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E’ legittimo (in caso di uso pubblico anziché di cessione delle aree per le urbanizzazioni primarie e/o secondarie) porre a carico dei lottizzanti la manutenzione delle relative opere.
 
URBANISTICA: Le conclusioni del giudice di primo grado sulla conformità della clausola negoziale in esame all’art. 28 della legge n. 1150 del 1942 e 1069 c.c. risultano convincenti.

Invero, relativamente all’art. 28, va evidenziato che il comma 5 di quest’ultimo elenca una serie di modalità attraverso le quali, in sede di convenzione di lottizzazione, possono definirsi gli oneri gravanti sui privati proprietari ai fini della realizzazione delle opere di urbanizzazione, sia primaria che secondaria.

Tra le opzioni rientra anche quella prospettata dal n. 2), il quale prevede, in alternativa alla cessione all’Amministrazione comunale della titolarità sulle aree destinate ad accogliere le opere anzidette, “l’assunzione, a carico del proprietario, degli oneri relativi alle opere di urbanizzazione primaria e di una quota parte delle opere di urbanizzazione secondaria relative alla lottizzazione o di quelle opere che siano necessarie per allacciare la zona ai pubblici servizi; la quota è determinata in proporzione all’entità e alle caratteristiche degli insediamenti delle lottizzazioni”.

In questo quadro, può dunque ritenersi che sia non sia illegittimo prevedere che gli acquirenti delle unità immobiliari risultanti dai processi di lottizzazione urbanistica e che mantengono il dominium sulle aree da destinare a fini di pubblica utilità, possano essere anche destinatari degli oneri economici necessari al fine di assicurare una siffatta destinazione.

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… per la riforma della sentenza 22.10.2014 n. 2526 del TAR Lombardia-Milano, Sez. II, resa tra le parti, concernente la costituzione di una servitù pubblica su un’area ricompresa nell’ambito di una convenzione di lottizzazione.

1. La presente controversia attiene all’esecuzione della convenzione urbanistica originariamente stipulata tra la Va.Co. s.r.l., oggi Vi.Po. s.r.l., e il Comune San Donato Milanese.

In forza di questo accordo, la Società, in attuazione di un piano di lottizzazione adottato con precedente delibera del Consiglio comunale, si impegnava a costituire una servitù di uso pubblico su aree ricomprese tra la superficie lottizzata e un lago artificiale. La servitù avrebbe dovuto consentire la persistente fruibilità delle aree in questione ad opera della collettività.

1.1. Successivamente, con atti pubblici regolarmente trascritti, la Società alienava a privati le unità immobiliari realizzate sui terreni oggetto di lottizzazione.

Nei medesimi atti di compravendita gli acquirenti conferivano alla stessa Società la procura irrevocabile alla stipula, con l’Amministrazione comunale, delle ulteriori convenzioni necessarie per le cessioni e le costituzioni di diritti reali, in favore del medesimo Comune.

1.2. Con un primo atto, sottoscritto il 04.11.2010, il signor Gi.Ma., agendo in nome e per conto della Società lottizzante, concludeva un accordo con il Comune per effetto del quale veniva costituito, tra le altre cose, un diritto di superficie sulle aree individuate dalla precedente convenzione urbanistica. L’accordo prevedeva altresì che i proprietari delle aree lottizzate si obbligassero a sostenere le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria della suddetta servitù.

1.3. Alcuni dei partecipanti al Condominio Re.La., odierno appellante, contestavano tale accordo, in quanto sottoscritto da soggetto che, alla data della stipula, non era più titolare di poteri di legale rappresentanza della Società firmataria, e comunque concluso con superamento dei limiti della procura precedentemente conferita.

1.4. Ciononostante, con un nuovo atto pubblico stipulato in data 30.11.2011, la Società lottizzante aveva provveduto a ratificare l’accordo precedentemente sottoscritto dal signor Ma., facendo propria la volontà negoziale da questi manifestata.

1.5. Seguivano ulteriori istanze dei condomini, indirizzate tanto al Comune quanto alla Società, con le quali si chiedeva di dichiarare l’inefficacia o, comunque, l’invalidità della clausola con la quale era stata prevista l’assunzione a loro carico degli oneri legati alla manutenzione ordinaria e straordinaria delle aree su cui insisteva la servitù di uso pubblico.

2. Gli stessi condomini e l’intero Condominio Re.La., a fronte dell’inerzia mantenuta sulle loro istanze, proponevano quindi ricorso al Tar per la Lombardia, sede di Milano, per far accertare l’illegittimità del silenzio dell’Amministrazione e per far dichiarare l’inefficacia della clausola relativa agli obblighi di manutenzione della servitù pubblica.

