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31.07.2020
Ccnl dirigenti locali e potere di avocazione dei segretari comunali: è nullo, come nullo è l’atto di indirizzo del Comitato di settore, sul quale si tenta di fondarne la legittimità.
 
Una delle prassi meno commendevoli della gestione amministrativa consiste nell’adottare provvedimenti attuativi di direttive palesemente illegittime, se non nulle.
 
Nella convinzione che le responsabilità risultino attenuate dalla “copertura politica”, e che le direttive siano un obbligo imperativo, specie se corroborate, nonostante la loro contrarietà a legge, da qualche parere o vaglio di qualcuno, spesso nelle amministrazioni scelte di dubbia opportunità o legittimità si fanno precedere da “direttive” dell’organo di governo. Quasi che l’atto gestionale conseguente risulti, poi, dovuto, vincolato nell’an e nel quomodo.
La giurisprudenza della Corte dei conti trabocca di decisioni che smentiscono totalmente la praticabilità e la correttezza di questo assunto.
L’intero sistema amministrativo, dall’inizio degli anni ‘90, si caratterizza perché applicativo del principio discendente direttamente dall’articolo 97 della Costituzione della separazione delle funzioni di indirizzo politico amministrativo, da quelle di gestione.
L’indirizzo, per altro, non può e non deve avere mai carattere vincolante né nell’an, ma soprattutto nel quomodo.
E’ compito dell’apparato amministrativo accertare sempre:
1) che l’indirizzo ricevuto sia conforme alle norme; il principio di legalità dell’azione amministrativa non ammette che un atto di indirizzo, per quanto proveniente da un organo politico, contrasti con le norme, ma prevalga su di esse;
2) quali sono le modalità tecniche di attuazione, vaglio che spetta in via esclusiva alla dirigenza, che oltre al se attuare l’indirizzo (sforzandosi sempre di cercare comunque la strada per attuarlo: in presenza di dubbi, è corretto un confronto per riformulare l’indirizzo), ha totale responsabilità sul “come” (sul punto, è fondamentale la sentenza della Corte dei Conti – Sezione Giurisdizionale per il Piemonte – 13 aprile 2000, n. 1192/EL/2000): “In altre parole, se nel nostro ordinamento giuridico, è la legge a dare la definizione di interesse pubblico (con una serie articolata di criteri e parametri costituzionali) nei vari campi in cui essa opera e se detto interesse costituisce il fine razionale dell’agire amministrativo (artt.97 e 98 Cost.), spetterà all’Amministrazione procedente definire come tale i canoni di riferimento in base all’imparzialità, all’efficienza ed alla legalità. In dipendenza di ciò, il rapporto che si instaura con la politica (inteso come tale quel momento di “cerniera” di cui poc’anzi si parlava) non può che definire le linee generali ed i collegamenti con l’agire amministrativo, nonché con i singoli momenti di attuazione. L’Amministrazione opera, pertanto, in base a canoni generali i cui limiti ed oggetto di intervento sono stabiliti dalla legge ed all’interno di essa in base alle regole da essa stessa stabilite (poteri di regolamentazione di fonte secondaria)”.
Di fronte ad una direttiva palesemente nulla come quella rivolta dal Comitato di settore all’Aran in merito al Ccnl dell’area dirigenza del comparto Funzioni Locali, invocare una presunta insuperabilità della direttiva stessa come causa sia efficiente, sia legittimante, di clausole contrattuali a loro volta nulle, appare oggettivamente argomentazione debolissima e da respingere.
Attribuire alle direttive dei comitati di settore valore vincolante per la contrattazione è, ovviamente, inimmaginabile. Se così fosse, la contrattazione non avrebbe alcun senso: la direttiva autoprodurrebbe i contenuti del contratto, al quale le organizzazioni sindacali dovrebbero limitarsi ad aderire, senza proferire parola.
