11/02/2020 – Rifiuti. Ordinanza di rimozione e rapporti con art.244 dlv 1526

Rifiuti. Ordinanza di rimozione e rapporti con art.244 dlv 1526
Pubblicato: 10 Febbraio 2020
Consiglio di Stato Sez. V n.8656 del 20 dicembre 2019

L’art. 192 dlv 1526, che ha un ambito oggettivo più ampio dell’art. 244, concernente i soli “siti inquinati”, enuclea una responsabilità del proprietario dell’area in via solidale, il quale può dunque essere destinatario dell’ordine di rimozione dei rifiuti, pur non essendo l’autore materiale delle condotte di abbandono degli stessi; purtuttavia è necessario un accertamento in contraddittorio del profilo soggettivo della responsabilità solidale, a titolo di dolo o di colpa del soggetto proprietario. Non può dunque escludersi che il proprietario dell’area sia destinatario dell’ordine di rimozione dei rifiuti, pur occorrendo un accertamento del titolo della sua responsabilità solidale

Pubblicato il 20/12/2019

N. 08656/2019REG.PROV.COLL.

N. 04402/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4402 del 2010, proposto da

Regione Puglia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Fulvio Mastroviti, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Andrea Botti in Roma, via Monte Santo, 25;

contro

Prefabbricati Pugliesi s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Roberto Palmisano, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Pierfrancesco Bruno in Roma, via G. Gioachino Belli, 39;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PUGLIA – BARI: SEZIONE III n. 01902/2009, resa tra le parti;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Prefabbricati Pugliesi s.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 giugno 2019 il Cons. Stefano Fantini e uditi per le parti gli avvocati Mastroviti Fulvio e Palmisano Roberto;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.- La Regione Puglia ha interposto appello nei confronti della sentenza 21 luglio 2009, n. 1902 del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sez. III, che ha accolto il ricorso della Prefabbricati Pugliesi s.r.l. avverso il provvedimento regionale in data 30 marzo 2009 recante la diffida, tra l’altro, alla bonifica dell’area di cava autorizzata, nonché di quella dismessa dalle carcasse di automobili, pneumatici ed ogni altro rifiuto presente, e poi a compiere ulteriori varie attività di ripristino ambientale.

La società Prefabbricati Pugliesi esercita l’attività di cava di calcare sita nel Comune di Oria, in località “Argentone-S.Angeli” in forza di autorizzazione del 20 dicembre 1997; nel tempo ha subito plurime contestazioni per violazione del titolo autorizzatorio e della normativa vigente.

Con nota in data 5 aprile 1009 il legale rappresentante della Prefabbricati Pugliesi, nel contestare la diffida, ne ha chiesto la revoca dei punti da 1 a 5, ovvero nella parte in cui era ingiunta la rimozione dei rifiuti, l’adeguamento dei confini e della gradonatura ed il ripristino ambientale delle aree già coltivate.

2. – Con il ricorso in primo grado la società Prefabbricati Pugliesi ha impugnato il provvedimento di diffida predetto, nonché la successiva nota di conferma in data 15 maggio 2009 nella parte concernente l’ordine di provvedere alla rimozione dei rifiuti, all’adeguamento dei confini e della gradonatura ed al ripristino ambientale delle aree già coltivate, deducendo che la bonifica dell’area di cava è obbligo gravante sul responsabile dell’inquinamento, od in subordine sull’amministrazione a termini degli artt. 242 e 244 del d.lgs. n. 152 del 2006 e che l’ordine di ripristino delle distanze e della gradonatura viola il P.R.A.E.-piano regionale delle attività estrattive approvato con deliberazione di G.R. n. 824 del 13 giugno 2006.

3. – La sentenza appellata ha accolto il ricorso ritenendo illegittimo il provvedimento impugnato per violazione degli artt. 244 e 250 del d.lgs. n. 152 del 2006, atteso che «l’obbligo di bonifica grava in linea generale sul responsabile dell’inquinamento […] e, se questi non è individuabile (come nel caso di specie visto che lo ammette la stessa Regione Puglia nella nota del 15.05.2009 ove la Regione afferma di non mettere in dubbio la buona fede della società ricorrente evidentemente estranea all’attività di inquinamento) o non provveda e non provveda neanche il proprietario del sito o altro soggetto interessato, gli interventi di bonifica sono attuati ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 244 e 250 dlgs. n. 152/2006 dalla amministrazione competente», assorbendo ogni altra censura.

