13/02/2020 – Urbanistica. Finalità della pianificazione

Urbanistica. Finalità della pianificazione
Pubblicato: 12 Febbraio 2020
Consiglio di Stato Sez. II n.8631 del 20 dicembre 2019

Il disegno urbanistico espresso da uno strumento di pianificazione generale, o da una sua variante costituisce estrinsecazione di potere pianificatorio connotato da ampia discrezionalità che rispecchia non soltanto scelte strettamente inerenti all’organizzazione edilizia del territorio, bensì afferenti anche al più vasto e comprensivo quadro delle possibili opzioni inerenti al suo sviluppo socio-economico; tali scelte non sono nemmeno condizionate dalla pregressa indicazione, nel precedente piano regolatore, di destinazioni d’uso edificatorie diverse e più favorevoli rispetto a quelle impresse con il nuovo strumento urbanistico o una sua variante, con il solo limite dell’esigenza di una specifica motivazione a sostegno della nuova destinazione quando quelle indicazioni avevano assunto una prima concretizzazione in uno strumento urbanistico esecutivo

Pubblicato il 20/12/2019

N. 08631/2019REG.PROV.COLL.

N. 01310/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1310 del 2009, proposto dai

signori Giuseppe Casola e Assunta Migliaccio, rappresentati e difesi dagli avvocati Michele Costagliola e Carlo Sarro, con domicilio eletto presso lo studio Sarro-Di Bonito in Roma, piazza di Spagna, 35;

contro

Comune di Positano, Comunità Montana Penisola Amalfitana,

Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Lidia Buondonno, con domicilio in Roma, via Poli, 29;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Quarta) n. 16679/2007, resa tra le parti, concernente l’impugnativa degli atti di adozione e approvazione del PRG del Comune di Positano

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 novembre 2019 il Cons. Cecilia Altavista e nessuno comparso per le parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Il Comune di Positano, con delibera del 4 febbraio 1999 del Commissario ad acta nominato dalla Comunità Montana, adottava il Piano regolatore generale.

Il Piano regolatore generale prevedeva un nuovo assetto urbanistico del Comune in relazione alla modifica della viabilità, ovvero la pedonalizzazione dell’area centrale, il divieto di circolazione nel centro abitato tranne che per i residenti, la realizzazione di parcheggi esterni e la soppressione dei parcheggi all’interno dell’area centrale.

I signori Giuseppe Casola e Assunta Migliaccio, comproprietari del parcheggio denominato “Migliaccio” e delle aree pertinenziali del fabbricato settecentesco ad esso connesso, e dell’insediamento turistico annesso all’Albergo Ristorante “Le Sirene” e quali comunque cittadini residenti nel Comune, hanno proposto avverso la delibera di adozione il ricorso R.G. 4869/1999 al Tribunale amministrativo regionale della Campania.

Nel corso del procedimento, hanno presentato osservazioni, respinte dal Comune sulla base del richiamo alle scelte generali di piano, con la delibera del Commissario ad acta n. 3 del 29 ottobre 1999; anche tale delibera è stata impugnata davanti al Tribunale amministrativo regionale della Campania (ricorso R.G. 11079/1999).

Con ricorso R.G. n. 12309 del 2004 sono stati poi impugnati il decreto del Presidente della Comunità Montana della Penisola Amalfitana del 9 luglio 2004, di conformità del P.R.G. al P.U.T., la delibera regionale di approvazione del Piano e le ulteriori delibere del Commissario ad acta n. del 2 marzo 2001, n. 1 del 4 marzo 2002, n. 1 del 5 novembre 2003, n. 1 del 21 aprile 2004 e della della Comunità Montana penisola Amalfitana n. 247 del 9 agosto 1996, n. 148 del 17 luglio 2001, n. 48 del 26 marzo 2002, n. 141 del 18 novembre 2003, n. 57 del 18 maggio 2004.

