03/02/2020 – Rifiuti. Gestione di rifiuti e cassazione. Quello che non è espressamente permesso è vietato

Rifiuti. Gestione di rifiuti e cassazione. Quello che non è espressamente permesso è vietato
Pubblicato: 31 Gennaio 2020
di Gianfranco AMENDOLA
NOTA: pubblicato su rvistadga n.12020. Si ringraziano Autore ed Editore. La sentenza commentata è leggibile qui
 
Nel d.lgs. n. 152/06 la immissione di rifiuti nell’ambiente è contemplata da diverse disposizioni che comportano, ovviamente, conseguenze diverse anche sotto il profilo della rilevanza penale.
Di questo quadro variegato si sono più volte occupate dottrina e giurisprudenza, non sempre con risultati univoci. È per questo che oggi riteniamo opportuno richiamare l’attenzione su una recente sentenza della Suprema Corte (in epigrafe) che, se pure appare incentrata sulla problematica relativa alla qualifica di reato istantaneo o permanente del deposito incontrollato di rifiuti, in realtà contiene una sintesi aggiornata ed esauriente di tutta la tematica attinente deposito ed immissione di rifiuti nell’ambiente alla luce delle elaborazioni maturate da dottrina e giurisprudenza.
Rinviando alla sua integrale lettura, si ritiene opportuno, in questa sede, aggiungere solo alcune sintetiche osservazioni riepilogative ed integrative 1 .
La disposizione base è, ovviamente, costituita dall’art. 192, d.lgs. n. 152/06, secondo cui «l’abbandono e il deposito incontrollato di rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati» (comma 1) ed «è altresì vietata l’immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee» (comma 2).
A livello letterale, risultano, quindi, vietate tre condotte, indicate con tre termini diversi: abbandonodeposito incontrollato ed immissione, rispetto ai quali nel d.lgs. n. 152/06 non si rinvengono specifiche definizioni; e, pertanto, il loro ambito deve essere ricavato dall’interprete tenendo conto anche di altre fattispecie relative a deposito di rifiuti che, invece, risultano oggetto di specifiche definizioni. Tanto è vero che la sentenza si affretta a precisare che «in mancanza di una definizione normativa, il deposito incontrollato può qualificarsi escludendone la collocazione nelle diverse ipotesi lecite di deposito (deposito preliminare, deposito temporaneo e messa in riserva) e distinguendolo dalle altre condotte descritte nell’art. 256, comma 2, d.lgs. 152/06 (abbandono e immissione in acque superficiali o sotterranee)». Così come, per delineare l’ambito dell’abbandono, occorre considerare la nozione di discarica abusiva e per delineare quella della immissione in acque superficiali e sotterranee non si può non considerare che la parte III del d.lgs. n. 152/06 disciplina lo «scarico» nelle acque. In questo quadro, la sentenza in esame evidenzia i seguenti punti.
1) L’abbandono di rifiuti è caratterizzato dal disinteresse, insito nel termine usato, dell’autore per la sorte del rifiuto e dalla «mera occasionalità» dell’azione desumibile da elementi sintomatici quali le modalità della condotta (ad es. la sua estemporaneità o il mero collocamento dei rifiuti in un determinato luogo in assenza di attività prodromiche o successive al conferimento), la quantità di rifiuti abbandonata, l’unicità della condotta di abbandono.
E pertanto si differenzia dal reato di discarica abusiva la quale richiede, invece, una condotta abituale (come nel caso di plurimi conferimenti) ovvero un’unica azione ma strutturata, anche se in modo grossolano e chiaramente finalizzata alla definitiva collocazione dei rifiuti in loco; rifacendosi, con tutta evidenza, alla giurisprudenza consolidata secondo cui la discarica abusiva si configura «tutte le volte in cui, per effetto di una condotta ripetuta, i rifiuti vengono scaricati in una determinata area, trasformata di fatto in deposito o ricettacolo di rifiuti con tendenziale carattere di definitività, in considerazione delle quantità considerevoli degli stessi e dello spazio occupato» 2 ; con la ulteriore precisazione che «sono sufficienti: l’accumulo ripetuto e non occasionale di rifiuti in un’area determinata; l’eterogeneità della massa dei materiali; la definitività del loro abbandono; il degrado, anche solo tendenziale, dello stato dei luoghi» 3 .