4.- Con il ricorso in appello la Regione Puglia ha dedotto l’erroneità della sentenza di prime cure, nell’assunto che il provvedimento gravato in primo grado abbia consistenza di atto plurimo, contenente una molteplicità di prescrizioni tra loro autonome e distinte, con la conseguenza che l’accoglimento del motivo esperito avverso l’ordine di rimozione dei rifiuti non produce come effetto l’annullamento dell’intero provvedimento, ma eventualmente l’annullamento parziale dello stesso; peraltro, ad avviso dell’appellante Regione, anche tale capo della sentenza sarebbe erroneo in quanto l’art. 244 del d.lgs. n. 152 del 2006 è applicabile ai soli siti contaminati, mentre, in generale, l’abbandono dei rifiuti è disciplinato dall’art. 192 dello stesso corpus legislativo, enucleante una responsabilità solidale del proprietario o titolare di altro diritto reale o personale di godimento sull’area. Nel caso di specie, inoltre, la società appellata è il proprietario e gestore di una cava e quindi un soggetto onerato da particolari obblighi di custodia, sicurezza e sorveglianza ai sensi del d.P.R. n. 128 del 1959, tra cui quello di cui all’art. 116, alla cui stregua «il piazzale deve essere tenuto sgombro da ogni materiale per un’ampiezza tale da consentire l’immediato allontanamento del personale in caso di pericolo».

5. – Si è costituita in resistenza la Prefabbricati Pugliesi s.r.l. eccependo il difetto dello ius postulandi e dunque di rappresentanza della Regione Puglia, e comunque l’infondatezza nel merito del ricorso.

6. – All’udienza pubblica del 27 giugno 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.- Va anzitutto disattesa l’eccezione di difetto dello ius postulandi in capo all’avvocato difensore, e dunque di rappresentanza dell’appellante Regione Puglia per assenza di una procura speciale e perché il mandato firmato dal Presidente della Giunta regionale risale all’8 settembre 2009, epoca nella quale l’amministrazione non aveva ancora manifestato la volontà di proporre appello nei confronti della sentenza n. 1902 del 2009, tale determinazione essendo stata assunta con deliberazione di Giunta del successivo 17 ottobre 2009.

Ed invero la procura speciale, apposta a margine dell’atto di appello in data 8 settembre 2009 dal Presidente della Giunta, è stata poi ratificata dalla Giunta regionale con deliberazione n. 2028 in data 27 ottobre 2009. Rileva che la procura speciale sia stata rilasciata prima della redazione dell’atto sul quale è apposta. Quanto al profilo contenutistico, la giurisprudenza più recente è orientata nel senso di ritenere che il deficit del requisito della specialità è superato dal fatto che il mandato forma materialmente corpo con il ricorso, essendo la posizione topografica della procura idonea, salvo che dal suo testo si ricavi il contrario, a dare luogo alla presunzione di riferibilità al giudizio cui l’atto accede (Cass., sez. lav., 23 luglio 2019, n. 19923).

2. – L’appello deduce essenzialmente che il ricorso di primo grado della società Prefabbricati Pugliesi abbia, a fronte di un atto contenutisticamente complesso, censurato solamente l’ordine di rimozione dei rifiuti presenti nell’area interessata dalla cava e l’ordine di adeguare le distanze dai confini e la gradonatura alle previsioni del piano di coltivazione. Lamenta come invece la sentenza, violando il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, abbia accolto il ricorso, annullando integralmente il provvedimento gravato, caducando dunque anche le prescrizioni concernenti l’ordine di ripristino ambientale non espressamente gravate, ovvero le ulteriori non in rapporto di presupposizione con l’ordine di bonifica.

Il motivo è fondato.

Il principio della domanda, di cui agli artt. 99 Cod. proc. civ. e 2907 Cod. civ., espressione del potere dispositivo delle parti, e di cui rappresenta completamento il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato in base all’art. 112 Cod. proc. civ., pacificamente applicabile anche al processo amministrativo, comporta che sussiste il vizio di ultrapetizione, nell’ipotesi in cui vi sia stata pronuncia oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni formulate o su questioni estranee all’oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio, ed anche se il giudice ha esaminato ed accolto il ricorso per un motivo non prospettato dalle parti; in tale evenienza l’accertamento compiuto in sentenza finisce per riguardare un petitum ed una causa petendi nuovi e diversi rispetto a quelli fatti valere nel ricorso e sottoposti dalle parti all’esame del giudice, con conseguente attribuzione di un bene o di un’utilità non richiesta dalla parte ricorrente (in termini Cons. Stato, V, 14 giugno 2019, n. 4024).

