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Consiglio di Stato, Sez. V, 27/11/2020 n. 7462

La sentenza

La quinta sez. del Consiglio di Stato con la sentenza 27 novembre 2020, n. 7462 (estensore Prosperi) delimita l’ambito di applicazione della disposizione dell’art. 53, comma 16 ter, del d.lgs. 165 del 2001 (TUPI), relativo al periodo di raffreddamento rivolto a coloro che hanno ricoperto ruoli decisionali, non potendo nei tre anni successivi acquisire utilità dai destinatari del potere decisionale, espresso nelle funzioni ricoperte nei precedenti tre anni: un divieto di assumere posizioni di lavoro autonome o subordinato, il c.d. pantouflage, affidate dai destinatari dell’azione amministrativa.

L’istituto mira ad evitare che determinate posizioni lavorative possano essere anche solo astrattamente fonti di possibili fenomeni corruttivi (o, più in generale, di traffici di influenze e conflitti di interessi, anche ad effetti differiti, ovvero latu sensu intesa, c.d. maladministration), limitando per un tempo ragionevole, secondo la scelta insindacabile del legislatore, l’autonomia negoziale del lavoratore dopo la cessazione del rapporto di lavoro: si tratta di una finalità a presidio dell’interesse pubblico generale, che strutturalmente distingue il divieto in questione rispetto al patto di non concorrenza (di cui all’art. 2125 Cod. civ.).

Si potrebbe affermare, con pagana fantasia, che la violazione del revolving doors sia assimilabile ad un reflusso di condotte atipiche, un “tradimento della fiducia”, in un dissociato binomio tra “imparzialità” dell’agere amministrativo e un (pre)legame insano con il beneficiario del bene della vita, alterato nelle relazioni (cura dell’interesse pubblico), con un esercizio della discrezionalità non neutra ma proiettata ad un ristoro prossimo: un’unione che non potrà avvenire (sulle corde simboliche del mito di BIBLIDE), affetta da nullità, ripudiata in tragedia nei paradigmi di quella greca (divieto di contrarre con la P.A.) e fonte di pregiudizio (restituzione dell’indebito).

La norma

La norma, introdotta dall’art. 1, comma 42, lettera l) della legge n. 190/2012, Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione, impone:

· ai dipendenti pubblici[1] che, «negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto», da includersi – oltre ai contratti di forniture, servizi e lavori, con relativi atti prodromici – anche gli atti di autorizzazione, concessione, sovvenzione, sussidio, vantaggio economico di qualunque genere, del proprio datore pubblico non possono svolgere (una limitazione post attività lavorativa), «nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego», qualunque sia la causa di cessazione (e, quindi, anche in caso di collocamento in quiescenza per raggiungimento dei requisiti di accesso alla pensione), «attività lavorativa o professionale», da intendersi in modo estensivo sia lavoro autonomo o subordinato, «presso i soggetti privati destinatari dell’attività della pubblica amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri» (nei soggetti privati vanno ricompresi anche gli organismi/società partecipate o in controllo pubblico);

· ai contratti conclusi e agli incarichi conferiti la sanzione della nullità;

· un ulteriore sanzione, alla parte privata che ha sottoscritto il negozio, «di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni»;

· un «obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi riferiti».

Giova precisare che la nozione di dipendente comprende il perimetro di coloro che sono:

· titolari del potere (come nel caso dei dirigenti degli uffici competenti all’emanazione dei provvedimenti amministrativi per conto dell’Amministrazione e perfezionano negozi giuridici attraverso la stipula di contratti in rappresentanza giuridica ed economica dell’ente);

· dipendenti che pur non essendo titolari di poteri negoziali, collaborano al loro esercizio svolgendo istruttorie (pareri, certificazioni, perizie) che incidono in maniera determinante sul contenuto del provvedimento finale, ancorché redatto e sottoscritto dal funzionario competente (in modo similare all’operatività del conflitto di interessi, da cui va annoverata questa specifica categoria)[2].

Rischio e misure di prevenzione della corruzione

Il rischio valutato dalla norma risulta legato:

· da una parte, alla condotta del dipendente durante il periodo di servizio: scoraggiare un comportamento amministrativo improprio, il quale possa condurre artatamente a precostituire delle situazioni lavorative vantaggiose (successive) e così sfruttare a proprio fine (alias abuso della funzione) la sua posizione e il suo potere all’interno dell’Amministrazione per ottenere un lavoro per lui attraente presso l’impresa o il soggetto privato con cui entra in contatto: una limitazione della libertà negoziale del dipendente per un determinato periodo successivo alla cessazione del rapporto per eliminare la “convenienza” di accordi fraudolenti[3];

· dall’altra parte, a ridurre il rischio che soggetti privati possano esercitare pressioni o condizionamenti sullo svolgimento dei compiti istituzionali, prospettando al dipendente di un’Amministrazione opportunità di assunzione o incarichi una volta cessato dal servizio.

