11/02/2020 – Il dipendente pubblico che utilizza permessi retribuiti per donare sangue utilizzando documenti falsi commette il reato di truffa aggravata

Il dipendente pubblico che utilizza permessi retribuiti per donare sangue utilizzando documenti falsi commette il reato di truffa aggravata
di Federico Gavioli – Dottore commercialista, revisore legale e giornalista pubblicista
 
Commette il reato di truffa aggravata il dipendente pubblico che beneficia di permessi per donare sangue utilizzando certificati falsi; la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3439 del 28 gennaio 2020, ha confermato (anche se ha corretto alcuni errori materiali) la sentenza della Corte territoriale.
Il caso
La Corte d’Appello in parziale riforma della decisione del Gup del Tribunale e in accoglimento dell’appello del Procuratore Generale, dichiarava un dipendente pubblico colpevole “anche” del delitto di falsità materiale in certificati amministrativi e determinava la pena nella misura complessiva di anni uno, mesi sei di reclusione ed euro 500,00 di multa.
Al dipendente pubblico è contestato il fatto di aver fruito di permessi retribuiti relativi a più giornate lavorative nelle quali avrebbe effettuato donazioni di sangue presso una azienda sanitaria attestate da certificazioni rilasciate da due sanitari risultate integralmente false.
Avverso la sentenza sfavorevole il dipendente pubblico ha proposto ricorso in Cassazione con una serie articolata di motivazioni.
La sentenza della Cassazione
La Corte di Cassazione dall’analisi dei vari motivi del ricorso in tema di assoluto difetto di determinazioni e mancanza di motivazione con riguardo alle contestazioni di truffa aggravata e sostituzione di persona li ritiene infondati.
La Corte territoriale ha evidenziato la natura del tutto generica delle doglianze e l’inconferenza degli approfondimenti istruttori richiesti dal momento che lo stesso imputato ha conferito al datore di lavoro certificazioni mediche, risultate materialmente false, attestanti le donazioni di sangue presso una azienda sanitaria .
La Cassazione osserva che i giudici d’appello hanno testualmente affermato che il giudizio di responsabilità del dipendente imputato, in esito all’accoglimento dell’impugnazione del Procuratore Generale, concerne “anche” il delitto ex artt. 477482 c.p., così riformando la pronunzia assolutoria intervenuta in primo grado per la fattispecie di cui all’art. 485 c.p. originariamente ascritta.
L’uso della particella aggiuntiva, che assolve alla funzione di riferire un concetto a quanto già affermato o sottinteso, rende palese che la Corte territoriale ha inteso estendere la responsabilità al delitto di falso, affiancandola alle analoghe statuizioni già rese dal primo giudice in relazione agli altri addebiti contestati.
La Cassazione ha chiarito che, ai fini della determinazione della pena relativa a più fatti unificati sotto il vincolo della continuazione, è necessario innanzitutto individuare la violazione più grave, desumibile dalla pena da irrogare per i singoli reati, tenendo conto della eventuale applicazione di circostanze aggravanti o attenuanti, dell’eventuale giudizio di comparazione tra circostanze di segno opposto, e di ogni altro elemento di valutazione; una volta determinata la pena per il reato base, la stessa deve essere poi aumentata per la continuazione e solo alla fine ridotta globalmente per il rito .
La Cassazione nel confermare i reati contestati al dipendente pubblico e, quindi, la condanna, rinvia la sentenza alla Corte di appello ma solo per la parte in cui non sono state rispettate le regole processuali e sostanziali in riferimento alla quantificazione della pena.

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