Tale principio, per cui il giudice non può pronunciare oltre i limiti della concreta ed effettiva questione che le parti hanno sottoposto al suo esame e dunque oltre i limiti del petitum e della causa petendi, va ulteriormente specificato nell’ambito del processo amministrativo attraverso l’articolazione dei motivi di ricorso; ne consegue che sussiste il vizio di ultrapetizione laddove il giudice (come nel caso di specie) abbia attribuito alla parte una utilitas che non era stata richiesta e laddove abbia esaminato ed accolto il ricorso per un motivo non prospettato dalle parti (Cons. Stato, VI, 6 settembre 2010, n. 6473).

D’altronde, il tenore letterale del dispositivo della sentenza impugnata non consente di interpretarla, come proposto dalla parte appellata, nel senso di un accoglimento del ricorso “nei limiti dell’interesse”, locuzione che assume una valenza specifica solamente allorchè si intenda limitare l’espandersi dell’effetto demolitorio rispetto ad una statuizione non inficiata dal vizio di ultrapetizione.

3. – Il secondo motivo è poi incentrato sul capo di sentenza correlato alla domanda di annullamento dell’ordine di rimozione dei rifiuti; deduce, in particolare, l’appellante amministrazione come, diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice, non sia applicabile alla fattispecie controversa l’art. 244 del d.lgs. n. 152 del 2006 (norma che esclude un obbligo in capo al proprietario del sito inquinato), ma la diversa disposizione dell’art. 192 che, in tema di abbandono abusivo dei rifiuti, prevede che «fatta salva l’applicazione delle sanzioni di cui agli artt. 255 e 256, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo».

Anche tale motivo è fondato.

La disposizione in esame, che ha un ambito oggettivo più ampio dell’art. 244, concernente i soli “siti inquinati”, enuclea una responsabilità del proprietario dell’area in via solidale, il quale può dunque essere destinatario dell’ordine di rimozione dei rifiuti, pur non essendo l’autore materiale delle condotte di abbandono degli stessi (Cons. Stato, V, 2 agosto 2018, n. 4781); purtuttavia è necessario un accertamento in contraddittorio del profilo soggettivo della responsabilità solidale, a titolo di dolo o di colpa del soggetto proprietario.

Non può dunque escludersi che il proprietario dell’area sia destinatario dell’ordine di rimozione dei rifiuti, pur occorrendo un accertamento del titolo della sua responsabilità solidale, che, nella fattispecie, è comunque mancato, tenendo conto, da un canto, della disciplina in tema di polizia delle miniere e delle cave, e dunque dell’art. 116 del d.P.R. n. 128 del 1959, e, dall’altro canto, della sospensione dell’attività di cava.

Ne consegue che non appare condivisibile l’assunto motivazionale della sentenza appellata secondo cui alcun obbligo incombe sul proprietario dell’area inquinata, il quale potrebbe dunque intervenire solo di sua spontanea iniziativa, pur dovendosi preliminarmente accertare quanto meno una responsabilità a titolo di colpa nell’ipotesi in cui l’abbandono dei rifiuti sia stato cagionato da altri soggetti.

4. – Può prescindersi poi dalla disamina del terzo motivo con il quale, in forma invero almeno in parte dubitativa, viene dedotta la legittimità dell’ordine di ripristino delle distanze dai confini e delle dimensioni della gradonatura, trattandosi di ordine cui la società appellata ha allegato di avere già ottemperato, senza che tale circostanza sia stata contestata.

Il motivo in questione, nelle sue articolazioni, peraltro, era stato posto nell’eventualità che la parte appellata riproponesse espressamente i motivi di primo grado assorbiti, adempimento processuale, oggi disciplinato dall’art. 101, comma 2, Cod. proc. amm., non effettuato.

5. – Alla stregua di quanto esposto, l’appello deve essere accolto, nei termini di cui alla motivazione, e conseguentemente, in riforma della sentenza appellata, deve essere respinto il ricorso di primo grado.

La peculiarità fattuale della controversia integra le ragioni che per legge giustificano la compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie, e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso di primo grado.

Compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 giugno 2019 con l’intervento dei magistrati:

Francesco Caringella, Presidente

Fabio Franconiero, Consigliere

Angela Rotondano, Consigliere

Stefano Fantini, Consigliere, Estensore

Giovanni Grasso, Consigliere

Print Friendly, PDF & Email
Torna in alto