02/01/2020 – Partecipate, 1.367 fuori legge – Non rispettano il Tusp e andrebbero razionalizzate

Corte conti: non in regola il 27% delle società. Si riduce il peso dei servizi pubblici locali
Partecipate, 1.367 fuori legge – Non rispettano il Tusp e andrebbero razionalizzate
di Francesco Cerisano

Le partecipate degli enti locali e degli enti della sanità (in totale 5.283 società) sono nel 60% dei casi enti strumentali e nel 40% società operanti nei servizi pubblici locali che rappresentano oltre il 70% del valore della produzione. Prevalgono le società in utile rispetto a quelle in disavanzo ma ad avere i conti in rosso sono soprattutto gli organismi totalmente pubblici, con perdite di esercizio che risultano in larga misura superiori agli utili in alcune regioni come il Lazio, la Sicilia, l’Abruzzo, la Sardegna e il Molise. Inoltre, quasi il 27% delle società (1.367 in totale) versa in condizioni tali da richiedere interventi di razionalizzazione da parte delle amministrazioni socie. È quanto emerge dal referto della sezione Autonomie della Corte dei conti sugli organismi partecipati dagli enti territoriali e, per la prima volta, dagli enti sanitari, approvato con delibera n. 29/2019.

Il referto, riferito ai dati del 2017, fotografa numerosi casi di irregolarità rispetto agli obblighi previsti dal Testo unico sulle società partecipate (dlgs n. 175/2016). A cominciare dalle società prive di dipendenti, o con un numero di addetti inferiori agli amministratori, che sono 1.286, pari a circa il 35% delle 3.720 società analizzabili. Oltre il 28% delle società analizzabili (898 su 3.124) presenta invece un fatturato medio triennale inferiore a 500 mila euro. Infine, 440 società registrano perdite in 4 esercizi su 5. Tutte condizioni che, ai sensi del Tusp, imporrebbero di avviare la razionalizzazione delle quote fino alla dismissione delle stesse. E invece gli enti territoriali hanno deliberato il mantenimento del 71% delle partecipazioni rilevate. Responsabilità da imputare essenzialmente ai comuni visto che hanno mantenuto le partecipazioni nel 72% dei casi, a fronte di un 45% e un 43% delle regioni e delle province/città metropolitane.
Come detto, nel 2017, le società operanti nei servizi pubblici locali si sono numericamente ridotte (il 40,75% del totale), pur rappresentando una parte importante del valore della produzione (il 71,18% dell’importo complessivo). Di queste, solo il 42% è totalmente pubblico, ma occupa circa due terzi degli addetti. Analoga proporzione si registra per gli enti sanitari.
Nel confronto tra i risultati conseguiti dalle società degli enti territoriali interamente pubbliche (n. 1.804) con il totale esaminato (n. 4.326), sono più frequenti, per le prime, situazioni di prevalenza delle perdite di esercizio sugli utili. Nel complesso, i debiti delle società partecipate ammontano a 91,9 miliardi, di cui quasi il 40% è attribuibile alle partecipazioni totalitarie.
Nelle partecipate pubbliche al 100% si rileva anche la preminenza dei crediti verso soci sul totale, sintomo della spiccata dipendenza di tali partecipazioni dagli enti controllanti, pur in presenza di un rilevante indebitamento verso terzi. Tale dipendenza è confermata anche da talune situazioni di eccedenza delle erogazioni (tra cui quelle per contratti di servizio) rispetto ai valori della produzione delle società. Secondo la Corte dei conti «tali situazioni che appaiono giustificabili in caso di risultati di esercizio negativi (da cui scaturiscono oneri per copertura perdite o per ricapitalizzazioni), mentre risultano poco comprensibili se associate a bilanci in utile»
Si conferma, inoltre, la prevalenza degli affidamenti diretti: nonostante la rigidità dei presupposti che consentono la deroga, su un totale di 14.626 affidamenti, le gare sono soltanto 878 e gli affidamenti a società mista, con gara a doppio oggetto, 178. Speculari le risultanze per organismi non societari.

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