tratto da giustizia-amministrativa.it
All’Adunanza plenaria l’accessibilità dei documenti reddituali, patrimoniali e finanziari
Accesso ai documenti – Imposte e tasse – Documenti reddituali patrimoniali e reddituali – Accessibilità – Rimessione all’Adunanza plenaria.
 
Sono rimesse all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato le questioni: a) se i documenti reddituali (le dichiarazioni dei redditi e le certificazioni reddituali), patrimoniali (i contratti di locazione immobiliare a terzi) e finanziari (gli atti, i dati e le informazioni contenuti nell’Archivio dell’Anagrafe tributaria e le comunicazioni provenienti dagli operatori finanziari) siano qualificabili quali documenti e atti accessibili ai sensi degli artt. 22 e ss., l. n. 241 del 1990; b) in caso positivo, quali siano i rapporti tra la disciplina generale riguardante l’accesso agli atti amministrativi ex lege n. 241/1990 e le norme processuali civilistiche previste per l’acquisizione dei documenti amministrativi al processo (secondo le previsioni generali, ai sensi degli artt. 210 e 213 c.p.c.; per la ricerca telematica nei procedimenti in materia di famiglia, ai sensi del combinato disposto di cui artt. 492-bis c.p.c.me 155-sexies delle disp. att. del cod. proc. civ.); c) in particolare, se il diritto di accesso ai documenti amministrativi ai sensi della l. n. 241 del 1990 sia esercitabile indipendentemente dalle forme di acquisizione probatoria previste dalle menzionate norme processuali civilistiche, o anche –eventualmente- concorrendo con le stesse; d) ovvero se -all’opposto- la previsione da parte dell’ordinamento di determinati metodi di acquisizione, in funzione probatoria di documenti detenuti dalla Pubblica Amministrazione, escluda o precluda l’azionabilità del rimedio dell’accesso ai medesimi secondo la disciplina generale di cui alla l. n. 241 del 1990; e) nell’ipotesi in cui si riconosca l’accessibilità agli atti detenuti dall’Agenzia delle Entrate (dichiarazioni dei redditi, certificazioni reddituali, contratti di locazione immobiliare a terzi, comunicazioni provenienti dagli operatori finanziari ed atti, dati e informazioni contenuti nell’Archivio dell’Anagrafe tributaria), in quali modalità va consentito l’accesso, e cioè se nella forma della sola visione, ovvero anche in quella dell’estrazione della copia, ovvero ancora per via telematica (1).
 
(1) Ha chiarito la Sezione che va stabilito se il diritto di accesso ai documenti amministrativi ai sensi dell’art. 22 cit. sia esercitabile indipendentemente dalle forme di acquisizione probatoria previste dalle menzionate norme processuali civilistiche, o anche –eventualmente – concorrendo con le stesse. Ciò equivarrebbe ad affermare tre principi: – il primo, che il diritto di accesso ex lege n. 241/1990 potrebbe essere esercitato –come è accaduto nel caso di specie- prima ed indipendentemente dal fatto che il giudice del procedimento autorizzi la produzione di determinati documenti del numerato punto 9: l’accesso agli atti è stato azionato ed in parte consentito prima ancora che si svolgesse l’udienza di prima comparizione); – il secondo, che l’accesso ex lege n. 241/1990 potrebbe essere esercitato anche cumulativamente, rispetto alle previsioni sulle acquisizioni secondo la normativa processualcivilistica; – il terzo, che l’accesso ex lege n. 241/1990 potrebbe essere esercitato anche quando il giudice del procedimento civile non abbia disposto il deposito della documentazione a carico delle parti o non abbia autorizzato le istanze istruttorie formulate dalle parti.
All’opposto, se la previsione da parte dell’ordinamento di determinati metodi di acquisizione in funzione probatoria di documenti detenuti dalla Pubblica Amministrazione, con l’attribuzione dei relativi poteri istruttori ad un giudice avente giurisdizione sulla controversia ‘principale’, escluda o precluda l’azionabilità del rimedio dell’accesso ai medesimi secondo la disciplina generale di cui alla legge n. 241 del 1990.
