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1619/2020

(SF) Opponendosi al provvedimento di diniego relativo a una pratica di condono un cittadino lamenta, tra l’altro, che il funzionario dell’Ufficio Condono avrebbe dovuto astenersi dal sottoscrivere il provvedimento essendosi già predittivamente pronunciato in senso sfavorevole sull’istanza di condono nelle proprie relazioni tecniche.

I giudici del TAR, rigettando tale rilievo affermano che nessun obbligo di astensione era fondatamente predicabile in capo al funzionario e al riguardo rilevano che, per ius receptum, le cause d’incompatibilità sancite dall’art. 51 cod. proc. civ. sono esportabili, in omaggio al principio generale di imparzialità dell’agere amministrativo ex art. 97 Cost., in tutti i campi dell’azione amministrativa, in quanto presunzioni di doverosa declinatoria eccepibile dalla parte interessata  e che l’obbligo di astensione figura disciplinato dall’art. 7 del d.p.r. n. 62/2013 (Codice di comportamento dei dipendenti pubblici)

Ebbene, nella specie, non è in concreto configurabile a carico del menzionato funzionario comunale alcuna ipotesi di conflitto di interessi e di connessa incompatibilità di cui agli artt. 51 cod. proc. civ. e 7 del d.p.r. n. 62/2013.

Ciò, in primis, perché il diniego di condono risulta pronunciato non già dal soggetto in parola, bensì dal Dirigente del Settore Governo del Territorio, Ambiente e Attività Produttive. E poi, e in termini ancor più dirimenti, perché il funzionario comunale si è limitato ad esprimere nelle proprie relazioni tecniche – ossia in atti aventi natura meramente istruttoria e portata meramente endoprocedimentale –, in via del tutto interlocutoria, il proprio avviso sfavorevole in merito all’accoglibilità della domanda di condono, senza, perciò solo, condizionare e, tanto meno, vincolare l’andamento e l’esito del non ancora definito iter di sanatoria (opinare altrimenti, nei sensi propugnati dal ricorrente, porterebbe a postulare, per default, l’incompatibilità di ogni organo responsabile del procedimento e/o promanante il provvedimento conclusivo che abbia preannunciato all’interessato i motivi ostativi all’accoglimento della propria istanza amministrativa);

La mera formulazione predittiva di un convincimento in ordine all’insanabilità delle opere controverse era, dunque, di per sé, insuscettibile di rivelare l’emersione di un interesse personale confliggente con la cura dell’interesse pubblico idoneo a sostanziare la tesi dell’obbligo di astensione;

In questo senso, occorre rimarcare che le norme in tema di incompatibilità nell’espletamento delle funzioni giudiziarie non sono automaticamente traslabili al campo dell’azione amministrativa: ed invero, «la differenza tra funzione giurisdizionale (volta all’espressione di un giudizio neutrale rispetto agli interessi delle parti coinvolte nel giudizio) e funzione amministrativa (volta al perseguimento di uno specifico interesse pubblico) importa pure una diversa declinazione del principio di imparzialità; cosicché l’obbligo di astensione del pubblico dipendente, nell’ambito di una attività amministrativa … appare configurabile solo laddove ricorra un contrasto tra interessi personali del dipendente e la cura dell’interesse pubblico perseguito dall’ufficio al quale è preposto.

Come pure occorre rimarcare che il sistema legale delle competenze rende fisiologico, e per certi versi necessario, che le funzioni di controllo e legittimazione delle attività edilizie (esercitate in sede di rilascio dei titoli edilizi anche in sanatoria) e le funzioni di repressione delle attività edilizie acclarate come abusive (esercitate in sede di irrogazione delle sanzioni previste per le singole fattispecie illecite) vengano a strettamente intrecciarsi e ad essere, perciò, assolte (almeno in fase istruttoria) dai medesimi organi amministrativi; ed occorre, quindi, concludere nel senso della insussistenza di elementi, ivi compresi i tempi e le modalità di espletamento del procedimento, capaci di connotare l’operato del funzionario comunale in termini di conflitto col pubblico interesse, tale da imporre l’evocato obbligo di astensione.

Pubblicato il 04/11/2020

N. 01619/2020 REG.PROV.COLL.

N. 01109/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;

sul ricorso numero di registro generale 1109 del 2020, proposto da

Giuseppe Milito, rappresentato e difeso dagli avvocati Alfredo Messina, Annabella Messina, Laura Messina, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il loro studio, in Salerno, via F. Crispi, n. 1/7;

contro

Comune di Cava de’ Tirreni, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonino Cascone, Giuliana Senatore, Manuela Casilli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l’annullamento

del diniego di condono prot. n. 45735 del 20.7.2020 e dell’ordinanza di demolizione n. 143 del 6.8.2020.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Cava de’ Tirreni;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 14 ottobre 2020 il dott. Olindo Di Popolo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;

Premesso che:

– col ricorso in epigrafe, Milito Giuseppe (in appresso, M. G.) impugnava, chiedendone l’annullamento: — il provvedimento del 20.7.2020, prot. n. 45735, col quale il Dirigente del Settore Governo del Territorio, Ambiente e Attività Produttive del Comune di Cava de’ Tirreni, previa comunicazione ex art. 10 bis della l. n. 241/1990 di cui alla nota dell’8.6.2020, prot. n. 36390, aveva rigettato la domanda di definizione di illeciti edilizi ex art. 32 del d.l. n. 269/2003, conv. in l. n. 326/2003, presentata il 30.3.2004 (prot. n. 17903); — l’ordinanza di demolizione n. 143 del 6.8.2020, emessa dal Dirigente del Settore Governo del Territorio, Ambiente e Attività Produttive del Comune di Cava de’ Tirreni; — le relazioni tecniche del 27.2.2020, prot. n. 15021, e del 21.4.2020, prot. n. 25350, a cura del Settore Governo del Territorio, Ambiente e Attività Produttive – Ufficio Repressione Abusi Edilizi del Comune di Cava de’ Tirreni;

