03/08/2020 – L’anagrafe è uguale per tutti – Discriminatorio negare l’iscrizione ai richiedenti asilo

Le motivazioni con cui la Consulta ha dichiarato illegittimo l’art.13 del decreto Salvini
L’anagrafe è uguale per tutti – Discriminatorio negare l’iscrizione ai richiedenti asilo
a cura di Francesco Cerisano

Discriminatorio e controproducente. Questo in sintesi il giudizio della Consulta sull’art.13 del primo decreto legge sicurezza (dl n.113/2018, cosiddetto decreto Salvini), dichiarato incostituzionale con la sentenza n.186/2020 (redattrice Daria de Pretis) di cui la Corte ha depositato ieri le motivazioni. Secondo i giudici costituzionali, l’esclusione dei richiedenti asilo dall’iscrizione anagrafica, rende costoro sconosciuti ai comuni e invece di aumentare il livello di sicurezza pubblica, finisce col limitare le capacita di controllo e di monitoraggio su persone che soggiornano regolarmente nel territorio statale, anche per lungo tempo, in attesa della decisione sulla loro richiesta di asilo.

Inoltre, negare l’iscrizione all’anagrafe a chi dimora abitualmente in Italia significa trattare in modo differenziato e indubbiamente peggiorativo, «senza una ragionevole giustificazione», una particolare categoria di stranieri, ledendo la «pari dignità sociale» che l’art.3 della Costituzione riconosce alla persona in quanto tale, a prescindere dal suo status e dal grado di stabilità della sua permanenza regolare nel territorio italiano.
A sollevare le questione di legittimità sono stati i Tribunali di Milano, Ancona e Salerno, aditi da stranieri richiedenti asilo cui era stata negata l’iscrizione anagrafica. I tre tribunali hanno puntato il dito contro l’art.a) dell’articolo 13 che da un lato prevede che il permesso di soggiorno costituisca documento di riconoscimento e dall’altro nega che esso possa legittimare la richiesta di iscrizione anagrafica. La Consulta non ha aderito alla giurisprudenza di numerosi tribunali italiani (Firenze, Bologna, Genova, Lecce, Parma e Roma) che, facendo leva sull’ambiguità della norma, hanno negato che l’art.13 del dl (voluto dall’ex ministro dell’interno Matteo Salvini) precludesse l’iscrizione anagrafica, ritenendo piuttosto che esso si limitasse a precisare che il possesso del solo permesso di soggiorno per richiesta di asilo non fosse sufficiente per ottenere l’iscrizione all’anagrafe.
La Corte costituzionale ha invece accolto l’opposta interpretazione del tribunale di Milano e degli altri tribunali rimettenti (Ancona e Salerno) secondo cui la norma incriminata precludeva l’iscrizione anagrafica degli stranieri richiedenti asilo. Tra le varie censure sollevate dai tribunali di Milano, Ancona e Salerno, la Consulta, per ragioni di ordine logico, ha innanzitutto esaminato quella relativa all’art.77 Cost., ossia alla supposta mancanza dei requisiti di necessità e urgenza. La Consulta non ha ritenuto il dl Salvini privo dei requisiti tipici di un decreto legge ritenendo invece che la norma impugnata si inserisse «in modo omogeneo nel capo contenente le norme in materia di protezione internazionale». Tuttavia, se la norma del dl passa indenne il vaglio di costituzionalità relativo all’art.77 Cost., lo stesso non può dirsi per le censure relative alla violazione dell’art.3 Cost. che invece sono state ritenute fondate. Secondo la Consulta, l’art.13 del dl è in primo luogo viziato da «irrazionalità intrinseca», in quanto «contraddice la ratio complessiva del decreto-legge». Infatti «a dispetto del dichiarato obiettivo dell’intervento normativo di aumentare il livello di sicurezza pubblica, la norma, impedendo l’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo, finisce con il limitare le capacità di controllo e monitoraggio dell’autorità pubblica sulla popolazione effettivamente residente sul suo territorio, escludendo da essa una categoria di persone, gli stranieri richiedenti asilo, regolarmente soggiornanti nel territorio italiano. E ciò senza che questa esclusione possa ragionevolmente giustificarsi alla luce degli obblighi di registrazione della popolazione residente». In pratica, secondo la Corte, «escludendo dalla registrazione anagrafica persone che invece risiedono sul territorio comunale, la norma accresce, anziché ridurre, i problemi connessi al monitoraggio degli stranieri che soggiornano regolarmente nel territorio statale anche per lungo tempo, in attesa della decisione sulla loro richiesta di asilo».
Ugualmente meritevoli di accoglimento sono, secondo la Corte, le censure relative all’irragionevole disparità di trattamento che la norma determina tra stranieri richiedenti asilo e altre categorie di stranieri legalmente soggiornanti nel territorio statale, oltre che con i cittadini italiani. La violazione del principio di uguaglianza di cui all’art.3 Cost., secondo i giudici delle leggi, è evidente. E l’art.3 Cost. , osserva la Corte, «si riferisce espressamente ai soli cittadini» ma vale pure per lo straniero «quando sono in gioco i diritti fondamentali». Secondo la Consulta, «negando l’iscrizione anagrafica a coloro che hanno la dimora abituale nel territorio italiano la norma censurata riserva un trattamento differenziato e indubbiamente peggiorativo a una particolare categoria di stranieri in assenza di una ragionevole giustificazione».
Per questo, conclude la Consulta, «per la portata e per le conseguenze anche in termini di stigma sociale dell’esclusione operata con la norma, la prospettata lesione dell’art. 3, primo comma, Cost. assume in questo contesto, la specifica valenza di lesione della connessa pari dignità sociale. La norma censurata, privando i richiedenti asilo del riconoscimento giuridico della loro condizione di residenti, incide quindi irragionevolmente sulla «pari dignità sociale», riconosciuta dall’art. 3 Cost. alla persona in quanto tale, a prescindere dal suo status e dal grado di stabilità della sua permanenza regolare nel territorio italiano».

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