Ciò equivarrebbe a dire che il privato non potrebbe mai azionare il diritto di accesso agli atti richiesti, pur se qualificati in senso sostanziale come atti amministrativi, dovendosi sempre rimettere, per la tutela delle proprie situazioni giuridiche, all’esercizio dei poteri istruttori del giudice civile, quando dunque il procedimento civile già pende.
Ciò premesso, la Sezione segnala che, a favore della prima tesi, militano gli argomenti variamente articolati dalla Sezione nelle sentenze n. 2472/2014, n. 5347/2019 e n. 5910/2019, e che di seguito più o meno testualmente si riportano.
La disciplina sull’accesso agli atti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce -ai sensi dell’art. 22, comma 2, della legge n. 241 del 1990- “principio generale dell’attività amministrativa”.
La ratio dell’istituto può essere ravvisata sia sull’esigenza di rendere l’Amministrazione una ‘casa di vetro’ per l’attuazione dei principi di imparzialità, trasparenza e buon andamento, rilevanti per l’art. 97 della Costituzione (cfr. Ad. Plen., 18 aprile 2006, n. 6; Sez. IV, 14 aprile 2010, n. 2093), sia sull’esigenza di agevolare agli interessati di ottenere gli atti il cui esame consente di valutare se sia il caso di agire in giudizio, a tutela di una propria posizione giuridica (cfr. Sez. IV, 12 marzo 2009, n. 1455), non potendosi ravvisare ‘zone franche’ in cui non rilevino i principi sopra richiamati (Ad. Plen., 24 giugno 1999, n. 16).
La specialità che connota la disciplina processualistica non può ritenersi tale da giustificare la presenza di una deroga, al punto da rimettere alla (eventuale ed esclusiva) positiva valutazione del giudice – titolare del potere di decidere la controversia ‘principale’ – la reale conoscibilità di documentazione di rilievo e, per altro verso, la concretizzazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale.
L’affermazione del diritto di accesso è estrinsecazione anche della tutela dei diritti fondamentali dei familiari, in quanto nei procedimenti in materia di famiglia sono spesso presenti sia gli interessi confliggenti dei coniugi o dei conviventi, che gli interessi dei figli minorenni, questi ultimi tutelati dall’art. 5 del settimo Protocollo Addizionale della CEDU e dagli artt. 29 e 30 della Costituzione.
Il consolidato indirizzo seguito dalla giurisprudenza amministrativa ammette, senza limitazioni, l’esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi e la conseguente applicazione della relativa disciplina sostanziale e processuale, anche in pendenza dei giudizi civili.
In questo senso, è stato più volte affermato come “non possa ritenersi che l’accesso ai documenti sia automaticamente precluso dalla pendenza di un giudizio civile, nella cui sede l’ostensione degli stessi documenti potrebbe essere disposta dal g.o., mediante ordine istruttorio ex art. 210 c.p.c. oppure mediante richiesta di informazioni ex art. 213 c.p.c., stante l’autonomia della posizione sostanziale tutelata con gli artt. 22 e ss. l. n. 241 cit. rispetto alla posizione che l’interessato intende difendere con altro giudizio e della relativa azione posta dall’ordinamento a tutela del diritto di accesso, perché, diversamente opinando, ciò si tradurrebbe in una illegittima limitazione del diritto di difesa delle parti, con conseguente lesione del principio dell’effettività della tutela giurisdizionale” (ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 15 novembre 2018, n. 6444; id., 21 marzo 2018, n. 1805).
 
La tutela dei diritti fondamentali non troverebbe eguale garanzia mediante l’utilizzo degli strumenti previsti dal codice di procedura civile, i quali rimettono all’apprezzamento del giudice l’ingresso nel giudizio di documenti, di atti e di informazioni in possesso della Pubblica Amministrazione.
L’ampliamento delle prerogative del giudice civile nell’acquisizione delle informazioni e dei documenti patrimoniali e finanziari nei procedimenti in materia di famiglia, rispetto ai poteri istruttori già previsti dall’art. 210 c.p.c., introdotte dal combinato disposto degli artt. 155-sexies delle disposizioni di attuazione del cod. proc. civ. e dell’art. 492-bis del cod. proc. civ., non può costituire un ostacolo all’accesso difensivo, soprattutto laddove le istanze istruttorie proposte nel giudizio non siano state accolte.