Nei vari i ricorsi sono state proposte le seguenti censure:

-il Piano regolatore generale fa riferimento ad una cartografia risalente al 1994 e non aggiornata sicchè alle indagini dei pianificatori sono sfuggiti gli interventi posti in essere negli ultimi 5 anni; sono errati quindi i calcoli relativi al fabbisogno abitativo;

-illegittimità del calcolo del fabbisogno abitativo;

– illegittimità delle previsioni relative alla individuazione e localizzazione delle aree da destinare a verde pubblico ed attrezzature di interesse comune e illegittima rimessione ai piani esecutivi di una quota determinata di aree per attrezzature di interesse comune e per l’istruzione materna e dell’obbligo che invece, secondo i ricorrenti, avrebbero dovuto essere individuate dallo stesso P.R.G.;

-nella sostanza hanno contestano anche nel merito la soppressione del loro parcheggio, di 35 posti auto ricavati nell’area pertinenziale di un antico palazzo, in relazione al nuovo sistema di viabilità in cui le auto private, eccetto i residenti, dovrebbero fermarsi al di fuori del centro abitato, la pedonalizzazione dell’area centrale.

Con riferimento alla delibera di adozione del Piano è stata proposta una censura relativa alla omessa all’omessa pubblicazione sul B.U.R.C. e nell’albo pretorio di alcuni elaborati del Piano (allegati da A1 ad A7 riportati all’art. 2 delle N.T.A e della tavola 9 P.U.T., sostituzione della tavola 3qc con due distinti elaborati 3qc).

In relazione alla reiezione delle osservazioni respinte sulla base delle scelte generali di piano è stato dedotto il difetto di motivazione, in quanto i ricorrenti avevano una posizione consolidata costituita dalla area del parcheggio e dall’albergo le Sirene, quindi sarebbe stata necessaria una motivazione specifica.

Con la sentenza n. 16679 del 2007 i ricorsi sono stati riuniti e respinti sulla base della infondatezza di alcune censure e della inammissibilità per carenza di interesse di altre; in particolare, il giudice di primo grado, ha respinto le censure relative all’utilizzo delle cartografie del 1994, all’erroneo calcolo del fabbisogno abitativo, all’omessa pubblicazione sul B.U.R.C. e nell’albo pretorio di alcuni elaborati del Piano; al difetto di motivazione della delibera di controdeduzioni alle osservazioni; le contestazioni in ordine alle scelte fondamentali del piano; ha dichiarato inammissibile per carenza di interesse la questione della individuazione delle aree per attrezzature di interesse comune e della illegittima rimessione ai piani esecutivi di una quota determinata per l’istruzione materna e dell’obbligo che invece, secondo i ricorrenti, dovevano essere individuate dallo stesso P.R.G.,

Con l’atto di appello sono state riproposte sotto il profilo dell’error in iudicando e di difetto di motivazione del giudice di prime cure le censure del ricorso di primo grado relative all’utilizzo della cartografia del 1994; alla individuazione delle aree di interesse generale e alla illegittima rimessione ai piani esecutivi di una quota determinata di aree per attrezzature di interesse comune e per l’istruzione materna e dell’obbligo che invece, secondo i ricorrenti, dovevano essere individuate dallo stesso P.R.G.; alle contestazioni circa le scelte fondamentali del Piano.

Sono state poi riproposte tutte le censure del ricorso di primo grado, richiamando il ricorso di primo grado integralmente trascritto nell’atto di appello.

Si è costituita in giudizio la Regione Campania che, nella memoria depositata in vista dell’udienza pubblica -pur senza chiedere la propria estromissione dal processo- ha dedotto la marginalità della sua posizione processuale, essendo estranea nell’approvazione del Piano alle scelte adottate dal Comune contestate dagli appellanti.

All’udienza pubblica del 12 novembre 2019 l’appello è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

In via preliminare ritiene il Collegio di precisare che non possono essere esaminate in questa sede le censure espressamente respinte o dichiarate inammissibili dal giudice di primo grado, che sono state meramente riproposte con la integrale trascrizione del ricorso di primo grado.

Per costante giurisprudenza, nel giudizio amministrativo d’appello è inammissibile, per violazione del dovere di specificità delle censure sancito dall’art. 101, comma 1, c.p.a., la mera riproposizione dei motivi dedotti a sostegno del ricorso di primo grado, senza che sia sviluppata, mediante l’articolazione di puntali argomenti critici, alcuna confutazione della statuizione del primo giudice, non potendo l’appello limitarsi ad una generica riproposizione degli argomenti dedotti in primo grado (Cons. Stato Sez. IV, 21 ottobre 2019, n. 7142; id 26 aprile 2019, n. 2673; Sez. VI, 14 ottobre 2019, n. 6977; sez. III, 25 ottobre 2016, n. 4463).