– gli interventi rimasti insanati a seguito dell’adozione del gravato provvedimento declinatorio del 20.7.2020, prot. n. 45735, e contestati con la pure gravata l’ordinanza di demolizione n. 143 del 6.8.2020, erano stati eseguiti in corrispondenza di n. 3 box auto interrati, pertinenziali alle altrettante unità abitative in proprietà del ricorrente, assentiti giusta autorizzazione edilizia n. 257 del 16.5.2001, ubicati in Cava de’ Tirreni, in via XXV Luglio, n. 195, censiti in catasto al foglio 11, particella 556, nonché ricadenti in zona classificata B6 (Residenziale in ambito industriale da completare ed attrezzature) dal pro tempore vigente PRG di Cava de’ Tirreni, P2 (Pericolosità idraulica media), R3 (Rischio idraulico elevato) e V4 (Vulnerabilità idraulica a carattere topografico massimo) dal Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico (PSAI) devoluto alla competenza territoriale della Unit of Management Regionale (UoM) Sarno dell’Autorità di Bacino Distrettuale dell’Appennino Meridionale (ex Autorità di Bacino Regionale Campania Centrale e, prima ancora, ex Autorità Bacino Regionale Sarno);

– in dettaglio, si era trattato: a) quanto agli abusi sottoposti a condono: aa) dell’eliminazione delle pareti divisorie dei cennati box auto interrati; ab) dell’abbassamento del relativo piano di calpestio originario (per m 1,54) e del corrispettivo innalzamento della relativa altezza interna originaria (da m 2,70 a m 4,24); ac) dell’installazione di una copertura in metallo e plexiglas, a protezione della rampa di accesso; ad) della trasformazione della consistenza immobiliare da autorimessa a locale commerciale adibito alla vendita di auto usate (cfr. “perizia asseverata” esibita in giudizio da parte ricorrente; elaborati grafici e fotografici a corredo dell’istanza di autorizzazione edilizia prot. n. 15919 del 29.3.2000 e dell’istanza di sanatoria prot. n. 17903 del 30.3.2004); b) quanto agli abusi riscontrati nelle relazioni tecniche del 27.2.2020, prot. n. 15021, e del 21.4.2020, prot. n. 25350: ba) della diversa distribuzione degli spazi interni del piano interrato, con creazione di ambienti ulteriori rispetto all’assentito vano wc; bb) della realizzazione di un soppalco avente dimensioni in pianta pari a m 6,50 x 3,00 e protetto da una ringhiera metallica; bc) dell’installazione, sull’area esterna al locale interrato, di una struttura prefabbricata avente dimensioni pari a m 2,40 x 3,60 x h 2,40, e di una struttura metallica costituita da pilastri e travi ancorati al suolo ed alle ringhiere adiacenti; bd) della difformità della recinzione, della porta di accesso al garage e della localizzazione del passo carrabile rispetto alle prescrizioni esecutive impartite con l’autorizzazione edilizia n. 257 del 16.5.2001;

– il diniego di condono era stato pronunciato dal Comune di Cava de’ Tirreni (segnatamente in relazione agli abusi indicati retro, sub lett. a) in base al rilievo che gli illeciti edilizi de quibus, oltre e prima ancora di essere aggravati dalla realizzazione di opere abusive ulteriori rispetto al quadro cristallizzato nell’istanza di condono prot. n. 17903 del 30.3.2004, si erano sostanziati nella creazione di un manufatto ab origine allestito nel suo attuale assetto dimensionale (con altezza interna pari a m 4,24) e funzionale (con destinazione commerciale), macroscopicamente difforme rispetto a quello assentito (con altezza interna pari a m 2,70 e con destinazione ad autorimessa pertinenziale), ossia nella creazione ex novo e sine titulo di superficie utile e volumetria edificatoria, incompatibili con la disciplina sia dell’art. 56 delle NTA del PRG previgente sia degli artt. 62 e 63 delle NTA del PUC vigente, con conseguente violazione del divieto di sanatoria ex art. 32 del d.l. n. 269/2003, sancito dal comb. disp. artt. 32, commi 26, lett. a, e 27, lett. d, del d.l. n. 269/2003 nelle ipotesi di interventi eseguiti in zona assoggettata a vincolo idrogeologico di inedificabilità;

