riconoscere un diritto assoluto all’inviolabilità del domicilio e, dunque, dell’abitazione, tale da precludere l’esecuzione dell’ordine di demolizione dell’opera abusiva. Ciò che invece è indefettibile è una valutazione, caso per caso, finalizzata al bilanciamento del diritto del singolo alla tutela dell’abitazione e dell’interesse dello Stato ad impedire l’esecuzione di interventi edilizi in assenza di un regolare titolo abilitativo, ossia in altri termini gli interessi tutelati mediante la concreta applicazione della normativa in materia edilizia e territorio.
Alla luce della giurisprudenza sovranazionale, la Corte di Cassazione ha affermato che l’esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo non contrasta con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio, posto che, non essendo desumibile la sussistenza di alcun diritto “assoluto” ad occupare un immobile, anche se abusivo, solo perché casa familiare, il predetto ordine non viola in astratto il diritto individuale a vivere nel proprio legittimo domicilio, ma afferma in concreto il diritto della collettività a rimuovere la lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato e a ripristinare l’equilibrio urbanistico-edilizio.
Tanto premesso, tenuto conto della giurisprudenza nazionale, nonché di quella sovranazionale, in cui si sottolinea che il diritto all’abitazione non può essere qualificato come assoluto, dovendo lo stesso essere comparato con l’interesse della collettività all’effettiva applicazione della normativa in materia edilizia, gli ermellini hanno confermato che l’ordine di demolizione non costituisce una sanzione penale, bensì una misura funzionalmente diretta al ripristino dello status quo ante, la cui non esecuzione è limitata ad ipotesi specificamente individuate dal legislatore (come la c.d. fiscalizzazione ai senti dell’art. 34 del Testo Unico Edilizia).
Nel caso in esame, la demolizione ordinata non può, d’altronde, essere considerata sproporzionata rispetto all’interesse del singolo, tenuto conto, come rilevato dal giudice dell’esecuzione, che essa concerne unicamente una porzione dell’opera, ossia un suo ampliamento, e non essa nella sua interezza.
A cura di Redazione LavoriPubblici.it
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