Nel PNA 2019, l’ANAC invita le Amministrazioni all’adozione di specifiche misure da inserire nei PTPCT per prevenire il rischio:

· l’inserimento di apposite clausole negli atti di assunzione del personale che prevedono specificamente il divieto di pantouflage;

· la previsione di una dichiarazione da sottoscrivere al momento della cessazione dal servizio o dall’incarico, con cui il dipendente si impegna al rispetto del divieto di pantouflage, allo scopo di evitare eventuali contestazioni in ordine alla conoscibilità della norma;

· la previsione nei bandi di gara o negli atti prodromici agli affidamenti di contratti pubblici dell’obbligo per l’operatore economico concorrente di dichiarare di non avere stipulato contratti di lavoro o comunque attribuito incarichi a ex dipendenti pubblici in violazione del predetto divieto, in conformità a quanto previsto nei bandi-tipo adottati dall’Autorità, ai sensi dell’art. 71 del d.lgs. n. 50/2016.

L’assenza della dichiarazione (da compilare nel documento di gara unico europeo, DGUE) concernente il divieto di c.d. pantouflage in sede di gara, anche a seguito di soccorso istruttorio, comporta l’esclusione, essendo diretto a riscontrare l’assenza di cause di esclusione dalla procedura, ai sensi dell’articolo 80 del d.lgs. n. 50/2016: tale dichiarazione è da ritenere effettivamente essenziale e non desumibile aliunde[4].

Occorre riferire che:

· il secondo comma, lettera a) dell’art. 2 bis del d.lgs. n. 33/2013, Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, dispone che «agli enti pubblici economici» si applica «in quanto compatibile» la disciplina del cit. decreto per le “pubbliche amministrazioni” di cui all’articolo 1, comma 2 del d.lgs. n. 165/2001;

· le linee guida ANAC, Nuove linee guida per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici, approvate con determinazione n. 1134 del 8 novembre 2017, precisano che le misure di prevenzione della corruzione contenute nei PNA (definito dalla legge, come atto di indirizzo), comprese quelle in materia di trasparenza, devono essere recepite anche dagli enti pubblici economici (punto 3.5., pag. 43), «considerata la natura pubblicistica dell’organizzazione e la sicura prevalenza delle attività di pubblico interesse svolte, anche se in regime di diritto privato, gli enti pubblici economici sono tenuti a: 1. adottare obbligatoriamente un documento unitario contenente le misure di prevenzione della corruzione proprie del “modello 231” e le misure integrative previste dal co. 2 – bis dell’art. 1 della legge n. 190 del 2012»;

· la disciplina in materia di prevenzione della corruzione, nella quale rientra il pantouflage, deve essere inserita – ambito soggettivo di applicazione – nel c.d. modello 231, come stabilito dal Consiglio di Stato[5], dove espressamente richiama l’art. 1, comma 2 bis, della legge n. 190/2012 riferito alle articolate disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità i cui ambiti di soggetti rientrano i «soggetti di cui all’articolo 2 bis, comma 2, del d.lgs. 33/2013, ai fini dell’adozione di misure di prevenzione della corruzione integrative di quelle adottate ai sensi del d.lgs. 231/2001 (c.d. modello 231, vale a dire, secondo gli artt. 5 e 6 di detto d.lgs., adozione di modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati e affidamento del compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli e di curare il loro aggiornamento a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo)».

Nelle linee guida ANAC «in materia di Codici di comportamento delle pubbliche amministrazioni», approvate con delibera n. 177 del 18 febbraio 2020, dove è previsto il divieto del conferimento di incarichi a coloro che abbiano svolto funzioni presso amministrazioni (c.d. pantouflage), prevede al punto 7.2., Gli enti pubblici economici, attesa la natura pubblicistica della loro organizzazione, l’obbligo di adottare un PTPCT o, in alternativa, ove abbiano già adottato un “modello 231”, un documento unitario contenente le misure proprie del “modello 231” e le misure integrative di prevenzione della corruzione passiva, ai sensi dell’art. 1, comma 2 bis, della legge n. 190/2012: «gli enti pubblici economici ove abbiano adottato il PTPCT disciplinano all’interno di tale atto anche i doveri di comportamento cui sono tenuti i dipendenti dell’ente. Analogamente, tali doveri sono previsti tra le misure integrative del “modello 231”, ove adottato».