Ma, le cose non stanno così. La contrattazione collettiva, a livello nazionale, è vera e piena. La direttiva del Comitato di settore rivolta all’Aran non è la Bibbia, non ha valore vincolante, ma solo orientativo. In sede di contrattazione si possono adottare accordi diversi; e li si dovrebbero porre in essere, soprattutto in presenza di conclamata nullità della direttiva, per palese violazione di legge.
Non pare proprio, allora, che la preintesa del Ccnl possa trovare difesa, circa la nulla previsione del potere di avocazione, sulla presunta necessità di attuare, senza poterla modificare, una direttiva nulla.
Non la vede così l’Unione dei segretari comunali e provinciali. Teoria che ovviamente è lecito esprimere, per quanto erronea.
Come riportato nell’articolo pubblicato il 30 luglio 2020 su Ntplus, a firma di Arturo Bianco, “Segretari, il nodo dell’avocazione divide la categoria” il segretario di detto sindacato ritiene che l’articolo 101 della preintesa, che attribuisce il potere di avocazione ai sindacati,è legittimo “perché esemplifica e descrive le attività di sovrintendenza e coordinamento che sono esplicitamente previste dalla legge”. Infatti, prosegue il segretario dell’Unione “E’ il TUEL a prevedere che il Segretario sovrintende alle funzioni dei dirigenti e ne coordina l’attività, non il contratto”.
Peccato, però, che il Tuel, il d.lgs 267/2000 non preveda proprio da nessuna parte in via esplicita che il segretario disponga del potere di avocazione.
E non lo prevede per una ragione semplicissima: il segretario non è posto in posizione di superiorità gerarchica rispetto alla dirigenza, che è totalmente autonoma e responsabile in via esclusiva delle proprie decisioni.
A smentire clamorosamente l’assunto che le funzioni di sovrintendenza e coordinamento contengano il potere di avocazione, proprio invece del potere di gerarchia, sono le previsioni dell’articolo 107, sempre del Tuel:
a) comma 2: “Spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell’ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale, di cui rispettivamente agli articoli 97 e 108”; questa norma, con chiarezza estrema, separa funzioni e responsabilità del segretario e del direttore generale, da quelle della dirigenza;
b) comma 4: “Le attribuzioni dei dirigenti, in applicazione del principio di cui all’articolo 1, comma 4, possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative”. Già questa previsione rappresenta un primo elemento di nullità della clausola contrattuale (poiché si verte in tema di contratto e di ordinamento civile, non si può parlare di illegittimità, ma di nullità per violazione di norme imperative di legge). Infatti, l’avocazione implica una lesione delle attribuzioni dei dirigenti, visto che il segretario, che come prevede il comma 2 dell’articolo 107 ha competenze proprie e separate, si ingerirebbe nelle funzioni dirigenziali. Ma, un contratto non è una legge e, quindi, non ha il minimo potere di dettare contenuti in contrasto con l’articolo 107, comma 4, del Tuel;
c) comma 6: “I dirigenti sono direttamente responsabili, in via esclusiva, in relazione agli obiettivi dell’ente, della correttezza amministrativa, della efficienza e dei risultati della gestione”. Se la responsabilità della gestione è esclusiva, è perché gli atti dei dirigenti sono tutti definitivi, come le scelte gestionali, non suscettibili di avocazione da parte di alcuno. Laddove una scelta gestionale di non attuare un indirizzo si rivelasse illegittima o dannosa, i rimedi sono due. Il primo è la valutazione negativa del dirigente, che può portare anche alla risoluzione del contratto. Il secondo è il commissariamento, sulla falsa riga di quanto prevede l’articolo 14, comma 3, del d.lgs 165/2001.