Dall’ampliamento delle menzionate prerogative non potrebbe trarsi in via diretta, né desumersi in via indiretta, alcuna ipotesi derogatoria alla disciplina in materia di accesso alla documentazione contenuta nelle banche dati della Pubblica Amministrazione.
Diversamente opinando, l’implementazione dei poteri istruttori del giudice ordinario nell’ambito dei procedimenti in materia di famiglia si tradurrebbe in un ingiustificato ridimensionamento della disciplina generale sull’accesso, fuori dei casi e dei modi contemplati dall’ordinamento.
Tra le due discipline non sussisterebbe un rapporto di specialità, nel senso che la norma speciale derogherebbe a quella generale, escludendone l’applicazione, bensì di concorrenza e di complementarietà, poiché il giudice che tratta la vicenda di famiglia può utilizzare i poteri di accesso ai dati della Pubblica Amministrazione genericamente previsti dall’art. 210 cod. proc. civ., come ampliati dalle nuove norme inserite nel 2014, ma questa rimane una sua facoltà e non un obbligo.
Deve conservarsi la possibilità, per il privato, di avvalersi degli ordinari strumenti offerti dalla l. n. 241 del 1990, per ottenere gli stessi dati che il giudice potrebbe intimare di consegnare all’Amministrazione.
La piena esplicazione del diritto di difesa non potrebbe dipendere dalla spontanea produzione in giudizio della controparte, né dall’esercizio discrezionale del potere acquisitivo da parte del giudice. Mentre l’esercizio dell’accesso non incontrerebbe limiti se non rispetto alla delibazione dei presupposti che consentono l’ingresso dell’azione ostensiva e alla verifica dell’inesistenza delle preclusioni di cui all’art. 24 della l. n. 241/1990, l’ammissibilità dell’acquisizione probatoria processualcivilistica (ordine di esibizione tradizionale o autorizzazione alla ricerca telematica) sarebbe soggetta al principio del convincimento del giudice del procedimento, il quale potrebbe non consentire l’accesso in ragione della scarsa attendibilità delle allegazioni della parte e dei documenti probatori offerti a loro sostegno, elidendo così alla radice ogni prospettiva di piena esplicazione del diritto di difesa.
L’accesso ai documenti, inoltre, potrebbe essere esperito anche prima ed indipendentemente dalla pendenza del procedimento civile, anche allo scopo di impedire il verificarsi degli effetti negativi discendenti dal cd. ricorso “al buio”.
L’ordine di esibizione o l’autorizzazione all’accesso telematico da parte del giudice del procedimento, infatti, potrebbe rimediare alle eventuali lacune di allegazione e di prova dei fatti contenute negli atti introduttivi del giudizio, ma non potrebbe sortire effetti sulla decisione –che spetta alla parte soltanto- di valutare, a monte, la convenienza o l’opportunità dell’instaurazione del procedimento.
Come ha già osservato questo Consiglio (Sez. VI, 18 dicembre 1997, n. 1591; Sez. IV, 6 marzo 1995, n. 158), «se esercitato ante causam, l’accesso può avere anche esiti di prevenzione della lite: la conoscenza dei documenti rilevanti, infatti, o corroborando la legittimità degli atti amministrativi o comunque ingenerando il convincimento dell’inopportunità dell’impugnazione, può dissuadere l’amministrato dall’azione giurisdizionale»: tali considerazioni sono state formulate in fattispecie in cui si è considerata rilevante l’esigenza degli interessati di accedere agli atti, per valutare se proporre un ricorso nei confronti di una pubblica Amministrazione, ma possono essere considerate rilevanti anche per i casi in cui l’acquisizione degli atti possa indurre a valutare se agire o meno nei confronti di un soggetto privato, per controversie di ‘natura civilistica’.