Si tratta di misure che si affiancano ai meccanismi di pre-employment (le c.d. “inconferibilità”, ossia i divieti temporanei di accesso alla carica) e di in-employment (le c.d. “incompatibilità”, ossia il cumulo di più cariche) previsti dal decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, finalizzati a sterilizzare possibili conflitti di interesse nell’accesso agli incarichi pubblici[6].

Va aggiunto che sebbene la disposizione non individui espressamente l’Autorità competente a garantire l’esecuzione delle conseguenze sanzionatorie previste della norma stessa – una volta accertata l’effettiva violazione – non può fondatamente dubitarsi che tale potere spetti all’ANAC, all’interno dei suoi poteri in materia di vigilanza che consiste in un potere particolare, assegnato alle Autorità amministrative indipendenti per verificare nell’interesse generale il rispetto delle regole in rapporto al loro settore (regole talora da esse stesse poste) da parte degli operatori pubblici e privati ivi operanti[7].

Il caso

La questione concerne l’indizione di una gara per la concessione in uso di un casone ad uso piccolo bar e area naturalistica per una durata pluriennale (affidamento alla migliore proposta gestionale e prezzo).

La proposta di aggiudicazione (poi aggiudicata) individuava una costituenda a.t.i., al cui interno un soggetto risultava operante da «appena dieci giorni prima rispetto alla scadenza del termine per la presentazione delle offerte…, il cui amministratore unico… era al momento della presentazione dell’offerta dipendente della stazione appaltante addetto alla gestione» proprio dell’area da concessionare; ed, inoltre, «in analoga situazione versava anche uno dei soci» di altro operatore economico «dipendente della stazione appaltante» addetto al medesimo lavoro «al momento della partecipazione alla gara in questione per sua stessa dichiarazione».

 

Veniva rilevato dalla ricorrente (classificatosi secondo) che un componente dell’a.t.i. aveva gestito ininterrottamente per alcuni anni l’area e il centro visitatori (entrambi oggetto della gara) e risultasse, quindi, già concessionaria del compendio immobiliare e affidataria dei connessi servizi a seguito di due distinte gare (seguivano ulteriori vicende, con motivi aggiunti).

La questione di diritto

Il punto focale si concentra sul dato fattuale del rapporto di dipendenza che legava la stazione appaltante e il legale rappresentante e socio dell’aggiudicataria alla data della presentazione dell’offerta.

I soggetti erano dipendenti della stazione appaltante, circostanza non contestata in violazione rispettivamente:

· degli artt. 60 del d.p.r. 3 del 1957, che vieta ai dipendenti pubblici di accettare cariche in società costituite a scopo di lucro in costanza di rapporto di lavoro;

· del Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione, ove si prevedeva il divieto per tutti i dipendenti di instaurare rapporti di lavoro autonomo o subordinato con soggetti privati che siano destinatari di accordi, contratti o provvedimenti con l’Amministrazione di appartenenza per i tre anni successivi alla cessazione del rapporto di lavoro.

Le violazioni concretizzano una palese violazione del principio fondamentale della par condicio tra i partecipanti alla gara.

Il giudice di prime cure sul pantouflage

In punto di diritto si rilevava l’assenza del vincolo del raffreddamento:

· la stazione appaltante – inquadrata in “ente pubblico economico” – non rientrava nella nozione di Amministrazione ricompresa dai vincoli della norma: i dipendenti di un ente pubblico economico non hanno lo status di pubblico dipendente, ai sensi dell’art. 1, comma 1, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (un ente pubblico dedito ad attività esclusivamente o prevalentemente economica, dal carattere puramente imprenditoriale, manifesta la natura privatistica dei rapporti di lavoro dei loro dipendenti, regolata dalle disposizioni del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa)[8];

· il divieto di c.d. pantouflage discendente dal Piano Anticorruzione riguardava esclusivamente i dipendenti che avevano esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle Pubbliche Amministrazioni fra i quali non rientrano gli “enti pubblici economici”.