Sotto questo profilo, quindi, le affermazioni della Suprema Corte bene integrano la sintetica definizione legislativa di discarica: «area adibita a smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo» [art. 2, comma 1, lett. g), d.lgs. n. 36/2003], la quale presuppone certamente una attività normalmente abituale e, comunque, tale da far assumere all’area di deposito una connotazione di definitiva destinazione allo smaltimento dei rifiuti depositati. Anche se, con riferimento alla giurisprudenza sopra citata, vale la pena di notare che, secondo la Cassazione, questa definizione «da un lato, come anche in dottrina non si è mancato di evidenziare, espunge definitivamente, dall’area del penalmente rilevante, e comunque non la individua come requisito essenziale, la necessaria predisposizione di uomini e/o mezzi per la realizzazione e/o la gestione della discarica, dall’altro, valorizza piuttosto la destinazione dell’area a luogo di smaltimento permanente dei rifiuti, a prescindere dall’effettivo degrado che ne può derivare (e che, in ipotesi, potrebbe essere anche del tutto assente ove la discarica sia realizzata e gestita secondo la migliore tecnica possibile)» 4 .
In sostanza, comunque, il dato distintivo più immediato ed evidente tra semplice abbandono e creazione di una discarica è certamente quantitativo in funzione della pericolosità per l’ambiente connessa con l’entità dello spazio occupato dai rifiuti e con la quantità di rifiuti ivi depositati.
2) Il deposito incontrollato, invece, secondo la sentenza in esame, si caratterizza con «la condotta tipica individuabile sulla base del significato letterale del termine “deposito” nello specifico contesto, ossia la collocazione non definitiva dei rifiuti in un determinato luogo in previsione di una successiva fase di gestione del rifiuto, del quale quindi costituisce il prodromo, poiché altre finalità sembra possano condurre tutte alla collocazione entro diverse fattispecie». E pertanto tale deposito deve essere qualificato come «incontrollato» qualora l’autore del deposito si disinteressi degli stessi, integrando un vero e proprio abbandono; ovvero li gestisca senza rispettare le regole previste dalla legge per evitare danni e pericoli per l’ambiente; evitando, cioè, proprio quelle cautele che servono a «controllare» l’impatto ambientale dei depositi di rifiuti. In questi casi, infatti, «si tratta di una condotta che, finché perdura, incide negativamente sul bene giuridico protetto dalla disposizione che la vieta».
Affermazione che rileva soprattutto con riferimento al deposito temporaneo che è consentito (e, quindi, non è incontrollato) purché rispetti alcune condizioni. Stabilisce, infatti, l’art. 183, comma 1, lett. bb), d.lgs. n. 152/06 che per deposito temporaneo si intende «il raggruppamento dei rifiuti e il deposito preliminare alla raccolta ai fini del trasporto di detti rifiuti in un impianto di trattamento, effettuati, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti, da intendersi quale l’intera area in cui si svolge l’attività che ha determinato la produzione dei rifiuti o, per gli imprenditori agricoli di cui all’ art. 2135 del codice civile , presso il sito che sia nella disponibilità giuridica della cooperativa agricola, ivi compresi i consorzi agrari, di cui gli stessi sono soci, alle seguenti condizioni: 1) i rifiuti contenenti gli inquinanti organici persistenti di cui al regolamento (CE) n. 850/2004, e successive modificazioni, devono essere depositati nel rispetto delle norme tecniche che regolano lo stoccaggio e l’imballaggio dei rifiuti contenenti sostanze pericolose e gestiti conformemente al suddetto regolamento; 2) i rifiuti devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento secondo una delle seguenti modalità alternative, a scelta del produttore dei rifiuti: con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito; quando il quantitativo di rifiuti in deposito raggiunga complessivamente i 30 metri cubi di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi. In ogni caso, allorché il quantitativo di rifiuti non superi il predetto limite all’anno, il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad un anno; 3) il “deposito temporaneo” deve essere effettuato per categorie omogenee di rifiuti e nel rispetto delle relative norme tecniche, nonché, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute; 4) devono essere rispettate le norme che disciplinano l’imballaggio e l’etichettatura delle sostanze pericolose; 5) per alcune categorie di rifiuto, individuate con decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministero per lo sviluppo economico, sono fissate le modalità di gestione del deposito temporaneo».
In caso, quindi, di mancato rispetto delle condizioni di cui sopra il deposito non può essere considerato «temporaneo» (e consentito) ma è «incontrollato» (e vietato).
Così come deve ritenersi «incontrollato» (e vietato) uno stoccaggio 5 di rifiuti non autorizzato e, quindi, privo delle prescrizioni idonee a garantire la tutela dell’ambiente.
