09/12/2020 – L’amministrazione difensiva: è ora di finirla!

L’articolo di Gian Antonio Stella pubblicato lo scorso 25 novembre su “Il Corriere della Sera”, intitolato “Una burocrazia solo difensiva”, mi offre lo spunto per condividere alcune riflessioni.

I problemi denunciati sono molti, in particolare:

  1. i nostri dipendenti pubblici sono i più vecchi d’Europa, hanno un’età media di quasi 55 anni
  2. la pubblica amministrazione non è pronta ad incassare i 500 miliardi dell’Europa, serve una svolta
  3. la PA è vecchia e incapace di attirare giovani talenti
  4. chi ci lavora non è formato
  5. le professionalità sono molto sbilanciate verso profili giuridici
  6. non c’è propensione all’innovazione
  7. la PA è incentrata sul rispetto formale dei processi, invece di ragionare sui risultati per cambiare in meglio la vita di cittadini e imprese
  8. non è una questione di numero di dipendenti pubblici, inferiore ad altri Stati europei, bensì di efficienza e produttività
  9. la spesa per la formazione del personale è misera
  10. la pubblica amministrazione deve diventare una priorità, per tutti.

Ed ecco le priorità:

Attrarre i migliori giovani

Stare alla larga dai “vizi clientelari o burocratici”

Reclutare più architetti e sociologi

Stop ai giuristi nella PA

Stop al pigro tran tran quotidiano: occorre individuare chiare missioni strategiche per valutare i risultati

In definitiva: “serve un contrasto alla burocrazia difensiva, quella modalità di comportamento guidata dalla tutela dei rischi connessi all’esercizio delle responsabilità, che porta a aumentare complessità e ritardi nei processi e nei circuiti decisionali, scoraggiando fortemente l’innovazione”.

In sostanza, il pubblico burocrate starebbe lì per rallentare, complicare, stratificare, aggravare ogni sorta di istanza e richiesta dei cittadini, in modo da scongiurare il più possibile le sue responsabilità legate a modi, tempi e risultati.

L’ansia da prestazione politica permea ormai da anni il dibattito pubblico, anche su problemi molto seri come questo.

Chi scrive è un burocrate pubblico da quasi 24 anni.

Ormai queste polemiche, queste “boutades” populiste e demagogiche riesplodono ciclicamente, almeno una volta l’anno.

Dice bene il collega Luigi Oliveri nel suo intervento sul blog: l’attacco alla burocrazia difensiva (presunta) deriva da una (sicura) POLITICA DIFENSIVA, che produce analisi e accuse, senza minimamente curarsi delle PROPRIE responsabilità.

Quindi rilancio.

Io vedo altri problemi ancora, ai quali si sta timidamente, occorre riconoscerlo, mettendo mano.

I concorsi pubblici. Prova preselettiva, due scritti, pratico e/o teorico pratico, un orale, lingua inglese, informatica.

Ma un imprenditore, un datore di lavoro privato ti assume in questo modo?

Lasciamo perdere le assunzioni basate su conoscenza e raccomandazione.

Ti presenti a un colloquio conoscitivo, psicoattitudinale.

Vogliono sapere chi sei, che passioni hai, che motivazione e che interessi ti portano a cercare QUEL lavoro, naturalmente anche percorso di studi, competenze, aspirazioni, progetti di vita.

Le conoscenze nozionistiche e astratte dei concorsi pubblici sono del tutto inidonee a selezionare ed “attrarre i migliori giovani”, questo è ciò che penso.

Se sai o non sai i vizi dell’atto amministrativo, che differenza VERA fa?

Se conosci le competenze del Consiglio comunale o del Sindaco quale ufficiale di Governo, oppure se non le conosci, che differenza farà?

La differenza sta nell’approccio. Nella curiosità, nella voglia di imparare, con modestia e pazienza, di apprendere, di approfondire, di non fermarsi di fronte al primo ostacolo, al primo problema. 

La sete di conoscere, studiare, di sviscerare la questione, di arrivare a dare veramente un servizio al cliente, all’utente.

Senza difendersi da nulla.