Infatti, ai sensi dell’art. 101 c. p.a., l’appello deve contenere espressi profili critici della decisione impugnata, atteso che l’effetto devolutivo dell’appello non esclude l’obbligo dell’appellante di indicare nel relativo atto le specifiche critiche rivolte alla sentenza impugnata e le ragioni per le quali le conclusioni, cui il primo giudice è pervenuto, non sono condivisibili (Cons. Stato Sez. III, 1 luglio 2019, n. 4512; Sez. IV, 28 maggio 2018, n. 3162; Sez. V, 7 febbraio 2018, n. 816).

La riproposizione delle censure ai sensi dell’art. 101 comma 2 c.p.a. è, dunque, consentita solo per le censure non esaminate; per quelle espressamente respinte, o anche dichiarate inammissibili con una specifica motivazione, come nel caso di specie, devono essere esaminate e confutate le argomentazioni del giudice di primo grado.

Tale principio era costantemente applicato anche prima del codice del processo amministrativo, in base alla previsione della specificazione dei motivi, contenuta nell’ art. 6 n. 3 del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, comprensivamente richiamato, insieme a tutte le norme di procedura ivi contenute dall’art. 29 comma 1 della L. 6 dicembre 1971, n. 1034 (cfr. Cons. Stato Sez. IV, 2 settembre 2019, n. 6056; id 28 maggio 2018, n. 3162; sez. VI, 12 dicembre 2012, n. 6370, Sez. IV , 27 aprile 2005, n. 1940).

Ne consegue che anche rispetto agli appelli proposti prima della entrata in vigore del codice del processo amministrativo era ritenuta necessaria una critica argomentata della motivazione della sentenza, che ne evidenziasse i profili di erroneità e ingiustizia, non essendo dunque sufficiente il riferimento del tutto generico ai motivi dedotti con il ricorso in primo grado respinto.

Nel caso di specie sono stati proposti motivi di appello solo avverso alcuni capi della sentenza; sono stati poi integralmente riprodotti gli atti introduttivi del ricorso di primo grado.

Ritiene, dunque, il Collegio, in applicazione dei consolidati orientamenti giurisprudenziali sopra richiamati, di potere esaminare solo i motivi espressamente proposti in appello sotto forma di critiche alla motivazione del giudice di primo grado e non le censure di primo grado riproposte solo tramite la riproduzione dei ricorsi di primo grado.

Con il primo motivo si ripropone la censura relativa all’utilizzo di una cartografia non aggiornata, in quanto la elaborazione del Piano sarebbe stata basata su una cartografia risalente al 1994 e non aggiornata, con la conseguenza che non sarebbero stati valutati gli interventi realizzati negli ultimi 5 anni.

Tale censura è stata considerata inammissibile dal giudice di primo grado, in quanto i ricorrenti non avevano specificamente dedotto gli aspetti su cui avrebbe avuto rilevanza il mancato aggiornamento; in ogni caso, è stata anche respinta nel merito, in quanto il territorio non avrebbe comunque subito modifiche essendo vigenti le misure di salvaguardia di cui all’art. 5 della legge regionale n. 27 giugno 1987 n. 35 di approvazione del Piano Urbanistico Territoriale della Penisola Sorrentino-Amalfitana fino all’approvazione del piano regolatore generale comunale.

Nell’atto di appello si contesta tale profilo motivazionale della sentenza, sostenendo che le misure di salvaguardia avrebbero impedito nuove concessioni edilizie ma non concessioni in sanatoria.

Ritiene il Collegio che la censura come proposta in primo grado e riproposta in appello sia in primo luogo generica, in quanto priva di qualunque riferimento concreto rispetto agli errori di valutazione effettivamente provocati da tale cartografia.

Peraltro, deve essere anche confermato il riferimento da parte del giudice di primo grado alle misure di salvaguardia poste dall’art. 5 della legge regionale 27 giugno 1987, n. 35, di approvazione del “Piano urbanistico territoriale dell’Area Sorrentino-Amalfitana” per cui “dalla data di entrata in vigore del Piano urbanistico territoriale e sino all’approvazione dei Piani regolatori generali comunali per tutti i Comuni dell’area è vietato il rilascio di concessioni” escluse alcune ipotesi eccezionali espressamente previste quali gli edifici pubblici e le opere previste dai piani urbanistici attuativi vigenti. Tali misure di salvaguardia impedivano anche il rilascio di concessioni in sanatoria, ai sensi dell’art. 13 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 e successivamente dell’art. 36 del D.P.R. 380 del 2001, in quanto tali norme richiedono la conformità urbanistica dell’intervento di cui si chiede la sanatoria.