– nell’avversare siffatta determinazione e la conseguente misura repressivo-ripristinatoria, il M. lamentava, in estrema sintesi, che: a) il funzionario in P.O. Ufficio Condono avrebbe dovuto astenersi dal sottoscrivere il provvedimento del 20.7.2020, prot. n. 45735, essendosi già predittivamente pronunciato in senso sfavorevole sull’istanza di condono prot. n. 17903 del 30.3.2004 nelle proprie relazioni tecniche del 27.2.2020, prot. n. 15021, e del 21.4.2020, prot. n. 25350; b) in violazione del criterio di ordine cronologico prefissato dalle note sindacali prot. n. 55793 del 1°.11.2007 e prot. n. 53379 del 23.9.2008, oltre che in disparità di trattamento, la pratica di sanatoria de qua sarebbe stata antergata rispetto ad altre pure in precedenza incardinate presso gli uffici comunali; c) l’ente locale intimato avrebbe illegittimamente denegato all’interessato l’accesso alle cennate relazioni tecniche del 27.2.2020, prot. n. 15021, e del 21.4.2020, prot. n. 25350, così impedendogli una piena ed efficace partecipazione procedimentale; d) il vincolo idrogeologico di inedificabilità gravante sull’area di intervento avrebbe rivestito natura relativa (e non assoluta) e sarebbe stato imposto dal PSAI soltanto dopo la realizzazione degli abusi in contestazione, cosicché – peraltro in linea con una prassi amministrativa in disparità di trattamento disattesa, nella specie, dal Comune di Cava de’ Tirreni – non sarebbe stato, di per sé e in radice, impeditivo della richiesta sanatoria, tenuto conto che le opere controverse non integrerebbero gli estremi della nuova costruzione e sarebbero state assentibili in base al pro tempore vigente art. 56 delle NTA del PRG; e) i lavori eseguiti dopo la presentazione dell’istanza di condono prot. n. 17903 del 30.3.2004 sarebbero consistiti nella realizzazione di una tettoia esterna per il riparo delle auto commerciate e nell’installazione di un container adibito ad ufficio per l’esercizio di vendita insediato in loco da parte di un soggetto (S. N. P., affittuario del compendio immobiliare de quo) distinto dal proprietario M. e non avrebbero direttamente e radicalmente inciso sull’assetto edilizio del locale interrato in contestazione; f) con precipuo riguardo agli abusi sopravvenuti a quelli di cui all’istanza di condono prot. n. 17903 del 30.3.2004, l’ingiunzione demolitoria non sarebbe stata preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento con essa definito; g) non ricorrendo alcuna delle ipotesi sanzionate dall’art. 31 del d.p.r. n. 380/2001, bensì, al più, l’ipotesi della ristrutturazione edilizia ‘pesante’, sanzionata dal successivo art. 33, la demolizione non sarebbe stata ordinabile nei termini individuati dall’amministrazione intimata (con contestuale comminatoria di acquisizione gratuita al patrimonio comunale in caso di inottemperanza); h) la misura repressivo-ripristinatoria sarebbe stata, inoltre, adottata senza tener conto dell’avvenuta rimozione della tettoia esterna e del container abusivamente installati in loco;

– costituitosi l’intimato Comune di Cava de’ Tirreni, eccepiva l’infondatezza del gravame esperito ex adverso;

– il ricorso veniva chiamato all’udienza del 14 ottobre 2020 per la trattazione dell’incidente cautelare;

– nell’udienza camerale emergeva che la causa era matura per la definizione immediata nel merito, essendo integro il contraddittorio, completa l’istruttoria e sussistendo gli altri presupposti di legge;

– le parti venivano sentite, oltre che sulla domanda cautelare, sulla possibilità di definizione del ricorso nel merito e su tutte le questioni di fatto e di diritto che la definizione nel merito pone;

Considerato, innanzitutto, che:

– nessun obbligo di astensione era fondatamente predicabile in capo al funzionario in P.O. Ufficio Condono del Comune di Cava de’ Tirreni, sottoscrittore del provvedimento del 20.7.2020, prot. n. 45735;

– in argomento, giova rammentare che, per ius receptum, le cause d’incompatibilità sancite dall’art. 51 cod. proc. civ. sono esportabili, in omaggio al principio generale di imparzialità dell’agere amministrativo ex art. 97 Cost., in tutti i campi dell’azione amministrativa, in quanto presunzioni di doverosa declinatoria eccepibile dalla parte interessata (cfr., ex multis, TAR Calabria, Reggio Calabria, 19 maggio 2016, n. 517; TAR Campania, Napoli, sez. I, 9 gennaio 2020, n. 110) e che l’obbligo di astensione figura disciplinato dall’art. 7 del d.p.r. n. 62/2013 (Codice di comportamento dei dipendenti pubblici) («Il dipendente si astiene dal partecipare all’adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o gerente o dirigente. Il dipendente si astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza. Sull’astensione decide il responsabile dell’ufficio di appartenenza»: sul punto, cfr. Cons. Stato, sez. V, 11 luglio 2017, n. 3415 TAR Calabria, Reggio Calabria, 19 maggio 2016, n. 517);

– ebbene, nella specie, non è in concreto configurabile a carico del menzionato funzionario comunale in P.O. Ufficio Condono alcuna ipotesi di conflitto di interessi e di connessa incompatibilità di cui agli artt. 51 cod. proc. civ. e 7 del d.p.r. n. 62/2013;

– ciò, in primis, perché il diniego di condono prot. n. 45735 del 20.7.2020 risulta pronunciato non già dal soggetto in parola, bensì dal Dirigente del Settore Governo del Territorio, Ambiente e Attività Produttive;

– poi, e in termini ancor più dirimenti, perché il funzionario comunale in P.O. Ufficio Condono si è limitato ad esprimere nelle proprie relazioni tecniche del 27.2.2020, prot. n. 15021, e del 21.4.2020, prot. n. 25350 – ossia in atti aventi natura meramente istruttoria e portata meramente endoprocedimentale –, in via del tutto interlocutoria, il proprio avviso sfavorevole in merito all’accoglibilità della domanda di condono prot. n. 17903 del 30.3.2004, senza, perciò solo, condizionare e, tanto meno, vincolare l’andamento e l’esito del non ancora definito iter di sanatoria (opinare altrimenti, nei sensi propugnati dal ricorrente, porterebbe a postulare, per default, l’incompatibilità di ogni organo responsabile del procedimento e/o promanante il provvedimento conclusivo che abbia preannunciato all’interessato i motivi ostativi all’accoglimento della propria istanza amministrativa);

