30/12/2020 – Affidamento diretto della concessione di un bene commerciale dopo una gara infruttuosa 

La sez. I Milano del T.A.R. Lombardia, con la sentenza 24 dicembre 2020 n. 2595, ammette l’affidamento diretto di beni (unità commerciali) in concessione, esclusi dall’applicazione integrale del Codice dei Contratti pubblici, ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, in quanto rientranti nella categoria dei contratti attivi e sottoposti solamente ai principi del cit. Codice.

La concessione delle unità commerciali veniva assegnata a seguito di una manifestazione di interesse di un privato alle condizioni previste (aumentata l’offerta di un euro del canone annuo) da un bando base di gara privo di partecipanti, in applicazione della disciplina contenuta nei regi decreti 18 novembre 1923, n. 2440, e 23 maggio 1924, n. 824 (preceduti da deliberazione giuntale), ove si consente l’affidamento diretto di beni demaniali, qualora la gara pubblica sia andata deserta.

Il precedente concessionario (scaduto) del medesimo bene ricorreva contestando:

  • l’istituto della trattativa diretta in caso di fallimento della procedura ad evidenza pubblica;
  • l’erronea interpretazione della trattativa privata, la quale non equivarrebbe ad un affidamento diretto, previsto dall’articolo 36 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, solo per gli affidamenti di importo inferiore ai 40.000,00 euro, ma sarebbe piuttosto assimilabile alla procedura negoziata senza bando di gara, disciplinata dal successivo articolo 63, per la quale è richiesto l’esperimento di un’indagine di mercato e l’invito di cinque operatori economici;
  • violazione dei principi di imparzialità, di parità di trattamento, di concorrenza, di economicità e di buona amministrazione, per aver coltivato la manifestazione di interesse formulata dal privato, senza verificare se vi fossero altri operatori economici interessati a presentare offerte concorrenti, maggiormente remunerative rispetto alla base d’asta fissata nel bando;
  • violazione dei principi di trasparenza e di pubblicità di cui all’articolo 4 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, applicabili anche all’affidamento dei contratti attivi;
  • mancata verifica dei requisiti morali dell’affidatario (peraltro già destinatario di un precedente bene posto in gara: il lotto 1 assegnato, rispetto al lotto 2 non aggiudicato e ora in contestazione).

In termini diversi, si censura di non aver messo in gara il bene concessionato, prima di accettare proposte, senza aver attinto ad un ulteriore avviso pubblico da parte di un operatore economico per il prezzo posto a base di gara (dove il primo esperimento è andato deserto); ovvero, all’esito di una prima gara deserta la stazione appaltante doveva espletare una successiva gara con la possibilità di più offerenti, piuttosto che ricorrere direttamente al mercato senza mediazioni (questo il tema controverso).

In primo e secondo grado veniva respinta l’istanza cautelare.

La prima analisi giuridica fatta dal Tribunale postula che l’interesse della ricorrente in quanto l’Amministrazione ha provveduto all’affidamento diretto in deroga alla regola della gara, per cui «la sua legittimazione a ricorrere discende dalla qualità di operatore commerciale del settore e prescinde dalla partecipazione alla gara»[1].

Successivamente il G.A. si occupa di richiamare i principi e le regole euro-unitarie che:

  • impongono le procedure dell’evidenza pubblica per la scelta del concessionario di beni pubblici, in quanto l’uso del bene attribuisce al concessionario un’utilità di rilievo economico, contendibile tra una pluralità di operatori del mercato[2];
  • le concessioni di beni pubblici rientrando nella categoria dei contratti attivi, pur essendo esclusi dall’ambito di applicabilità del d.lgs. n. 50/2016, soggiacciono all’applicazione dei principi generali canonizzati dall’art. 1 della legge n. 241/1990.

Segue il merito sulla base delle seguenti premesse:

  • i requisiti morali dell’operatore economico, sono stati verificati già nell’assegnazione del primo lotto;
  • la norma di riferimenti, quella coordinata dell’art. 3, comma 1 e dell’art. 6, comma 1 del r.d. n. 2440/1923, consente all’Amministrazione in presenza di «speciali ed eccezionali circostanze» di procedere con la trattativa privata quando non possano essere utilmente seguite le forme dell’avviso (rectius della gara);
  • l’art. 41, comma 1, punto 1) del r.d. n. 827/1924, prevede che «quando gl’incanti e le licitazioni siano andate deserte o si abbiano fondate prove per ritenere che ove si sperimentassero andrebbero deserte», si procede a trattativa privata diretta;
  • alla concessione beni non si applicano le disposizioni di cui agli articoli 36 e 63 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, in forza dell’articolo 4 dello stesso testo.

Ciò posto, si definisce il merito:

  • la trattativa privata è legittima quando il mercato – una volta consultato- non ha mostrato alcun concreto interesse partecipativo;
  • non contrasta con i principi di economicità e di efficacia dell’azione amministrativa, in quanto l’affidamento senza gara, a condizioni pari alla base d’asta individuata nel bando, consente all’Amministrazione di ritrarre dal bene la giusta remuneratività;
  • la trattativa privata non si pone in contrasto con il confronto concorrenziale assicurato dall’indizione della gara andata deserta.
  • la scelta di procedere «a trattativa privata con un operatore economico, in luogo di indire una nuova procedura di evidenza pubblica con una base d’asta deprezzata, è legittima e conforme all’interesse pubblico di ritrarre dall’affidamento del bene la massima redditività senza rinunciare alla sua valorizzazione».

A margine è stata data prova che l’Amministrazione ha comunicato alla ricorrente, in sede di avvio della procedura per il rilascio dell’immobile, l’esito infruttuoso della gara e il ricevimento di una manifestazione di interesse del bene precedentemente dato in concessione (quello del lotto 2).

[1] Cons. Stato, Adunanza plenaria, 7 aprile 2011, n. 4.

[2] T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 26 maggio 2020, n. 5557. È noto che la proroga generalizzata delle concessioni e/o autorizzazioni del demanio marittimo per l’espletamento dei servizi di interesse transfrontaliero, avuto riguardo alla loro scarsità sul mercato, contrasta con l’art. 49 del Trattato UE, e, soprattutto, con la Direttiva Bolkestein: l’affidamento di tali autorizzazioni (nelle quali rientrano pacificamente le concessioni demaniali in generale) richiedono una procedura di selezione aperta, pubblica e basata su criteri non discriminatori, trasparenti e oggettivi, Cons. Stato, sez. VI, 18 novembre 2019, n. 7874.

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