Pertanto, il Comune avrebbe potuto al limite avere rilasciato concessioni in sanatoria, ai sensi delle leggi 28 febbraio 1985 n. 47 e 23 dicembre 1994 n. 724, ma trattandosi di zona sottoposta a vincolo paesaggistico con D.M. 23 gennaio 1954, anche previo parere dell’autorità preposta alla gestione del vincolo.

Quindi, la modificazione del territorio che si sarebbe potuta realizzare nel corso dei cinque anni di mancato aggiornamento delle cartografie, oltre che non provata, e neppure dedotta con riferimento ad alcun aspetto concreto, era comunque molto limitata, potendo essere riferita a concessioni in sanatoria a seguito di condono e ammesso che vi fosse il parere favorevole dell’autorità preposta.

Ne deriva che non sussiste alcun elemento di fatto, non essendovi alcuna deduzione sul punto, per ritenere che l’utilizzo di tali cartografie abbia effettivamente potuto influire sulle scelte di Piano.

Si deve anche tenere presente che, rispetto alla scelta fondamentale del Piano di limitare l’accessibilità ai veicoli, in relazione alla tutela dell’area centrale, l’eventuale valutazione di interventi edilizi eventualmente sanati negli ultimi cinque anni appare del tutto irrilevante.

Con l’ulteriore motivo di appello si è riproposta la censura relativa alla illegittimità delle previsioni relative alla individuazione e localizzazione delle aree da destinare a verde pubblico ed attrezzature di interesse comune e alla illegittima rimessione ai piani esecutivi di una quota determinata di aree l’istruzione materna e dell’obbligo, ritenuta inammissibile per difetto di interesse dal giudice di primo grado, in quanto relativa ad aree estranee a quella di proprietà dei ricorrenti.

Gli appellanti hanno contestato tale dichiarazione di inammissibilità per difetto di interesse, sostenendo di agire come cittadini residenti nel Comune aventi dunque interesse a che le attrezzature di interesse generale siano correttamente dimensionate.

Sostengono che tali aree sarebbero state individuate in maniera fittizia e artificiosa in quanto poste in zone non effettivamente utilizzabili, quali zone impervie e esposte a rischio idrogeologico; inoltre la localizzazione delle aree per scuola materna e dell’obbligo sarebbe stata illegittimamente demandata a piani esecutivi.

Pur prescindendo dalla questione dell’interesse, la censura proposta è comunque generica.

Nell’atto di appello si sostiene che le aree determinate quali standard urbanistici nel piano non sarebbero idonee essendo state determinate con riferimento ad aree impervie e soggette a rischio idrogeologico.

Tali affermazioni, anche facendo riferimento ai motivi di ricorso di primo grado, non sono supportate da alcuna specifica indicazione, di quali siano tali aree inidonee a valere come standard urbanistici.

Inoltre, con riferimento al rinvio ai piani esecutivi per le superfici destinate a scuola materna e dell’obbligo, si deve rilevare che l’art. 11 della legge regionale 27 giugno 1987 n. 35 di approvazione del “Piano urbanistico territoriale dell’Area Sorrentino-Amalfitana” indica ai fini del “proporzionamento del Piano regolatore generale” dei Comuni dell’Area “Le quantità minime di aree da destinare alle attrezzature pubbliche comunali” fissando tali parametri in funzione della superficie minima per abitante, richiede il rispetto di un parametro dimensionale (indicato per la istruzione materna e dell’obbligo in 4,5 mq per abitante) mentre non vi è una specifica indicazione circa la localizzazione di tali aree al momento della redazione del piano regolatore generale.

Del resto anche il D.M. 2 aprile 1968 n. 1444 fissa gli standard minimi inderogabili al momento della redazione dei piani regolatori, ma non obbliga i Comuni già alla localizzazione degli edifici pubblici relativi agli spazi pubblici così individuati.

Ne deriva l’infondatezza di tale motivo di appello.

Nell’atto di appello viene poi riproposta la censura del difetto di motivazione del Piano regolatore contestando la scelta fondamentale del PRG di accessibilità veicolare dell’area centrale solo per i residenti con eliminazione dei parcheggi all’interno della detta area, tra cui quello gestito dagli appellanti.