2.1. Il Tar, dopo avere dichiarato improcedibile il ricorso per sopravvenuto difetto di interesse relativamente all’accertamento dell’illegittimità del silenzio (gli stessi ricorrenti hanno dichiarato nel corso del giudizio di non avere più interesse alla domanda), ha ritenuta infondata la richiesta di accertamento dell’inefficacia della clausola sugli oneri di manutenzione (quest’ultima, secondo lo stesso Tribunale, doveva ritenersi perfettamente efficace nei confronti dei ricorrenti, essendo stata ratificata dalla Società nell’esercizio dei poteri di rappresentanza a questa conferiti con la pregressa procura irrevocabile.

In aggiunta a ciò, il Tar ha sottolineato che, contrariamente a quanto dedotto nel ricorso introduttivo, l’accollo degli oneri di manutenzione ordinaria e straordinaria ai privati proprietari delle unità immobiliari risultanti dalla eseguita lottizzazione non si poneva in contrasto né con l’art. 28 della legge n. 1150 del 1942, né con l’art. 1069 c.c..

3. Avverso la predetta sentenza hanno proposto appello il Condominio Re.La. e i singoli condomini.

3.1. In particolare, nel ricorso essi hanno sottolineato la fondatezza della domanda di accertamento dell’inefficacia della clausola contenuta nell’accordo originariamente concluso dal “falsus procurator” della Società, dal momento che la ratifica avrebbe dovuto essere effettuata dai singoli privati e non dalla Società in nome e per conto di essi.

3.2. Gli appellanti hanno poi prospettato la violazione dell’art. 28 della legge n. 1150 del 1942 e dell’art. 1069 c.c., i quali, con norme imperative, precluderebbero agli atti costitutivi di servitù di uso pubblico la facoltà di porre gli oneri di manutenzione delle corrispondenti opere a carico dei soggetti gravati dalla medesima servitù. Ciò salvo diversa e specifica pattuizione che, nel caso di specie, non sarebbe stata inserita nella presupposta convenzione urbanistica, a seguito della quale era stata conferita la procura alla Società lottizzante.

7. L’appello non è fondato.

8. Innanzitutto, occorre soffermarsi sull’idoneità della ratifica posta in essere dalla Società lottizzante, con atto pubblico stipulato e registrato successivamente a quello posto in essere dal “falsus procurator”, vale a dire dal signor Ma., a produrre i propri effetti anche nei confronti dei privati proprietari rappresentati, vincolandoli al rispetto degli obblighi ratificati.

8.1. A conforto di una soluzione positiva deve richiamarsi il disposto dell’art. 1399, primo comma, c.c., il quale consente al soggetto interessato di ratificare, ossia di fare proprio, il contratto che sia stato concluso da un soggetto privo di alcun potere di rappresentanza ovvero che abbia agito al di là dei limiti della potestà rappresentativa precedentemente conferitagli.

Rispetto alla fattispecie concreta qui esaminata, si tratta allora di valutare se la ratifica in questione potesse, così come è concretamente avvenuto, provenire dalla Società destinataria dell’originaria procura ovvero se si rendesse necessaria la diretta ratifica ad opera dei privati proprietari che avevano precedentemente conferito la medesima procura.

8.2. A favore della prima soluzione militano due concorrenti ordini di ragione. In primo luogo, non sembra potersi escludere, alla stregua dei principi generali, che il rappresentante originariamente designato abbia la facoltà di ratificare, in nome e per conto del rappresentato, atti negoziali conclusi da un soggetto terzo, agente in veste di falsus procurator, a condizione, ovviamente, che gli atti ratificati rientrino nell’oggetto della procura. Ciò in quanto gli effetti della compiuta ratifica si imputano direttamente alla sfera giuridica del rappresentato e, pertanto, non dovrebbe esservi alcuna differenza tra la ratifica operata personalmente dal rappresentato e la ratifica che, viceversa, sia manifestata per il tramite del rappresentante inizialmente designato.

8.3. Del resto, né l’art. 1388 c.c., né gli articoli a questo immediatamente seguenti pongono limitazioni di sorta rispetto agli atti suscettibili di essere compiuti per mezzo di un rappresentante, se non per quelli c.d. “personalissimi”.

8.4. Tra questi dovrebbe pertanto ricondursi anche la ratifica.

Non vi sono, infatti, differenze tra la stipula, in via diretta, di un determinato contratto e la ratifica di un negozio, avente identico contenuto dispositivo, che sia stato previamente sottoscritto da un falsus procurator.

8.5. Inoltre, va poi rilevato che il signor Ma. ha agito in forza di un preteso rapporto di “rappresentanza organica” con la Società cui era stata conferita la procura.