In sostanza, quindi, un deposito di rifiuti sul terreno, se non risulta consentito come deposito temporaneo o come stoccaggio deve essere considerato illecito (quale deposito incontrollato o abbandono) e, come tale, vietato (e soggetto alle sanzioni di cui all’art. 256, commi 1 e 2 6 , e art. 255). A maggior ragione se ricorrono le condizioni per ipotizzare una fattispecie di discarica abusiva (sanzionata dall’art. 256, comma 3).
Conclusione che, tuttavia, va integrata con un elemento molto rilevante (non messo in risalto dalla sentenza in esame, incentrata, come si è detto, sulla problematica della natura istantanea o permanente del reato) di tipo temporale. Infatti, l’art. 2, comma 1, lett. g), d.lgs. n. 36/03 sulle discariche, fornendo la già richiamata nozione di «discarica», aggiunge che si considera tale anche «qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno. Sono esclusi da tale definizione gli impianti in cui i rifiuti sono scaricati al fine di essere preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero, trattamento o smaltimento, e lo stoccaggio di rifiuti in attesa di recupero o trattamento per un periodo inferiore a tre anni come norma generale, o lo stoccaggio di rifiuti in attesa di smaltimento per un periodo inferiore a un anno».
Con la conseguenza che il perdurare del deposito oltre un anno in caso di deposito temporaneo, oltre tre anni in caso di stoccaggio di rifiuti destinati a recupero o trattamento ovvero oltre un anno in caso di stoccaggio di rifiuti destinati a smaltimento comporterebbe, automaticamente, in assenza di autorizzazione, l’integrazione del reato più grave di discarica abusiva. Anche se, per motivi di coerenza sistematica, a tale conclusione si può pervenire, a nostro sommesso avviso, solo se si tratta di fattispecie «rilevanti in termini spaziali e quantitativi», così come richiesto dalla costante giurisprudenza in tema di discariche.
3) Così sommariamente delineato l’ambito dell’abbandono e del deposito incontrollato, resta da considerare quello della immissione di rifiuti, parimenti vietata. A questo proposito, l’elemento distintivo specifico più evidente è il luogo di destinazione dei rifiuti che, in tal caso, non è il suolo o il sottosuolo ma sono «le acque superficiali o sotterranee», mentre, per il resto, il divieto riguarda l’immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido. Peraltro, come opportunamente ricorda la sentenza in esame, rilevano anche «le caratteristiche tipiche dell’azione» (cioè della «immissione» che è vietata) in quanto trattasi di caratteristiche ben diverse da quelle connesse con lo «scarico», che è, invece, una immissione consentita purché rientri nell’ambito delineato dalla legge. La parte III del d.lgs. n. 152/06, relativa alle acque, precisa, infatti, che per «scarico» si intende «qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione» [art. 74, comma 1, lett. ff), d.lgs. n. 152/06]; e l’art. 185, comma 2, lett. a) esclude le acque di scarico dal campo di applicazione della normativa sui rifiuti. E pertanto la immissione di rifiuti liquidi nell’ambiente rientra nella disciplina degli scarichi (prevista dalla parte III) qualora si tratti di una immissione effettuata direttamente tramite condotta mentre, in caso contrario, sarà soggetta alla normativa sui rifiuti. Con la conseguenza che, in caso di scarico indiretto (ad esempio, tramite autospurgo), si tratterà di rifiuto liquido soggetto alla normativa sui rifiuti; e l’impianto attraverso cui queste acque reflue oggetto di scarico indiretto (quindi, rifiuti liquidi) verranno immesse nell’ambiente dovrà essere, di regola autorizzato come impianto di smaltimento rifiuti. In altri termini, «la disciplina sui reflui trova applicazione solo se il collegamento fra ciclo di produzione e recapito finale sia diretto ed attuato, senza soluzione di continuità, mediante una condotta o altro sistema stabile di collettamento (cfr. Sez. III, n. 16623 dell’8 aprile 2015, D’Aniello, rv. 263.354-01), atteso che l’art. 183, lett. h7 del d.lgs. n. 152/06 definisce quale scarico, che rimanda alla normativa sui reflui, solo l’immissione effettuata tramite un sistema stabile e diretto di collettamento. Consegue che in assenza di diretta immissione nel suolo, nel sottosuolo o nella rete fognaria mediante una condotta o un sistema stabile di collettamento i reflui sono da considerarsi rifiuti allo stato liquido, soggetti alla distinta disciplina dell’art. 256, d.lgs. n. 152 del 2006» 8 ; incluso, ovviamente il divieto di immissione di rifiuti in acqua al di fuori dei casi consentiti, di cui al combinato disposto degli artt. 192, commi 1 e 2, 255, comma 1, e 256, comma 2.