Affermare, poi, come chiosa il segretario dell’Unione che “il contratto sul punto è del tutto in linea con l’atto di indirizzo sulla base del quale si è aperta la negoziazione, atto di indirizzo che è stato già vagliato positivamente dalle istituzioni competenti. Sarebbe grave e costituirebbe un pericoloso precedente se un percorso negoziale a suo tempo autorizzato e poi svolto dovesse essere revocato in dubbio, verrebbe meno la stessa attendibilità del procedimento negoziale nel suo complesso. Ma siamo convinti che così non sarà” non ha alcuna utilità. Il contratto non deve essere in linea con l’atto di indirizzo, se questo, prevedendo il potere di avocazione, è illecito. Il contratto deve rispettare le norme imperative di legge. Ed è giusto, per altro, tenere conto che di fronte alle granitiche certezze sulla presunta gravità di interventi di correzione ad un “percorso negoziale” gravemente viziato, i fatti registrano già, da anni, posizioni giurisprudenziali nettamente in linea con l’inesistenza di un potere di avocazione del segretario comunale (per tutte, Corte di cassazione Sezione Lavoro 12 giugno 2007, n. 13708).
Il fatto che il Comitato di settore abbia espresso una direttiva, che qualche organo ministeriale l’abbia “bollinata”, senza accorgersi sul punto della plateale sua nullità, non può e non deve avere alcun rilievo. Non sono le sviste sulle violazioni di legge a fondare la legittimità di tali violazioni.
Per altro, a fronte della debolissima tesi a sostegno della correttezza dell’avocazione (lo impone l’atto di indirizzo; lo prevede il Tuel – che non lo prevede affatto, anzi, il contrario – ), la quantità di norme violate dall’atto di indirizzo e dalle clausole contrattuali è talmente vasta da risultare davvero inaccettabile che in via negoziale si possa essere dato luogo a ciò:
  1. articolo 2 (rubricato “Fonti”), comma 1, del d.lgs 165/2001, ai sensi del quale, confermando ovviamente il costrutto della Costituzione, “Le amministrazioni pubbliche definiscono, secondo principi generali fissati da disposizioni di legge e, sulla base dei medesimi, mediante atti organizzativi secondo i rispettivi ordinamenti, le linee fondamentali di organizzazione degli uffici; individuano gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità dei medesimi”. Nessuno spazio è dato alla contrattazione collettiva;
  2. sempre l’articolo 2, stavolta comma 2, del d.lgs 165/2001, che circoscrive l’orizzonte della potestà normativa dei contratti collettivi: “I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto…”. I contratti, come è logico, possono interessarsi della regolazione del rapporto di lavoro, ma non delle competenze e delle funzioni;
  3. l’articolo 40, comma 1, sempre del d.lgs 165/2001, che allo scopo di confermare e chiarire il quadro visto prima, prevede: “La contrattazione collettiva disciplina il rapporto di lavoro e le relazioni sindacali e si svolge con le modalità previste dal presente decreto. Nelle materie relative alle sanzioni disciplinari, alla valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento accessorio, della mobilità, la contrattazione collettiva è consentita nei limiti previsti dalle norme di legge. Sono escluse dalla contrattazione collettiva le materie attinenti all’organizzazione degli uffici, quelle oggetto di partecipazione sindacale ai sensi dell’articolo 9, quelle afferenti alle prerogative dirigenziali ai sensi degli articoli 5, comma 2, 16 e 17la materia del conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali, nonché quelle di cui all’articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 23 ottobre 1992, n. 421”. Attribuire ai segretari comunali il potere di avocazione, come già rilevato sopra, implica interferire proprio sulle prerogative dirigenziali: il Ccnol non poteva e non può affrontare questa materia;
  4. l’articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 421/1992, ai sensi del quale “…Sono regolate con legge, ovvero, sulla base della legge o nell’ambito dei princìpi dalla stessa posti, con atti normativi o amministrativi, le seguenti materie:

    1) le responsabilità giuridiche attinenti ai singoli operatori nell’espletamento di procedure amministrative;

    2) gli organi, gli uffici, i modi di conferimento della titolarità dei medesimi;

    3) i princìpi fondamentali di organizzazione degli uffici;

    4) i procedimenti di selezione per l’accesso al lavoro e di avviamento al lavoro;

    5) i ruoli e le dotazioni organiche nonché la loro consistenza complessiva. Le dotazioni complessive di ciascuna qualifica sono definite previa informazione alle organizzazioni sindacali interessate maggiormente rappresentative sul piano nazionale;

    6) la garanzia della libertà di insegnamento e l’autonomia professionale nello svolgimento dell’attività didattica, scientifica e di ricerca;

    7) la disciplina della responsabilità e delle incompatibilità tra l’impiego pubblico ed altre attività e i casi di divieto di cumulo di impieghi e incarichi pubblici;

  5. l’articolo 97, comma 4, del d.lgs 267/2000, che regola, come fonte di legge, le funzioni del segretario comunale;
  6. l’articolo 107, comma 4, del d.lgs 267/2000, ai sensi del quale “Le attribuzioni dei dirigenti, in applicazione del principio di cui all’articolo 1, comma 4, possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative”. Un CCNL, quindi, non può certamente né ingerirsi nelle prerogative dirigenziali (a ciò inibito espressamente dall’articolo 40, comma 1, del d.lgs 165/2001), né derogare o modificare le attribuzioni dirigenziali, introducendo l’inesistente potere di avocazione;
  7. gli articoli 16 e 17 del d.lgs 165/2001, che disciplinano in modo intangibile dalla contrattazione collettiva funzioni e prerogative dei dirigenti;
  8. l’articolo 100 del d.lgs 267/2000, ai sensi del quale “Il segretario può essere revocato con provvedimento motivato del sindaco o del presidente della provincia, previa deliberazione della giunta, per violazione dei doveri d’ufficio”. Poiché i doveri d’ufficio sono fissati esclusivamente dalla legge o da atti di organizzazione di stampo pubblicistico, risultano totalmente sottratti alla contrattazione collettiva, che non ha in alcun modo nessun potere di indicare quali sono i doveri d’ufficio.
  9. L’articolo 97 della Costituzione, che riserva alla legge, non certo alla contrattazione collettiva, l’organizzazione degli uffici.
Su un punto si concorda. L’articolo 101, comma 1, della preintesa, nella parte che non tratta del potere di avocazione, descrive le funzioni che spettano in via naturale a chi svolge funzioni di sovintendenza e coordinamento: “sovraintendenza alla gestione complessiva dell’ente, la responsabilità della proposta del piano esecutivo di gestione nonché, nel suo ambito, del piano dettagliato degli obiettivi e del piano della performance, la responsabilità della proposta degli atti di pianificazione generale in materia di organizzazione e personale”.
Poichè la preintesa accerta che queste sono attribuzioni ordinarie dei segretari comunali, qualcuno dovrà spiegare:
  1. perché se queste sono funzioni normalmente connesse all’esercizio delle funzioni dei segretari comunali nei comuni fino a 100.000 abitanti, non lo sarebbero per i comuni con popolazione maggiore e per province o città metropolitane; accrescendosi la posizione di carriera del segretario, diminuiscono competenze e attribuzioni? Non è strano?;
  2. perché, se la categoria dei segretari comunali è unica, le sedi di segreteria di minor dimensione implicherebbeo attribuzioni maggiori delle sedi di segreteria maggiori;
  3. perché, se la categoria è unica e, dunque, le attribuzioni non possono che essere uniche, nei comuni con più di 100.000 abitanti, nelle province e nelle città metropolitane, se si nomina un direttore generale, figura che finisce per sottrarre competenze al segretario, il trattamento economico del segretario resta intonso e si duplica la spesa; non appare che la preintesa renda ingiustificabile l’incarico al direttore generale e l’incremento della spesa connessa?;
  4. perché, visto quanto sopra, si è considerata ulteriormente vigente la previsione di cui all’articolo 44 del Ccnl 15.5.2001, che prevede la possibilità di attribuire ai segretari comunali un’indennità aggiuntiva, se incaricati, nei comuni con oltre 100.000 abitanti, nelle province e nelle città metropolitane, di svolgere le funzioni del direttore generale, cioè funzioni che in realtà sono già caratteristica propria della figura del segretario?
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