Pertanto, alla luce delle speciali caratteristiche che connotano questa forma impropria di “rappresentanza”, ontologicamente distinta dalla rappresentanza volontaria di cui agli artt. 1388 e ss. c.c., appare ragionevole ritenere che il potere di ratifica degli atti realizzati dal soggetto che pretenda di porsi quale organo di una Società debba riconoscersi unicamente alla Società stessa.

8.6. In sostanza, lo stesso non ha agito tanto quale falsus procurator degli acquirenti delle unità immobiliari risultanti dalla lottizzazione, bensì quale “falso organo” della Società cui essi avevano conferito apposita procura. Pertanto, non poteva che essere la Società a determinarsi nel senso della ratifica o meno degli atti da questi compiuti.

8.7. Sotto quest’ultima prospettiva, va dunque rilevato che la materia dei vizi dei poteri rappresentativi deve essere ricondotta all’art. 2475-bis c.c., con la conseguenza che gli atti ultra vires eventualmente compiuti dall’amministratore o da chi si è esternato come tale devono essere necessariamente ratificati dalla società.

9. Quanto al tema se tra i poteri di rappresentanza attribuiti con l’originaria procura rientrasse anche la facoltà di prevedere, all’atto della costituzione della prevista servitù di uso pubblico su alcune aree limitrofe ai terreni lottizzati, l’assunzione, in capo ai proprietari rappresentati, degli oneri di manutenzione ordinaria e straordinaria delle corrispondenti opere, va rilevato che le conclusioni del giudice di primo grado sulla conformità della clausola negoziale in esame all’art. 28 della legge n. 1150 del 1942 e 1069 c.c. risultano convincenti.

9.1. Relativamente all’art. 28, va evidenziato che il comma 5 di quest’ultimo elenca una serie di modalità attraverso le quali, in sede di convenzione di lottizzazione, possono definirsi gli oneri gravanti sui privati proprietari ai fini della realizzazione delle opere di urbanizzazione, sia primaria che secondaria.

Tra le opzioni rientra anche quella prospettata dal n. 2), il quale prevede, in alternativa alla cessione all’Amministrazione comunale della titolarità sulle aree destinate ad accogliere le opere anzidette, “l’assunzione, a carico del proprietario, degli oneri relativi alle opere di urbanizzazione primaria e di una quota parte delle opere di urbanizzazione secondaria relative alla lottizzazione o di quelle opere che siano necessarie per allacciare la zona ai pubblici servizi; la quota è determinata in proporzione all’entità e alle caratteristiche degli insediamenti delle lottizzazioni”.

9.2. In questo quadro, può dunque ritenersi che sia non sia illegittimo prevedere che gli acquirenti delle unità immobiliari risultanti dai processi di lottizzazione urbanistica e che mantengono il dominium sulle aree da destinare a fini di pubblica utilità, possano essere anche destinatari degli oneri economici necessari al fine di assicurare una siffatta destinazione.

9.3. In relazione all’invocato contrasto con l’art. 1069 c.c., va invece rilevato che tale disposizione, al secondo comma, fissa sì una regola generale in forza della quale le spese correlate alle opere necessarie per l’esercizio della servitù gravano sul proprietario del fondo dominante, ma, al tempo stesso, conferisce una chiara portata “dispositiva” alla stessa indicazione, consentendo espressamente alle parti dell’accordo costitutivo di derogarvi.

Pertanto, è legittimo stabilire che sia il proprietario dei fondi gravati da vincolo di servitù a farsi carico delle spese e degli altri oneri conseguenti alla costituzione del medesimo vincolo.

9.4. La parte appellante ha contestato la ricostruzione qui operata affermando che, in realtà, l’accollo ai proprietari degli oneri di manutenzione non era previsto dall’originaria convenzione urbanistica di lottizzazione, in esecuzione della quale è stato stipulato il successivo accordo costitutivo della servitù di cui si discorre.

Tuttavia, è opportuno notare che il “titolo” fondante il vincolo reale in esame deve farsi coincidere non con la convenzione da ultimo nominata, bensì con il successivo accordo attuativo.

9.5. In altri termini, non essendo stato previsto alcunché nell’ambito della convenzione di lottizzazione “a monte”, ben potevano le parti dell’accordo “a valle”, nell’esercizio della loro autonomia negoziale, prevedere la forma di riparto degli oneri discendenti dalla servitù di uso pubblico reputata più opportuna.

Tale ampia e impregiudicata autonomia, con ogni evidenza, deve pertanto riconoscersi anche alla Società lottizzante, che ha agito in qualità di rappresentante dei privati acquirenti delle unità immobiliari risultanti dalla lottizzazione.

10. Per le ragioni sopra esposte, l’appello va respinto e, per l’effetto, va confermata la sentenza impugnata (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.02.2020 n. 1010 – link a www.giustizia-amministrartiva.it).

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