Codice dei contratti e conflitto di interessi

In primo grado, con gli ulteriori profili sulla legittimità del reinvito e dell’assenza del conflitto di interessi, rileva:

· la rotazione non si applica, in caso di appalto sotto soglia, laddove il nuovo affidamento avvenga tramite procedure ordinarie o comunque aperte al mercato, nelle quali la stazione appaltante, in virtù di regole prestabilite dal Codice dei contratti pubblici, ovvero dalla stessa in caso di indagini di mercato o consultazione di elenchi, non operi alcuna limitazione in ordine al numero di operatori economici tra i quali effettuare la selezione[9];

· in appello si conferma che nelle procedure negoziate il principio di rotazione è inapplicabile, allorché la stazione appaltante decida di selezionare l’operatore economico attraverso una procedura aperta che non preveda una preventiva limitazione dei partecipanti attraverso inviti[10];

· la nozione di conflitto di interessi, ex art. 42, comma 2, del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, cui rimanda il successivo art. 80, comma 5, lett. d), che ne fa una causa di esclusione dell’operatore economico richiede la sussistenza in capo ai componenti la commissione – in via diretta o indiretta – di “un interesse finanziario, economico o altro interesse personale”, ovvero tutte quelle situazioni in grado di compromettere o influenzare, anche solo potenzialmente, l’imparzialità richiesta nell’esercizio del potere decisionale, non essendo sufficiente evocare il mero rapporto di “colleganza”, ovvero di “conoscenza”, in quanto espressione di un approccio congetturale: va dimostrata nel concreto con un onere probatorio circostanziato.

 

Sotto questo ultimo aspetto, affinché sussista il conseguente, indebito vantaggio competitivo conseguito, in violazione dei principi di imparzialità, buon andamento e par condicio competitorum[11], deve sussistere l’onere documentale da presentare in giudizio, per trovare applicazione la misura demolitoria, che, secondo la regola generale, colpisce il provvedimento viziato dal conflitto di interessi[12].

 

La decisione del Consiglio di Stato

 

Il giudice di secondo cure analizza la situazione degli ex dipendenti dell’ente pubblico economico e dei relativi divieti, di cui agli artt. 60 del d.P.R. n. 3/1957 e 53, comma 16 ter del d.lgs. n. 165/2011, come modificato dall’art. 1, comma 42 della legge 190 del 2012, rinforzato dall’art. 21, comma 1 del d.lgs. n. 39/2013, ritenendo la censura infondata sulla base della lettura delle norme secondo il principio in claris non fit interpretatio.

 

Si annota che il divieto di pantouflage, dal termine usato per gli alti funzionari pubblici francesi che ottengono ad un certo punto della carriera lavori da soggetti privati, ha valore per i dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle Pubbliche Amministrazioni, ora anche per gli enti privati, dovendo verificare tali condizioni concretamente e non in via astratta: i cit. dipendenti ricoprivano il ruolo di «“operai ex qualificati”, addetti a compiti esecutivi variabili e non complessi e comunque di livello inferiore rispetto alle mansioni proprie di operaio ex qualificato», escludendo ab origine l’esercizio di quei poteri autoritativi o negoziali che impediscono assunzioni o incarichi da parte di soggetti privati.

 

Sul presunto conflitto di interessi, in relazione alla situazione di colleganza da poco dismessa tra i rappresentanti dell’operatore economico ed i componenti della commissione aggiudicatrice, che avrebbe permesso un giudizio non cristallino, stante l’assenza di sub criteri di scelta del contraente definiti dal bando, nel dichiarare l’infondatezza del motivo rileva l’esigenza di verificare il conflitto di interessi non in via astratta ma su situazioni concrete, atteso che non è stato nemmeno dimostrato un pregresso rapporto con i membri della commissione di gara: mancano, in termini diversi, un qualche indizio che possa dimostrare la sussistenza di un interesse comune tra concorrenti e commissari.

 

Il conflitto di interessi esige una base fattuale di riferimento, ovvero la presenza di circostanza verificabili visto che nell’affidamento di una determinata attività ad un funzionario che, contestualmente, sia anche titolare di interessi personali o di terzi non può essere predicata in via astratta, dovendo essere accertata in concreto sulla base di prove specifiche[13].

 

Neppure si può desumere la presenza di un conflitto di interessi dall’assenza di sub criteri (non essendo un obbligo specifico di qualsiasi gara e non potendosi determinare dalla commissione di gara ma dalla stazione appaltante), anzi il profilo di censura appare inammissibile poiché un suo accoglimento porterebbe all’annullamento dell’intera gara, con preclusione agli stessi interessi del secondo classificato.

 

Il divieto di pantouflage e il conflitto di interessi va dimostrato nel concreto, con l’allegazione delle prove o di indizi certi.