– la mera formulazione predittiva di un convincimento in ordine all’insanabilità delle opere controverse era, dunque, di per sé, insuscettibile di rivelare l’emersione di un interesse personale confliggente con la cura dell’interesse pubblico idoneo a sostanziare la tesi dell’obbligo di astensione;

– in questo senso, occorre rimarcare che le norme in tema di incompatibilità nell’espletamento delle funzioni giudiziarie non sono automaticamente traslabili al campo dell’azione amministrativa: ed invero, «la differenza tra funzione giurisdizionale (volta all’espressione di un giudizio neutrale rispetto agli interessi delle parti coinvolte nel giudizio) e funzione amministrativa (volta al perseguimento di uno specifico interesse pubblico) importa pure una diversa declinazione del principio di imparzialità; cosicché l’obbligo di astensione del pubblico dipendente, nell’ambito di una attività amministrativa … appare configurabile solo laddove ricorra un contrasto tra interessi personali del dipendente e la cura dell’interesse pubblico perseguito dall’ufficio al quale è preposto (TAR Lazio, Roma, sez. I, 11 ottobre 2017, n. 10206);

– come pure occorre rimarcare che il sistema legale delle competenze rende fisiologico, e per certi versi necessario, che le funzioni di controllo e legittimazione delle attività edilizie (esercitate in sede di rilascio dei titoli edilizi anche in sanatoria) e le funzioni di repressione delle attività edilizie acclarate come abusive (esercitate in sede di irrogazione delle sanzioni previste per le singole fattispecie illecite) vengano a strettamente intrecciarsi e ad essere, perciò, assolte (almeno in fase istruttoria) dai medesimi organi amministrativi; ed occorre, quindi, concludere nel senso della insussistenza di elementi, ivi compresi i tempi e le modalità di espletamento del procedimento, capaci di connotare l’operato del funzionario comunale in P.O. Ufficio Condono in termini di conflitto col pubblico interesse, tale da imporre l’evocato obbligo di astensione;

Considerato, poi, che:

– nessuna portata infirmante è ricollegabile alla circostanza che la pratica di sanatoria de qua sarebbe stata antergata rispetto ad altre pure in precedenza incardinate presso gli uffici comunali;

– TAR Campania, Napoli, sez. VII, 29 aprile 2020, n. 1581 ha, appunto, statuito in termini che «il presunto mancato rispetto dell’ordine cronologico delle domande è del tutto irrilevante ai fini della legittimità del diniego; anche ammesso che la p.a. sia tenuta a rispettare tale ordine cronologico, si tratterebbe di una violazione che, ai sensi dell’art. 21 octies, comma 2, l. n. 241/1990, non può comportare l’annullamento del diniego»;

– il prefissato ordine cronologico di esame delle rassegnate istanze di condono (e cioè prima di quelle ex artt. 31 ss. della l. n. 47/1985, poi di quelle ex art. 39 della l. n. 724/1994, in fine di quelle ex art. 32 del d.l. n. 269/2003) costituisce, infatti, all’evidenza, il prodotto di atti di puro indirizzo – quali, appunto, le note sindacali prot. n. 55793 del 1°.11.2007 e prot. n. 53379 del 23.9.2008 – ed è da intendersi, come tale, derogabile in ragione dell’oggettiva e specifica urgenza o complessità delle varie pratiche pendenti;

– non senza soggiungere, subito dopo, che esso è previsto allo scopo di non penalizzare con arbitrarie sovrapposizioni e ritardi procedimentali l’interesse qualificato dei singoli soggetti proponenti a vedere ordinatamente e tempestivamente definite le rispettive richieste di sanatoria; e che di un simile interesse il M. non può, di certo, fondatamente lamentare la lesione per essersi addirittura avvantaggiato dell’antergazione – sia pure con esito a sé sfavorevole – della propria istanza di condono prot. n. 17903 del 30.3.2004;

Considerato pure che nessuna portata infirmante è ricollegabile al denunciato diniego di accesso alle cennate relazioni tecniche del 27.2.2020, prot. n. 15021, e del 21.4.2020, prot. n. 25350, emergendo per tabulas, dal tenore delle controdeduzioni (nota del 2.7.2020, prot. n. 41693) al preavviso di rigetto prot. n. 36390 dell’8.6.2020, che il M. ha avuto piena disponibilità e conoscenza del contenuto di tali documenti amministrativi, prima dell’adozione del conclusivo provvedimento del 20.7.2020, prot. n. 45735;

Considerato, altresì, in punto di fatto, che:

– gli abusi controversi, siccome realizzati su area idrogeologicamente vincolata, nonché ascrivibile alla tipologia 1 («opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici») – come attestato nella stessa istanza di condono prot. n. 17903 del 30.3.2004 – o, al più, alla tipologia 2 («opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio, ma conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici alla data di entrata in vigore del presente provvedimento») dell’allegato 1 al d.l. n. 269/2003 erano da ricondursi tra quelli esclusi dall’art. 32, commi 26, lett. a, e 27, lett. d, del d.l. n. 269/2003 dall’ambito applicativo del c.d. terzo condono;