È stato anche osservato –ma non riguarda nello specifico il caso di specie, perché si tratta di soggetti che hanno convissuto di fatto- che il diritto del richiedente al pieno accesso ai documenti fiscali del coniuge in pendenza del giudizio di separazione o di divorzio, ed indipendentemente dall’esercizio discrezionale del potere di ammissione o di autorizzazione probatoria da parte del giudice civile, si pone anche in sintonia con le recenti tendenze della giurisprudenza civile sviluppatesi in ordine alla tematica della individuazione dei criteri di determinazione dell’assegno divorzile, sempre più vicine ad ammettere la funzione sia assistenziale, che equilibratrice, che perequativo-compensativa (Cass. civ., Sez. un., 11 luglio 2018, n. 18827).
Indipendentemente dal caso specifico della strumentalità dell’accesso agli atti ai fini della quantificazione dell’assegno di separazione o di divorzio, l’accesso pieno ed integrale alla condizione reddituale, patrimoniale ed economico-finanziaria delle parti processuali -siano essi coniugi o conviventi di fatto- sarebbe da considerare precondizione necessaria per l’uguale trattamento giuridico nell’ambito di tutti i procedimenti di famiglia.
 
Sono oramai pacificamente acquisiti a livello legislativo e giurisprudenziale i principi sulla pari dignità e sull’uguaglianza sostanziale di tutti i nuclei familiari, sia quelli fondati sul matrimonio, che quelli consistenti in rapporti di convivenza di fatto, soprattutto a tutela e a garanzia dei figli minorenni o di quelli maggiorenni economicamente non indipendenti.
Ai fini dell’accertamento della complessiva situazione economico-patrimoniale, non avrebbe senso la distinzione, operata dall’Agenzia, tra i documenti immediatamente accessibili (quelli reddituali e patrimoniali) e quelli che necessitano della previa autorizzazione del giudice competente (quelli finanziari): sia perché potrebbe difettare, nei singoli casi, la pendenza di una controversia civile; sia perché i documenti finanziari consentirebbero di ricostruire fedelmente le condizioni economico-patrimoniali in cui versano le parti -soprattutto a garanzia dei figli minorenni- perché provenienti, il più delle volte, da terzi estranei, quali gli operatori finanziari.
L’istituto dell’accesso rivestirebbe anche una posizione di assoluta rilevanza al fine di consentire la massima trasparenza, tra le parti ed a tutela soprattutto dei figli minorenni, delle condizioni economiche nel momento della crisi delle relazioni familiari.
L’ordinamento nel suo complesso aspirerebbe alla massima protezione possibile delle situazioni giuridiche soggettive, a prescindere dalla loro consistenza (di diritto soggettivo o di interesse legittimo) e dalla loro natura (a seconda che si tratti, cioè, di una situazione finale o di una situazione strumentale), secondo i principi generali dell’unitarietà, della concorrenza e della complementarietà delle tutele.
In base all’ordinamento medesimo, non vi sarebbe dubbio sul fatto che le comunicazioni relative ai rapporti finanziari, stando alla terminologia propria della disciplina sull’accesso di cui all’art. 22, comma 1, lett. d) della l. n. 241 del 1990 e all’art. 1, comma 1, lett. a) del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, costituiscono “documenti”, in quanto l’Amministrazione finanziaria, sebbene non sia essa a formarli, può utilizzarli per l’esercizio delle proprie funzioni istituzionali, come previsto nel dettaglio dall’art. 7 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 605.
Sussisterebbe l’interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è stato richiesto l’accesso, ai sensi dell’art. 22 l. n. 241/1990, attesa la pendenza del giudizio di volontaria giurisdizione.
Il divieto contenuto nella circolare dell’Agenzia delle entrate del 10 ottobre 2017, relativo all’accesso alle “risultanze derivanti dall’Archivio dei rapporti finanziari”, in assenza dell’autorizzazione del Tribunale, non troverebbe fondamento normativo, in mancanza di espressa previsione rinvenibile in tal senso.