O forse, difendendosi dal giano bifronte della politica, dai voltagabbana facili, da chi insegue il consenso e la marchetta elettorale, magari trincerando sempre la propria incapacità a governare ed organizzare dietro al burocrate, all’ufficio, al dirigente “difensivo”.

Questo è uno dei punti.

Stare alla larga dai “vizi clientelari o burocratici”: ma di chi? Dei politici di turno? O del corpo impiegatizio?

I clienti ce li hanno i politici a tutti i livelli. Devono farsi votare alle elezioni per conservare poltrone e reputazioni.

I clienti della PA sono i cittadini, tutti uguali.

Secondo l’art. 98 della nostra Costituzione, i pubblici impiegati sono al servizio ESCLUSIVO “della NAZIONE”, non della politica.

Spoils system a parte: che, infatti, si cerca di incrementare.

Quali vizi, quindi? Fare l’interesse del politico in carica? Ma non è un vizio, è un obbligo.

La discrezionalità della politica è spesso intorbidita, scompare nell’interesse pubblico. I contributi economici, ad esempio.

A chi si assegnano? Con che criteri? Su quali basi e con quali finalità?

Dovremmo scriverlo in un regolamento, che tutte le PA hanno; di fatto una scatola vuota, in cui si elencano settori e modalità di contribuzione talmente generici che puoi farci stare di tutto, a seconda dell’orientamento e delle spinte politiche del momento.

Poi: stop all’assunzione di giuristi, abbiamo bisogno di tecnici, architetti, sociologi, ecc.

Certo, ma io dico: avete mai letto una legge di bilancio, un DL “semplificazioni”, un Piano Anticorruzione ANAC?

Se non sei un giurista, se non hai una base, sono incomprensibili.

Le leggi di bilancio, poi….una barzelletta di linguaggio chiaro e comprensibile a tutti.

E le circolari interpretative, le note di chiarimento, le FAQ sui DPCM scritte dai giuristi ministeriali?

Quindi: parliamo come mangiamo; allora potremo rinunciare ad avvocati, azzeccagarbugli, ecc.

Compreso chi scrive, mezzo giurista e mezzo tecnico.

E infine, la boutade più bella, un luogo talmente comune da non suscitare più sensazioni di sorta: “Stop al pigro tran tran quotidiano: occorre individuare chiare missioni strategiche per valutare i risultati“.

In che modo? Aspettando le linee guida della Funzione Pubblica, Riformattiva, guardando il portale della Performance, i fabbisogni standard, SOSE, il PEG, il DUP, il POLA, il piano della performance?

Ma sapete qual’è lo stipendio di un laureato di categoria D neoassunto in un Comune? 1.300 € al mese circa!

Vogliamo o pensiamo di poter avere superuomini o supermanager al nostro servizio per quel compenso mensile?

Quindi, quale pigro tran tran?

Quello di ripetere ogni giorno le stesse attività?

Ma se devo liquidare fatture da mattina a sera, non potrò avere creatività, missioni strategiche e obiettivi.

Se faccio l’operaio del verde, non potrò tagliare più di tanta erba o fronde ogni giorno, in un tran tran ordinario direi.

Bisogna provare per capire.

Suggerisco, per chiudere e non fare solo colui che critica senza proporre:

  • formazione seria e obbligatoria per progressioni economiche e di carriera (chissà i sindacati che diranno…)
  • scambio obbligatorio di dipendenti da un Ente a un altro, per periodi significativi: rotazione effettiva, perdita di controllo del politico sul funzionario compiacente, scambio di conoscenze e competenze
  • se voglio attirare i giovani devo pagarli di più; poi se non sei in grado di lavorare, possiamo anche licenziare, parola “proibita” nella PA
  • per l’età media, non c’è rimedio: pensionate i sessantenni, o moriranno lavorando, mentre si difenderanno dalla burocrazia
  • spazzate via orpelli, sovrastrutture, controllori di nessuno: CIG, CUP, CUI, BDAP, SOSE, COFOG, SIOPE, SIOPE+, ecc. ecc. ecc. Sono mai serviti a qualcosa? Forse, come sempre, a cambiare tutto per non cambiare niente, il vizio italiano che annega nella nostra interessante Storia.

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