– in questo senso, va chiarito che: — la struttura interrata sottoposta a sanatoria ex art. 32 del d.l. n. 269/2003 risulta essere il prodotto di un pervasivo stravolgimento del progetto approvato con l’autorizzazione edilizia n. 257 del 16.5.2001, attraverso il considerevole incremento volumetrico ottenuto dall’abbassamento del piano di calpestio e dal corrispettivo innalzamento dell’altezza interna da m 2,70 a m 4,24, nonché attraverso la radicale trasformazione morfologico-funzionale del relativo assetto, riveniente dalla mancata realizzazione delle pareti divisorie interne dei previsti n. 3 box auto e dal cambio di destinazione d’uso da autorimessa a locale commerciale; — si è trattato, dunque, della costruzione di un organismo edilizio ab origine totalmente diverso, per caratteristiche tipologico-funzionali e volumetriche, rispetto a quello assentito con l’autorizzazione edilizia n. 257 del 16.5.2001, e non della mera modifica incrementativa di un manufatto preesistente; — di qui anche la genetica non conformità alla disciplina dello strumento urbanistico generale pro tempore vigente, oltre al realizzato incremento volumetrico essendosi indebitamente lucrata dalla conseguita legittimazione di un locale destinato ad autorimessa col riconoscimento dei benefici derogatori ex art. 9 della l. n. 122/1989 la creazione di uno spazio utile commerciale (per la vendita di auto usate), in violazione dei limiti edificatori imposti per la zona B6 dall’art. 56, comma 5, delle NTA del PRG di Cava de’ Tirreni («Sono consentiti, previo rilascio di autorizzazione concessione, secondo quanto stabilito dalle presenti NTA, i seguenti interventi: manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria, restauro, risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia, demolizione e ricostruzione a parità di superficie utile, nonché mutamenti di destinazione d’uso»);

– tanto, per di più, senza che il M. abbia sufficientemente dimostrato in sede amministrativa né, ai sensi e per gli effetti dell’art. 64, comma 1, cod. proc. amm., in sede giurisdizionale che l’autorimessa assentita con l’autorizzazione edilizia n. 257 del 16.5.2001 sarebbe, come tale, preesistita alle opere in difformità sottoposte a condono;

– al riguardo, è appena il caso di rammentare che, per consolidata giurisprudenza, spetta al privato richiedente, e non all’amministrazione, l’onere di dimostrare la data di esecuzione delle opere abusive allo scopo di fruire dei benefici riconosciuti dalla normativa speciale in materia di sanatoria edilizia; questo perché, in omaggio al principio di vicinanza degli strumenti di prova (art. 2697 cod. civ.), solo l’interessato può fornire inconfutabili documenti che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca in cui l’abuso è stato realizzato; e che, in difetto di siffatta prova, l’amministrazione ha il dovere di negare la sanatoria dell’illecito edilizio (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 4 ottobre 2019, n. 6720; sez. II, 26 agosto 2019, n. 5860; sez. VI, 8 luglio 2019 n. 4769; sez. IV, 14 febbraio 2012 n. 703; sez. V, 5 novembre 2010 n. 7770; TAR Campania, Napoli, sez. III, 10 ottobre 2019, n. 4815; 28 agosto 2018 n. 5291; 10 ottobre 2017 n. 4732; 27 agosto 2016 n. 4108; TAR Lombardia, Milano, sez. II, 4 settembre 2019, n. 1944);

Considerato, quindi, tenuto conto dei superiori rilievi in punto di fatto, che:

– l’art. 32 del d.l. n. 269/2003, alla lett. a del comma 26, stabilisce, che: «sono suscettibili di sanatoria edilizia le tipologie di illecito di cui all’allegato 1 … numeri da 1 a 3, nell’ambito dell’intero territorio nazionale, fermo restando quanto previsto alla lettera e del comma 27 del presente articolo, nonché 4, 5 e 6 nell’ambito degli immobili soggetti a vincolo di cui all’articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47»; mentre, alla lett. d del comma 27, soggiunge che: «fermo restando quanto previsto dagli articoli 32 e 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora … siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici»;

– a norma all’art. 32, comma 26, lett. a, del d.l. n. 269/2003, gli interventi eseguiti in corrispondenza di immobili sottoposti a vincoli di inedificabilità relativa (ex art. 32 della l. n. 47/1985) sono, dunque, condonabili, solo ove riconducibili alle tipologie di c.d. abusi minori 4 («opere di restauro e risanamento conservativo come definite dall’articolo 3, comma 1, lettera c, del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio, nelle zone omogenee A di cui all’articolo 2 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444»), 5 («opere di restauro e risanamento conservativo come definite dall’articolo 3, comma 1, lettera c, del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio”) e 6 («opere di manutenzione straordinaria, come definite all’articolo 3, comma 1, lettera b, del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio; opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superficie o di volume») dell’allegato 1 al d.l. n. 269/2003; mentre non lo sono, ove riconducibili alle tipologie di abusi più gravi 1 («opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici»), 2 («opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio, ma conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici alla data di entrata in vigore del presente provvedimento») e 3 («opere di ristrutturazione edilizia … realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio»), ossia integranti gli estremi della nuova costruzione o della ristrutturazione edilizia (sul punto, cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 18 maggio 2015, n. 2518; TAR Campania, Napoli, sez. III, 10 febbraio 2016, n. 750; 13 aprile 2018 n. 2473; 28 agosto 2018, n. 5290);

– nel contempo, l’art. 32, comma 27, lett. d, del d.l. n. 269/2003 esclude dalla sanatoria le opere abusive realizzate su aree caratterizzate da determinate tipologie di vincoli (segnatamente, quelli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali), subordinando, peraltro, l’esclusione a due condizioni disgiunte, costituite: a) dal fatto che il vincolo sia stato istituito prima dell’esecuzione delle opere sine titulo; b) dal fatto che queste ultime risultino non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici (TAR Campania, Napoli, sez. VI, 8 ottobre 2014, n. 5161; 20 maggio 2015, n. 2828; 13 aprile 2016, n. 1777; 10 aprile 2018, n. 2313; 7 giugno 2018, n. 3776; TAR Lombardia, Milano, sez. II, 27 aprile 2015, n. 1041; TAR Puglia, Lecce, sez. III, 6 giugno 2017, n. 929);

