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Lo schema di dpcm licenziato dalla Conferenza stato-città sta spiazzando molti enti
Sblocco turnover non per tutti
Programmazione mobile. E soglie troppo selettive
di Matteo Barbero

Sblocco del turnover non per tutti i comuni. Lo schema di decreto del presidente del consiglio dei ministri, attuativo dell’art. 33 del dl 34/2019 licenziato dalla Conferenza stato-città e autonomie locali dell’11 dicembre scorso, ha spiazzato molti enti, che si aspettavano un via libera più generalizzato. Come noto, l’intento è quello di sganciare i nuovi reclutamenti dalle cessazioni, misurando l’ampiezza del turnover in base al peso della spesa per il pagamento degli stipendi sulle entrate correnti. Ma le soglie fissate rischiano di essere troppo selettive e non mancano i dubbi interpretativi. Proviamo a fare chiarezza. Le amministrazioni nelle quali il rapporto si colloca al di sotto della soglia minima possono effettuare assunzioni a tempo indeterminato in misura superiore alla propria capacità assunzionale. Per contro, le amministrazioni nelle quali tale rapporto si colloca al di sotto della soglia massima fissata dal provvedimento dovranno adottare un piano che consenta loro di rientrare nel 2025 entro i parametri fissati. Infine, le amministrazioni comunali che presentano un rapporto intermedio fra i due valori soglia dovranno restare nel tetto delle capacità assunzionali, ma non sono obbligati ad adottare un piano di rientro.

Ai fini del calcolo del rapporto, le entrate correnti corrispondono alla media degli accertamenti relativi ai primi tre titoli relativi agli ultimi tre rendiconti approvati, al netto del fondo crediti di dubbia esigibilità stanziato nel bilancio di previsione relativo all’ultima annualità considerata.
La spesa per il personale, invece, deve essere così conteggiata considerando tutti gli impegni di competenza senza detrazioni oltre all’Irap, come rilevati nell’ultimo rendiconto della gestione approvato. Qui si pone una prima questione riguardante i dati da considerare. È ovvio che al momento il riferimento sia ai rendiconti 2016, 2017 e 2018 per le entrate e per la spesa di personale, mentre già sul Fcde iniziano i primi dubbi: riteniamo che lettera della norma indichi il preventivo 2018 e che occorra considerare il dato di previsione finale.
Cosa succederà, però, quando approveremo il rendiconto 2019? Dovremo rifare tutti i calcoli ed eventualmente rivedere di nuovo la programmazione? Dal tenore letterale del provvedimento sembrerebbe di sì, per cui avremmo una programmazione molto (forse troppo) «mobile».
Per gli enti «virtuosi» è detto chiaramente che la maggiore spesa derivante dalle assunzioni disposte in base al dpcm non rileva ai fini della verifica dei limiti di cui ai commi 557 e 562 della legge n. 296/2006, che quindi rimangono vigenti: ne deriva che, in sede di verifica, occorrerà depurare la spesa di tale quota. Per gli enti sopra soglia massima, invece, si tratta di definire un «percorso di graduale riduzione annuale» del rapporto «anche applicando un turnover inferiore al 100%» e solo dal 2025 scatterebbe, in caso di mancato conseguimento del target, la limitazione del turnover al 30%. Idem per il caso, ancora più indefinito, degli enti mediani, ossia di quelli che si trovano a metà fra il valore minimo e quello massimo.
Per essi, il decreto di palazzo Chigi si limita a precisare che non posso incrementare la spesa di personale rispetto all’ultimo rendiconto approvato. Il che pare introdurre per tali enti un doppio limite: da un lato, quello fisso, ex commi 557 e 562 della legge n. 296/2006, dall’altro quello mobile dell’ultimo rendiconto.
Limiti, per di più, diversi (in quanto il primo da verificare su un aggregato più limitato rispetto a quello rilevante per il secondo) e paradossalmente più restrittivi di quelli degli enti fuori linea.
La speranza è che l’attesa per la pubblicazione del provvedimento sia la conseguenza di un (parziale) ripensamento dei suoi contenuti.

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