Con tale censura gli appellanti ripropongono, infatti, oltre al difetto di motivazione, le deduzioni già avanzate in primo grado relative alle scelte di merito da parte del Comune, sostenendo che proprio tale scelta di limitare l’accesso veicolare nel centro abitato con la realizzazione di parcheggi esterni e di sistemi di collegamento comporterebbe un sacrificio della posizione degli appellanti ingiustificata rispetto al nuovo modello di accessibilità del territorio comunale; inoltre tale scelta non sarebbe rispettosa del paesaggio che si dovrebbe tutelare, in quanto produttiva di un notevole impatto ambientale rispetto al mantenimento dei piccoli parcheggi interni all’abitato.

Quanto al difetto di motivazione, per costante giurisprudenza il disegno urbanistico espresso da uno strumento di pianificazione generale, o da una sua variante costituisce estrinsecazione di potere pianificatorio connotato da ampia discrezionalità che rispecchia non soltanto scelte strettamente inerenti all’organizzazione edilizia del territorio, bensì afferenti anche al più vasto e comprensivo quadro delle possibili opzioni inerenti al suo sviluppo socio-economico; tali scelte non sono nemmeno condizionate dalla pregressa indicazione, nel precedente piano regolatore, di destinazioni d’uso edificatorie diverse e più favorevoli rispetto a quelle impresse con il nuovo strumento urbanistico o una sua variante, con il solo limite dell’esigenza di una specifica motivazione a sostegno della nuova destinazione quando quelle indicazioni avevano assunto una prima concretizzazione in uno strumento urbanistico esecutivo (Cons. Stato Sez. II, 6 novembre 2019, n. 7560; sez. IV, 25 giugno 2019, n. 4343; sez. IV, 1 agosto 2018, n. 4734; sez. IV, 12 aprile 2018, n. 2204; sez. IV, 25 agosto 2017, n. 4063).

Rispetto alla scelta fondamentale del Comune di limitare l’accessibilità veicolare nel centro abitato, ritiene il Collegio di richiamare i consolidati orientamenti giurisprudenziali sulla ampia discrezionalità delle scelte comunali nell’ambito del potere pianificatorio, sindacabile solo nei casi di manifesta illogicità, irragionevolezza od errore di fatto.

Le scelte di pianificazione urbanistica sono caratterizzate da ampia discrezionalità e costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità (Cons. Stato, Sez. IV, 19 novembre 2018, n. 6484 e n. 6483; id., 26 settembre 2019, n. 6436).

Nel caso di specie, inoltre, non si tratta neppure della scelta relativa alla destinazione urbanistica di singole aree del territorio comunale, ma di una scelta effettuata a monte di riorganizzazione del territorio comunale in funzione della limitazione del traffico veicolare del centro abitato della pedonalizzazione dell’area centrale.

Tale scelta fondamentale rientra quindi in una valutazione di merito del Comune circa le modalità dello sviluppo sostenibile del territorio e la vivibilità dello stesso.

Sotto tale profilo ritiene il Collegio di richiamare l’orientamento giurisprudenziale per cui il potere di pianificazione deve essere considerato espressione di un potere ampio e funzionalizzato di “governo del territorio” discendente direttamente dalla indicazione prevista dall’art. 117 della comma 3 Costituzione, che si esplica, non solo nella individuazione delle destinazioni delle zone del territorio comunale e alla disciplina della edificazione dei suoli, ma in tutte le modalità di utilizzo delle aree, nel quadro di rispetto e di positiva attuazione di valori costituzionalmente tutelati. Tali finalità complessive dell’urbanistica, e degli strumenti che ne comportano attuazione, sono peraltro desumibili fin dalla l. 17 agosto 1942 n. 1150, che ha individuato all’art. 1 contenuto della “disciplina urbanistica e dei suoi scopi” , non solo nell’assetto ed incremento edilizio dell’abitato, ma anche nello “sviluppo urbanistico in genere nel territorio della Repubblica”; in definitiva, l’urbanistica, ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, così offrendone una visione affatto minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo ( Consiglio di Stato, sez. IV, 22 febbraio 2017, n. 821; id.1 giugno 2018, n. 3314, con riferimento alle limitazioni urbanistiche opposte dall’autorità comunale rispetto alle effettive esigenze di tutela dell’ambiente urbano o afferenti all’ordinato assetto del territorio, “che devono essere sempre riconducibili a motivi imperativi di interesse generale e non fondate su ragioni meramente economiche e commerciali, che si pongano quale ostacolo o limitazione al libero esercizio dell’attività di impresa che non deve comunque svolgersi in contrasto con l’utilità sociale”).