– ora, dal combinato disposto delle due suindicate disposizioni (lett. a del comma 26 e lett. d del comma 27 dell’art. 32 del d.l. n. 269/2003) con gli artt. 32 e 33 della l. n. 47/1985 si evince che gli interventi sine titulo non sono condonabili: a) ove sottoposti a preesistenti vincoli di inedificabilità assoluta, a prescindere dalla categoria edilizia di relativa appartenenza e dalla loro conformità o meno alla disciplina urbanistica applicabile; b) ove annoverabili tra gli interventi di maggiore consistenza (nuove costruzioni e ristrutturazioni edilizie) ed eseguiti su immobili assoggettati a vincoli di inedificabilità anche relativa (allorquando imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali), a prescindere dalla loro conformità o meno alla disciplina urbanistica applicabile; c) ove annoverabili tra gli interventi di minore consistenza (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria), ma eseguiti su immobili assoggettati a preesistenti vincoli di inedificabilità anche relativa (allorquando imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali), nonché in difformità dalla disciplina urbanistica applicabile;

– il c.d. terzo condono risulta, dunque, operante in riferimento ai soli abusi minori di cui alle tipologie 4, 5 e 6 dell’allegato 1 al d.l. n. 269/2003, realizzati in zone vincolate, se e in quanto conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici; mentre non lo è in riferimento agli abusi di cui alle tipologie 1, 2 3 del medesimo allegato 1 al d.l. n. 269/2003, anche se l’area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa e gli interventi risultano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 21 febbraio 2017, n. 813; sez. VI, 6 febbraio 2018, n. 755; TAR Lazio, Roma, sez. II, 15 giugno 2018, n. 6695; Cass. pen., sez. III, 20 maggio 2016, n. 40676);

– inoltre, va ricordato che l’art. 32, comma 25, del d.l. n. 269/2003 circoscrive l’operatività della prevista sanatoria alle sole nuove costruzioni che abbiano natura residenziale;

– tanto premesso, nel caso in esame, giustificano appieno il contenuto dispositivo del provvedimento declinatorio impugnato: a) da un lato, la indubbia riconducibilità dell’opera controversa, seppure non – per assurdo, e cioè anche a non voler attribuire valenza determinante alla dichiarazione formulata in tal senso nell’istanza di condono esibita in giudizio ed alla ricognizione fattuale dianzi compiuta – alla tipologia 1 (siccome integrante gli estremi della nuova costruzione eseguita sine titulo, nonché in violazione delle norme urbanistiche e/o delle prescrizioni degli strumenti urbanistici), comunque alla tipologia 2 (siccome integrante gli estremi della nuova costruzione eseguita sine titulo, ma in conformità alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici) o anche alla tipologia 3 («opere di ristrutturazione edilizia … realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio») – così come prospettato dallo stesso ricorrente, allorquando riconduce gli interventi de quibus all’orbita della ‘ristrutturazione pesante’ – dell’allegato 1 al d.l. n. 269/2003; b) d’altro lato, la presenza del vincolo idrogeologico – sia pure relativo – gravante sull’area di intervento;

– a decisivo suffragio di tale approdo, milita l’ormai radicato indirizzo pretorio, il quale risulta escludere l’operatività del c.d. terzo condono per il solo fatto che gli abusi commessi figurino classificabili tra quelli più gravi, ossia tra le tipologie 1-3 dell’allegato 1 al d.l. n. 269/2003 e localizzati in zona sottoposta a vincolo, a prescindere dalla natura, assoluta o relativa, di quest’ultimo e dall’epoca di sua imposizione, anteriore o successiva all’esecuzione dei primi;

– «Per la sanatoria delle opere abusive, – recita TAR Campania, Napoli, sez. III, 4 novembre 2015 n. 5108 – in base al combinato disposto dei commi 26 e 27 dell’art. 32, d.l. n. 269 del 2003, è necessaria la concorrente sussistenza delle seguenti condizioni: a) che si tratti di opere realizzate prima dell’imposizione del vincolo; b) che si tratti di opere conformi alle prescrizioni e prescrizioni urbanistiche; c) che si tratti di opere minori rientranti nelle tipologie di illecito di cui ai n. 4, 5 e 6, del richiamato d.l. n. 269 del 2003, senza quindi aumento di superficie; d) che vi sia il parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo. Ne consegue che, per un intervento ampliativo rientrante nella tipologia 1 di illecito in zona vincolata, il richiamo al comma 26, lett. a, dell’art. 32 è già di per sé sufficiente a giustificare il diniego di sanatoria» (cfr. anche Cons. Stato, sez. IV, 21 febbraio 2017, n. 813; TAR Campania, Napoli, sez. VI, 4 giugno 2015 n. 3038; sez. III, 28 agosto 2018, n. 5290; 6 giugno 2019, n. 3090; 27 giugno 2019, n. 3541; Salerno, sez. II, 16 luglio 2020, n. 914; TAR Lazio, Roma, sez. II, 2 luglio 2019, n. 8591; 7 gennaio 2020, n. 90; TAR Piemonte, Torino , sez. II, 20 agosto 2019, n. 953; Cass. pen., sez. III, 20 maggio 2016, n. 40676;);