Peraltro, la sentenza evidenzia, se pure di sfuggita, per le immissioni, il carattere della «occasionalità, comune, quindi all’abbandono». Elemento che certamente rileva se si considera che lo scarico afferisce, invece, per definizione, ad un «ciclo di produzione» (e non è, quindi, di regola, occasionale) ma che non sembra, comunque, determinante quanto quello della presenza di una condotta 9 .
Se, a questo punto, colleghiamo le considerazioni sin qui svolte con il divieto di gestione di rifiuti senza autorizzazione (o equipollenti) sancito dall’art. 256, comma 1, d.lgs. n. 152/06, appare evidente che, nel settore dei rifiuti, vige il principio generale secondo cui deve considerarsi illecita qualsiasi immissione nell’ambiente che non sia espressamente consentita o che non venga effettuata secondo le modalità e le condizioni previste dalla normativa o dall’autorizzazione perché solo in questo modo si garantisce quel «controllo» dalla culla alla tomba voluto dalla legge. Insomma, per dirla con la Suprema Corte, «la finalità delle disposizioni in esame, è appena il caso di ricordarlo, è quella di far sì che l’attività di gestione dei rifiuti venga effettuata assicurando la tutela della salute umana e l’integrità dell’ambiente ed è evidente che tali obiettivi si è inteso perseguirli anche con le disposizioni che riguardano l’abbandono e le altre condotte di cui si è detto» 10 .
È, infine, utile, per riassumere il quadro relativo alla normativa prevista per il deposito di rifiuti nell’ambiente, riportare una recente sentenza, cui si collega direttamente quella in esame, dove la Suprema Corte elenca e sintetizza singolarmente le varie fattispecie, completandole con la indicazione delle sanzioni
Cass. Sez. III Pen. 31 gennaio 2018, n. 4573, Attanasio, in www.tuttoambiente.it
Giova ricordare che questa Suprema Corte (Sez. III, n. 49911 del 10 novembre 2009, rv. 245.865; Sez. III n. 38676 del 20 maggio 2014, rv. 260.384) ha affermato che per deposito controllato o temporaneo, si intende ogni raggruppamento di rifiuti, effettuato prima della raccolta, nel luogo in cui sono stati prodotti, quando siano presenti precise condizioni relative alla quantità e qualità dei rifiuti, al tempo di giacenza, alla organizzazione tipologica del materiale ed al rispetto delle norme tecniche elencate nel d.lgs. n. 152 del 2006. Tale deposito è libero, non disciplinato dalla normativa sui rifiuti , (ad eccezione degli adempimenti in tema di registri di carico e scarico e del divieto di miscelazione) anche se sempre soggetto ai princìpi di precauzione ed azione preventiva che, in base alle direttive comunitarie, devono presiedere alla gestione dei rifiuti e che solo in difetto di anche uno dei menzionati requisiti, il deposito non può ritenersi temporaneo ma deve essere considerato:
– deposito preliminare , se il collocamento di rifiuti è prodromico ad una operazione di smaltimento che, in assenza di autorizzazione o comunicazione, è sanzionato penalmente dal d.lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1);
– messa in riserva , se il materiale è in attesa di una operazione di recupero che, essendo una forma di gestione, richiede il titolo autorizzativo la cui carenza integra gli estremi del reato previsto dal d.lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1);
– deposito incontrollato o abbandono quando i rifiuti non sono destinati ad operazioni di smaltimento o recupero. Tale condotta è sanzionata come illecito amministrativo se posta in essere da un privato e come reato contravvenzionale se tenuta da un responsabile di enti o titolare di impresa.
Quando l’abbandono dei rifiuti è reiterato nel tempo e rilevante in termini spaziali e quantitativi , il fenomeno può essere qualificato come discarica abusiva (Sez. III, n. 49911 del 10 novembre 2009, Manni, rv. 245.865) e il reato di discarica abusiva è configurabile anche in caso di accumulo di rifiuti che, per le loro caratteristiche, non risultino raccolti per ricevere nei tempi previsti una o più destinazioni conformi alla legge e comportino il degrado dell’area su cui insistono , anche se collocata all’interno dello stabilimento produttivo (Sez. III, n. 41351 del 18 settembre 2008, Fulgori, rv. 241.533).