L’art. 7 del d.P.R. n. 605 del 1973 (come modificato dal d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, n. 248) ha previsto l’obbligo per ogni operatore finanziario di comunicare, in un’apposita sezione dell’Anagrafe tributaria denominata “Archivio dei rapporti finanziari”, l’esistenza e la relativa natura dei rapporti finanziari intrattenuti con qualsiasi soggetto. L’art. 7 non ha previsto che queste informazioni, una volta riversate nell’Archivio dei rapporti finanziari da parte delle banche e degli operatori finanziari, possano essere utilizzate “unicamente” dall’Amministrazione finanziaria e dalla Guardia di Finanza, ma si è limitato a precisare che si tratta di atti certamente utilizzabili da tali soggetti per l’azione di contrasto all’evasione fiscale, senza affrontare per nulla il tema della loro ostensibilità e dell’eventuale conflitto con il diritto alla riservatezza del soggetto cui gli atti afferiscono.
La questione andrebbe risolta facendo applicazione dell’art. 24, comma 7, della legge n. 241 del 1990: “Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’art. 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”.
Il bilanciamento degli interessi contrapposti andrebbe effettuato e risolto in applicazione del D.M. 29 ottobre 1996, nr. 603, recante “Regolamento per la disciplina delle categorie di documenti sottratti al diritto di accesso in attuazione dell’art. 24, comma 2, della L. 7 agosto 1990, n. 241”. L’art. 5, lettera a) del decreto menziona la “documentazione finanziaria, economica, patrimoniale e tecnica di persone fisiche e giuridiche, gruppi, imprese e associazioni comunque acquisita ai fini dell’attività amministrativa”; la sottrae all’accesso inteso come diritto alla copia, ma garantisce “la visione degli atti dei procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per la cura o la difesa degli interessi giuridicamente rilevanti propri di coloro che ne fanno motivata richiesta”.
Con riguardo al rapporto tra accesso e privacy, rileverebbe il combinato disposto degli artt. 59 e 60 del D.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (cd. Codice della privacy), e delle disposizioni di cui alla l. n. 241 del 1990, dal quale deriva un sistema connotato da tre livelli di protezione dei dati dei terzi e, in maniera corrispondente, tre gradi di intensità della situazione giuridica che il richiedente intende tutelare con la richiesta di accesso.
Il bilanciamento investirebbe il diritto alla riservatezza previsto dalla normativa vigente in materia di accesso ai documenti “sensibili” dell’ex convivente e, dall’altro, la cura e la tutela degli interessi economici e della serenità dell’assetto familiare, soprattutto nei riguardi del figlio minorenne, presente nella controversia in questione.
Occorrerebbe, infine, affrontare gli argomenti finora esposti, al lume del complessivo e vigente quadro normativo all’interno del quale si inserisce la previsione di cui all’art. 492-bis del cod. proc. civ., e dal quale sembrerebbe emergere -oltre alla forte discrezionalità del potere istruttorio del giudice civile, sopra evidenziata – anche la obiettiva difficoltà incontrata dalle parti processuali nel sollecitare la supplenza istruttoria del giudice.
Le lacune istruttorie spesso si verificano –come nel caso di specie- a causa del comportamento processuale di una parte a danno dell’altra, inottemperante o parzialmente ottemperante agli obblighi di deposito, ed il superamento delle medesime postula l’utilizzo di tecniche di indagine molto invasive, soprattutto per la sfera giuridica dei terzi estranei (es. le indagini fiscali e tributarie), con notevole dispiegamento dell’energia della forza pubblica (es. Guardia di Finanza).
Tali indagini –peraltro- difficilmente sono autorizzate dal giudice civile, in assenza di puntuali, specifici e ben motivati elementi conoscitivi (ex multis, Cass. civ., sez. I, 6 giugno 2013, n. 14336; Id., sez. I, 20 settembre 2013, n. 21603; Id., sez. VI, 15 novembre 2016, n. 23263; Id., sez. I, 4 aprile 2019, n. 9535).
L’accesso agli atti, dunque, sotto quest’angolo prospettico, consentirebbe di conoscere in anticipo le informazioni utili alla difesa dei propri interessi; di acquisire le informazioni senza dispiegamento della forza pubblica; di non gravare eccessivamente l’Amministrazione finanziaria, attraverso l’eventuale autonomo accesso telematico alle banche dati; comunque sia, nel bilanciamento degli interessi, di gravare l’Agenzia delle Entrate -che per sua funzione istituzionale è l’ente depositario di tutti questi atti- rispetto alla polizia fiscale e tributaria, deputata allo svolgimento di altre funzioni istituzionali.

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