– «Importante ricordare – argomentano le ulteriori pronunce orientate in tal senso – che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 49 del 2006, nel dichiarare l’incostituzionalità dell’art. 32, comma 26, del d.l. n. 269/2003 nella parte in cui non prevede che la legge regionale possa determinare la possibilità, le condizioni e le modalità per l’ammissibilità a sanatoria di tutte le tipologie di abuso edilizio di cui all’allegato 1, postula l’applicabilità del c.d. terzo condono ai soli abusi formali non in contrasto con la disciplina urbanistica ed alle sole tipologie di abusi minori (cfr. Corte cost., 28 giugno 2004, n. 196). Successivamente la stessa Corte ha puntualizzato che “il riconoscimento alle Regioni del potere di modulare l’ampiezza del condono edilizio in relazione alla quantità e alla tipologia degli abusi sanabili, ferma restando la spettanza al legislatore statale della potestà di individuare la portata massima del condono edilizio straordinario, attraverso la definizione sia delle opere abusive non suscettibili di sanatoria, sia del limite temporale massimo di realizzazione delle opere condonabili, sia delle volumetrie massime sanabili” (cfr. Corte cost., 11 febbraio 2005, n. 71). Inoltre è opportuno notare che la legge contempla globalmente tutti gli immobili insistenti in area sottoposta a vincoli, tant’è che la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di disposizioni regionali che, nell’ampliare l’area degli interventi ammessi a sanatoria, attribuiva effetto impeditivo ai soli vincoli comportanti inedificabilità assoluta (cfr. Corte cost. 27 febbraio 2009, n. 54; Idem, 6 novembre 2009, n. 290). D’altronde, le altre disposizioni che si sono sottratte alla declaratoria di incostituzionalità, sono rimaste indenni in quanto interpretate in senso coerente alla normativa statale che, col citato art. 32, comma 27, lett d, estende la salvaguardia anche ai vincoli di inedificabilità relativa (cfr. Corte Cost., 10 febbraio 2006, n. 49). Infine, la Corte Costituzionale (cfr. ord. 8 maggio 2009, n. 150) ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 26, lett. a, del decreto legge n. 269/2003 nella parte in cui prevede la condonabilità limitata ai soli abusi minori nelle zone sottoposte a vincolo di cui all’art. 32 della legge n. 47/1985, all’epoca sollevata sulla base della pretesa erroneità, ritenuta dal giudice remittente … dell’interpretazione costantemente seguita dalla giurisprudenza della Corte di cassazione (da ultimo confermata cfr. Cass. pen., sez. III, 26 marzo 2012, n. 11603). … sussiste una ragione sostanziale già di per sé sufficiente a giustificare il diniego di condono per gli interventi abusivi in questione i quali, realizzati in zona sottoposta a vincolo paesaggistico-ambientale, hanno comunque comportato un aumento volumetrico» (TAR Campania, Napoli, sez. III, 21 giugno 2019, n. 3480; 3 gennaio 2020, n. 30; 4 marzo 2020 , n. 1005; 6 aprile 2020, n. 1329; 6 maggio 2020, n. 1652; 12 maggio 2020, n. 1739);

Considerato, ancora, che, stante la natura plurimotivata del pronunciato diniego di sanatoria, le svolte considerazioni sfavorevoli alle tesi attoree inducono a predicare l’inammissibilità delle censure appuntate avverso le ulteriori ragioni reiettive dell’istanza di condono prot. n. 17903 del 30.3.2004; ciò, in quanto, in presenza di un atto sorretto da autonome ragioni giuridico-fattuali, è bastevole l’acclarata legittimità anche di una sola delle argomentazioni poste a suo fondamento, perché l’atto medesimo possa resistere al richiesto sindacato giurisdizionale su di esso, con conseguente assorbimento – per carenza di interesse e per finalità di economia processuale – delle censure dirette a contestare ogni ulteriore nucleo motivazionale della determinazione avversata;

Considerato, infine, con riguardo all’impianto censorio rivolto all’ordinanza di demolizione n. 143 del 6.8.2020, che:

– le osservazioni dianzi formulate circa la sostanziale natura di nuova costruzione assunta dal locale controverso per effetto del radicale e genetico stravolgimento del progetto approvato con l’autorizzazione edilizia n. 257 del 16.5.2001 inducono a dequotare l’ordine di doglianze secondo cui non ricorrerebbe, nella specie, alcuna delle ipotesi sanzionate dall’art. 31 del d.p.r. n. 380/2001, bensì, al più, l’ipotesi della ristrutturazione edilizia ‘pesante’, sanzionata dal successivo art. 33, cosicché la demolizione non sarebbe stata intimabile nei termini individuati dall’amministrazione intimata (con contestuale comminatoria di acquisizione gratuita al patrimonio comunale in caso di inottemperanza);

– anche a voler assecondare la tesi attorea, in base alla quale l’intervento controverso sarebbe riconducibile all’orbita della ristrutturazione edilizia, resterebbe, in ogni caso, legittimamente applicabile l’ingiunta sanzione demolitoria;

– in questo senso, occorre rimarcare che la regola immanente all’art. 33 del d.p.r. n. 380/2001 (interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità) è rappresentata dall’operatività della misura ripristinatoria, la cui adozione non richiede all’amministrazione un particolare aggravio valutativo-motivazionale;