Ed è stato, da ultimo, ulteriormente precisato che l’ abbandono differisce dalla discarica abusiva per la mera occasionalità, desumibile dall’unicità ed estemporaneità della condotta – che si risolve nel semplice collocamento dei rifiuti in un determinato luogo, in assenza di attività prodromiche o successive – e dalla quantità dei rifiuti abbandonati, mentre nella discarica abusiva la condotta o è abituale – come nel caso di plurimi conferimenti – o, pur quando consiste in un’unica azione, è comunque finalizzata alla definitiva collocazione di una ingente quantità di rifiuti in loco (Sez. III, n. 18399 del 16 marzo 2017, rv. 269.914).
Gianfranco Amendola
1 Per approfondimenti e richiami sulla materia, ci permettiamo rinviare al nostro Il diritto penale dell’ambiente, Roma, II ed., 2017, 216 e ss.
2 Cass. Sez. III Pen. 28 gennaio 2015, n. 3943, Aloisio, rv. 262.159-01 (in questa Riv., 2015, 101, con nota di A. Pierobon, La gestione delle alghe da mareggiata), cui si rinvia anche per il richiamo di precedenti.
3 Cass. Sez. III Pen. 5 aprile 2013, n. 15782, Pisci, in www.lexambiente.it, 19 aprile 2013, cui si rinvia anche per il richiamo di precedenti.
4 Cass. Sez. III Pen. 18 aprile 2014, n. 17289, Terrizzi, in www.lexambiente.it, 12 maggio 2014, cui si rinvia anche per il richiamo di precedenti.
5 Qualificato dalla legge [art. 183, comma 1, lett. aa)] come «deposito preliminare» se il collocamento di rifiuti è prodromico ad un’operazione di smaltimento ovvero come «messa in riserva» se il materiale è in attesa di un’operazione di recupero. Si noti che, comunque, lo stoccaggio viene considerato, tout court, operazione di smaltimento se si tratta di deposito preliminare e operazione di recupero se si tratta di messa in riserva; con il conseguente obbligo di autorizzazione (o equipollente).
6 Si noti che, comunque, le sanzioni previste per deposito incontrollato e stoccaggio (smaltimento o recupero) non autorizzato sono le stesse.
7 In realtà si tratta non della lett. h) ma della lettera « hh) “scarichi idrici”: le immissioni di acque reflue di cui all’art. 74, comma 1, lett. ff)».
8 Cass. Sez. III Pen. 6 febbraio 2019, n. 5813, De Sensi, in www.ambientedritto.it . Nello stesso senso, cfr. Cass. Sez. III Pen. 22 giugno 2011, n. 25037, Olivo, ivi, 11 luglio 2011, secondo cui «è appena il caso di rilevare che, in assenza di una condotta di scarico, le acque reflue devono qualificarsi rifiuti liquidi (cfr. Sez. III, 18 giugno 2009, n. 35138, Bastone, rv. 244.783; Sez. III, 13 aprile 2010, n. 22036, Chianura, rv. 247.627), il cui versamento sul suolo ovvero la cui immissione in acque superficiali o sotterranee, senza autorizzazione, è sanzionata penalmente dall’art. 256, commi 1 e 2, dei medesimo Testo Unico» (fattispecie in tema di «ruscellamento»).
9 Cfr. Cass. Sez. III Pen. 7 novembre 2017, n. 50629, Valentini, inwww.osservatorioagromafie.it, la quale ha precisato che «la disciplina delle acque è applicabile in tutti quei casi nei quali si è in presenza di uno scarico, anche se soltanto periodico, discontinuo o occasionale , di acque reflue in uno dei corpi recettori specificati dalla legge ed effettuato tramite condotta, tubazioni, o altro sistema stabile. Se presenta, invece, momenti di soluzione di continuità, di qualsiasi genere, si è in presenza di un rifiuto liquido, il cui smaltimento deve essere come tale autorizzato, con conseguente violazione dell’art. 256, comma primo, d.lgs. n. 152 del 2006» (fattispecie relativa a sversamento dei reflui promananti da un depuratore comunale nell’area ad esso circostante e da cui «ruscellavano» invadendo e ristagnando sul fondo confinante).
10 Non a caso la Cassazione risolve la problematica sulla qualifica di reato istantaneo o permanente del deposito incontrollato, precisando che esso, come abbiamo detto, «si caratterizza, ad avviso del Collegio, proprio per le modalità con le quali viene effettuato, dunque senza alcuna cautela. Si versa, in tali ipotesi, in un caso in cui il detentore del rifiuto pur non abbandonandolo nel senso dianzi individuato, ne mantiene la detenzione con modalità estranee a quelle conformi a legge, potenzialmente pericolose. Si tratta, in questo caso, di una condotta che finché perdura incide negativamente sul bene giuridico protetto dalla disposizione che la vieta».

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