In definitiva, l’urbanistica ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione non sono mai stati intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, così offrendone un’inaccettabile visione minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli Enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo. Per tale ragione è possibile una compenetrazione di vincoli che, senza esautorare lo Stato dai compiti di tutela che gli sono propri, ne rafforzi le finalità ed estenda la portata in una visione di valorizzazione, oltre che di protezione del bene tutelato (Cons. Stato Sez. II, 14 novembre 2019, n. 7839).

Inoltre, ritiene il Collegio di richiamare la giurisprudenza di questo Consiglio relativa alle limitazioni al traffico veicolare, essendo questa nella sostanza la scelta comunale contestata dagli appellanti. Sul punto è stata più volte affermato la legittimità di tali misure, quando non sia vietato tout court l’accesso e la circolazione all’intero territorio, ma solo a delimitate, seppur vaste, zone dell’abitato urbano particolarmente esposte alle conseguenze dannose del traffico; la parziale limitazione della libertà di locomozione e di iniziativa economica è stata ritenuta giustificata quando derivi dall’esigenza di tutela rafforzata di patrimoni culturali ed ambientali, specie di rilievo mondiale o nazionale; la gravosità delle limitazioni è stata giustificata anche alla luce del valore primario ed assoluto che Costituzione riconosce all’ambiente, al paesaggio, alla salute; i provvedimenti limitativi della circolazione veicolare all’interno dei centri abitati sono quindi stati considerati espressione di scelte latamente discrezionali, che coprono un arco esteso di soluzioni possibili, incidenti su valori costituzionali spesso contrapposti, che vanno contemperati secondo criteri di ragionevolezza la cui scelta è rimessa all’autorità competente; in particolare, l’uso delle strade, specie con mezzi di trasporto, può essere regolato sulla base di esigenze che, sebbene trascendano il campo della sicurezza e della sanità, attengono al buon regime della cosa pubblica, alla sua conservazione, alla disciplina che gli utenti debbono osservare ed alle eventuali prestazioni che essi sono tenuti a compiere; la tipologia dei limiti (divieti, diversità temporali o di utilizzazioni, subordinazione a certe condizioni) viene articolata dalla pubblica autorità tenendo conto dei vari elementi rilevanti: diversità dei mezzi impiegati, impatto ambientale, situazione topografica o dei servizi pubblici, conseguenze pregiudizievoli derivanti dall’uso indiscriminato del mezzo privato; è una disciplina funzionale alla pluralità degli interessi pubblici meritevoli di tutela ed alle diverse esigenze, e sempre che queste rispondano a criteri di ragionevolezza il cui sindacato va compiuto dal giudice amministrativo in ossequio al principio di separazione dei poteri ed alla tassatività dei casi di giurisdizione di merito, ab externo nei limiti della abnormità. (Cons. Stato Sez. V, 4 maggio 2017, n. 2031; Cons. Stato, V, 6 maggio 2015, n. 2255).

Facendo riferimento a tali coordinate giurisprudenziali e, entro in limiti del sindacato giurisdizionale, ritiene il Collegio che la scelta comunale contestata non sia manifestamente illogica né irragionevole, considerata la particolare collocazione geografica e orografica del Comune di Positano, la sua rilevanza storica, artistica e ambientale; inoltre la gestione dell’enorme flusso turistico e la tutela del sito patrimonio dell’UNESCO.

Sostengono poi gli appellanti che illegittimamente sarebbe stata rinviata alla fase attuativa la soluzione di questioni che il nuovo modello di mobilità porrebbe, ma ciò è conforme alla funzione di atto generale del P.R.G., come correttamente rilevato dal giudice di primo grado.

L’appello è dunque infondato e deve essere respinto.

In relazione alla particolarità e complessità delle questioni in fatto ed in diritto sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 novembre 2019 con l’intervento dei magistrati:

Fabio Taormina, Presidente

Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti, Consigliere

Giovanni Sabbato, Consigliere

Francesco Frigida, Consigliere

Cecilia Altavista, Consigliere, Estensore

Print Friendly, PDF & Email
Torna in alto