 

 

 

[1] Si richiama l’art. 21 del d.lgs. n. 39/2013, Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell’articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190, a tenore del quale «Ai soli fini dell’applicazione dei divieti di cui al comma 16 – ter dell’articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, sono considerati dipendenti delle pubbliche amministrazioni anche i soggetti titolari di uno degli incarichi di cui al presente decreto, ivi compresi i soggetti esterni con i quali l’amministrazione, l’ente pubblico o l’ente di diritto privato in controllo pubblico stabilisce un rapporto di lavoro, subordinato o autonomo. Tali divieti si applicano a far data dalla cessazione dell’incarico». Anche i dipendenti degli enti pubblici economici, atteso che il d.lgs. n. 39/2013 non fa distinzione fra le due tipologie di enti, Cons. Stato, sez. V, 11 gennaio 2018, n. 126.

 

[2] Il punto 4.1. del PNA 2019, adottato con deliberazione ANAC n. 1064 del 13 novembre 2019, declina “il conflitto di interessi” su diversi profili quali: «l’astensione del dipendente in caso di conflitto di interessi; le ipotesi di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso enti privati in controllo pubblico, disciplinate dal d.lgs. 8 aprile 2013, n. 39 (cfr. infra § 1.5. “Le inconferibilità/incompatibilità di incarichi”); l’adozione dei codici di comportamento (cfr. infra § 1.3. “I doveri di comportamento”); il divieto di pantouflage (cfr. infra § 1.8. “Divieti post – employment”); l’autorizzazione a svolgere incarichi extra istituzionali (cfr. infra § 1.7. “Gli incarichi extraistituzionali”); l’affidamento di incarichi a soggetti esterni in qualità di consulenti ai sensi dell’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001 (cfr. infra § 1.7. “Gli incarichi extraistituzionali”)».

 

[3] ANAC, Delibera n. 88 del 8 febbraio 2017, «Ministero dello Sviluppo Economico -ambito oggettivo di applicazione art. 53, comma 16 – ter d.lgs. 165/2001 – richiesta di parere». Cfr. T.A.R. Sicilia, Catania, sez. III, 24 novembre 2017, n. 2737.

 

[4] T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 9 agosto 2019, n. 10499.

 

[5] Cons. Stato, Adunanza della Commissione speciale del 20 aprile 2017, Numero Affare 00650/2017 ad oggetto «Autorità Nazionale Anticorruzione. Schema di Linee guida in tema di “Aggiornamento delle Linee guida per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici”».

 

[6] ANAC, Atto di segnalazione n. 6 del 27 maggio 2020 «concernente proposte di modifica alla disciplina del pantouflage di cui all’art. 53, comma 16 ter, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (“Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”)».

 

[7] Cons. Stato, sez. V, 29 ottobre 2019, n. 7411.

 

[8] Cfr. Corte cost., 19 aprile 2019, n. 100, riafferma «un consolidato ed univoco indirizzo della giurisprudenza civile, il rapporto tra enti pubblici economici e i propri dipendenti non può che assumere natura privatistica, in quanto l’art. 2093 del codice civile, «con l’estendere lo stato giuridico degli impiegati privati ai dipendenti degli enti pubblici economici, costituisce prova sufficiente della natura del rapporto, non essendo consentito attribuire ad una categoria di dipendenti lo stato giuridico dei dipendenti delle imprese private e nello stesso tempo conservare al relativo rapporto di impiego il carattere ed il contenuto di un rapporto di pubblico impiego» (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 1° ottobre 2003, n. 14672)».

[9] Cfr. ANAC, delibera n. 206 del 1° marzo 2018, punto 3.6, «Aggiornamento al decreto legislativo 19 aprile 2017, n. 56 delle Linee guida n. 4, di attuazione del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50».

[10] Cons. Stato, sez. V, 27 aprile 2020, n. 2655.

[11] Cons. Stato, sez. V, 12 settembre 2019, n. 6150.

[12] Cons. Stato, sez. V, 28 ottobre 2019, n. 7389. In presenza dell’interesse rilevante, per l’insorgenza del conflitto, la norma opera indipendentemente dal concretizzarsi di un vantaggio, Cons. Stato, sez. V, 11 luglio 2017, n. 3415 e 14 maggio 2018, n. 2853; sez. III, 2 aprile 2014, n. 1.

[13] Cons. Stato, sez. V, 6 maggio 2020, n. 2863 e 17 aprile 2019, n. 2511.

ALLEGATO:

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