– ed invero, nell’ipotesi di ristrutturazione edilizia abusiva, il modello legale tipico e vincolato di atto sanzionatorio è proprio quello dell’ingiunzione di demolizione, in quanto unico atto idoneo a soddisfare pienamente l’interesse pubblico risiedente, in re ipsa, nella rimozione dell’illecito e nella ricostituzione dell’assetto urbanistico-edilizio violato; cosicché, ove l’iter repressivo si incanali nell’alveo naturale della riduzione in pristino, nessun onere di apposita motivazione ricade sull’amministrazione procedente, il cui operato è obbligatoriamente scandito dallo stesso legislatore (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 30 agosto 2002, n. 4374; TAR Campania, Napoli, sez. IV, 3 giugno 2003, n. 7107; 2 dicembre 2003, n. 15208; 13 novembre 2006, n. 9463; 8 giugno 2007, n. 6038; TAR Sicilia, Palermo, sez. I, 2 agosto 2007, n. 1877; TAR Lazio, Roma, sez. I, 21 luglio 2009, n. 7285); mentre, solo in caso di oggettiva impossibilità di attuare la misura ordinaria della riduzione in pristino, si rende applicabile la misura residuale della sanzione pecuniaria, occorrendo, però, in siffatta evenienza, giustificare la deroga alla soluzione di ‘tutela in forma specifica’ privilegiata dal legislatore mediante una congrua motivazione che dia adeguatamente conto delle valutazioni effettuate (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II, 24 settembre 2002, n. 8106);

– né vale obiettare che l’impugnata ordinanza di demolizione n. 143 del 6.8.2020 reca anche la comminatoria di acquisizione gratuita al patrimonio comunale, non contemplata dall’art. 33 del d.p.r. n. 380/2001, perché siffatta avvertenza è, di per sé, insuscettibile di arrecare una immediata lesione del bene della vita (conservazione della proprietà dell’area di intervento) e, quindi, di generare un interesse concreto e attuale ad essa oppositivo, che resterebbe, comunque, giurisdizionalmente tutelabile nell’eventualità di inottemperanza all’ingiunzione demolitoria e di susseguente emanazione dell’atto di accertamento ablatorio da parte dell’ente locale;

– quanto alle censure rivolte alle ulteriori contestazioni di illeciti edilizi sopravvenuti all’istanza di condono prot. n. 17903 del 30.3.2004, deve osservarsi, da un lato, che, per ammissione dello stesso ricorrente, la tettoia esterna per il riparo delle auto commerciate e il container adibito ad ufficio per l’esercizio di vendita insediato in loco sono state rimosse prima dell’emissione ordinanza di demolizione n. 143 del 6.8.2020, cosicché è predicabile, in parte qua, la carenza di interesse ad avversare quest’ultima; e, d’altro lato, a ripudio delle proposizioni attoree, che le altre opere in difformità (diversa distribuzione degli spazi interni del piano interrato, con creazione di ambienti ulteriori rispetto all’assentito vano wc; difformità della recinzione, della porta di accesso al garage e della localizzazione del passo carrabile rispetto alle prescrizioni esecutive impartite con l’autorizzazione edilizia n. 257 del 16.5.2001), per la loro inscindibile interrelazione col manufatto risultato abusivo e insanabile, non potevano non ripetere le caratteristiche di illegittimità di quest’ultimo;

– l’ordinanza di demolizione, per la sua natura di atto urgente dovuto e rigorosamente vincolato, non implicante valutazioni discrezionali, ma risolventesi in meri accertamenti tecnici, fondato, cioè, su un presupposto di fatto rientrante nella sfera di controllo del soggetto interessato, non richiede apporti partecipativi di quest’ultimo, il quale, in relazione alla disciplina tipizzata dei procedimenti repressivi, contemplante la preventiva contestazione dell’abuso, ai fini del ripristino di sua iniziativa dell’originario assetto dei luoghi, viene, in ogni caso, posto in condizione di interloquire con l’amministrazione prima di ogni definitiva statuizione di rimozione d’ufficio delle opere abusive; tanto più che, in relazione ad una simile tipologia provvedimentale, può trovare applicazione l’art. 21 octies della l. n. 241/1990, che statuisce la non annullabilità dell’atto adottato in violazione delle norme sul procedimento, qualora, per la sua natura vincolata, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello concretamente enucleato (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, n. 6071/2012; sez. VI, n. 2873/2013; n. 4075/2013; sez. V, n. 3438/2014; sez. III, n. 2411/2015; sez. VI, n. 3620/2016; TAR Campania, Napoli, sez. III, n. 107/2015; Salerno, sez. II, n. 69/2015; Napoli, sez. IV, n. 685/2015; sez. II, n. 1534/2015; Salerno, sez. II, n. 664/2015; n. 1036/2015; Napoli, sez. III, n. 4392/2015; n. 4968/2015; sez. VIII, n. 1767/2016; sez. IV, n. 4495/2016; n. 4574/2016; sez. III, n. 121/2017; n. 677/2017; sez. VI, n. 995/2017; sez. IV, n. 2320/2017; sez. VIII, n. 4122/2017; sez. III, n. 5967/2017; Salerno, sez. II, n. 24/2018; Napoli, sez. III, n. 898/2018; n. 1093/2018; sez. IV, n. 1434/2018; n. 1719/2018; n. 2241/2018; TAR Lazio, Roma, sez. I, n. 2098/2015; n. 10829/2015; n. 10957/2015; n. 2588/2016; TAR Puglia, Lecce, sez. III, n. 1708/2016; n. 1552/2017);

Ritenuto, in conclusione, che;

– stanti i ravvisati profili di infondatezza e di connessa inammissibilità delle censure proposte, il ricorso in epigrafe va, nel complesso, respinto;

– quanto alle spese di lite, appare equo disporne l’integrale compensazione tra le parti;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Salerno nella camera di consiglio del giorno 14 ottobre 2020 con l’intervento dei magistrati:

Nicola Durante, Presidente

Olindo Di Popolo, Consigliere, Estensore

Igor Nobile, Referendario

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

Olindo Di Popolo Nicola Durante

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