tratto da quotidianopa.leggiditalia.it
Adeguamento del compenso dei componenti dell’organo di revisione economico-finanziaria
di Cristina Montanari – Responsabile dell’Area Finanziaria-Tributi del Comune di Serramazzoni e Vicesegretario Comunale
Nella delibera 12 settembre 2019, n. 351, la Corte dei conti-Lombardia si esprime in tema di adeguamento del compenso dei revisori dei conti degli enti locali, a fronte della sollecitazione di un Sindaco, ex art. 7, comma 8, L. 5 giugno 2003, n. 131, che, premessa una sintetica ricostruzione del quadro normativo e interpretativo di riferimento, anche alla luce dell’entrata in vigore del nuovo D.M. 21 dicembre 2018 (che ha aggiornato i limiti massimi del compenso base spettante ai revisori dei conti degli enti locali), rappresenta, in punto di fatto, che “il Collegio dei Revisori del Comune, in esito al sorteggio comunicato dalla Prefettura di Milano, è stato nominato dal Consiglio Comunale con deliberazione del 21/12/2018 (data di emanazione del decreto ministeriale di aggiornamento dei compensi), diventata esecutiva ai primi di febbraio 2019”; inoltre viene osservato che “la deliberazione ha stabilito il compenso in misura puntuale, quindi escludendo la determinazione per relationem con richiamo ai limiti massimi di cui al decreto ministeriale in vigore” e che “il compenso determinato dal Consiglio è attualmente contenuto, con riferimento al D.M. 21 dicembre 2018, nella seconda fascia immediatamente inferiore a quella di appartenenza del Comune”; ciò posto, chiede alla Sezione: 1. se “vi sia o meno l’obbligo di aggiornare i compensi, considerato che il D.M. stabilisce i compensi massimi”; 2. se “sia legittimo per il Consiglio Comunale adeguare il compenso del Collegio dei Revisori in ragione del nuovo limite massimo previsto per la fascia demografica di appartenenza o, quantomeno, assumere nuove valutazioni di congruità che, in ragione del mutato contesto normativo, portino ad adeguare il compenso secondo canoni di equità identificabili in un valore non inferiore a quello massimo previsto per la fascia demografica inferiore”.
La Sezione, nell’esaminare i quesiti formulati dall’Ente, ricorda che:
– l’art. 241 TUEL prevede che il compenso dei revisori dei conti sia stabilito dal comune nella stessa delibera di nomina (comma 7), nel rispetto dei limiti massimi del compenso base fissati con decreto del Ministro dell’interno, adottato di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, in relazione alla classe demografica ed alle spese di funzionamento e di investimento dell’ente locale (comma 1) e da aggiornarsi triennalmente;
– i ridetti limiti massimi del compenso base spettante ai revisori dei conti degli enti locali sono stati aggiornati con decreto interministeriale del 21 dicembre 2018 (pubblicato sulla G.U. del 4 gennaio 2019) con il quale, in considerazione del rilevante incremento, nell’ultimo decennio, delle funzioni svolte dall’organo di revisione economico-finanziaria e della necessità di un conseguente adeguamento dei compensi base, anche al fine di rispettare il principio dell’equo compenso di cui all’art. 13-bisL. 31 dicembre 2012, n. 247, è stato aggiornato il previgente D.M. 20 maggio 2005 riconsiderando, in maniera significativa, gli importi di cui alle tabelle A, B e C, alle quali l’art. 1 dello stesso decreto fa rinvio per la determinazione del compenso e delle previste maggiorazioni;
– la giurisprudenza contabile è più volte intervenuta in ordine alla corretta interpretazione delle regole che governano la disciplina dei compensi da riconoscere agli organi di revisione degli enti locali, anche alla luce delle normative vincolistiche succedutesi nel tempo.
Quanto premesso, evidenzia che le questioni poste dal Comune devono essere esaminate alla luce dei principi di diritto recentemente enunciati dalla Sezione delle autonomie nella delibera n. 14/2019/QMIG del 24 giugno 2019, che ha avuto modo di pronunciarsi sulla possibilità degli enti locali di adeguare gli emolumenti dei revisori nominati anteriormente all’entrata in vigore del decreto interministeriale del 21 dicembre 2018, ovvero:
1. Alla luce dei nuovi limiti massimi e dei nuovi parametri recati dal decreto interministeriale 21 dicembre 2018, emesso di concerto tra il Ministro dell’Interno e quello dell’Economia e delle Finanza, ferma la previsione di cui al comma 7 dell’art. 241 del TUEL, è facoltà degli enti locali procedere, ai sensi degli artt. 234 e 241 del TUEL, ad un rinnovato giudizio circa l’adeguatezza dei compensi liquidati anteriormente al predetto decreto alla stregua dei limiti massimi fissati dal D.M. 20 maggio 2005 e, se del caso, provvedere ad una rideterminazione degli stessi al fine di ricondurli nei limiti di congruità e di adeguatezza, previa attenta verifica della compatibilità finanziaria e della sostenibilità dei nuovi oneri.
2. L’eventuale adeguamento non ha effetto retroattivo e decorre dalla data di esecutività della deliberazione di rideterminazione del compenso assunta dall’organo consiliare ai sensi degli artt. 234 e 241 TUEL.”.
Secondo il giudice lombardo, la richiamata deliberazione della Sezione delle autonomie reca, inoltre, indicazioni metodologiche utili a guidare l’Ente anche nella soluzione del secondo quesito posto, in particolare, laddove si osserva che «gli organi consiliari – ai quali il combinato disposto degli art. 243 e 241 TUEL intesta la competenza a determinare l’emolumento di cui trattasi – dovranno verificare se “la misura del compenso inizialmente deliberata dall’ente locale si manifesti chiaramente non più rispondente ai limiti minimi di congruità ed adeguatezza che, anche sulla base di principi derivanti dall’ordinamento comunitario, sono considerati esistenti in materia” e, previa verifica della compatibilità finanziaria e della sostenibilità dei nuovi oneri, adottare i conseguenti provvedimenti necessari per riportare il compenso ad un livello conforme ai suddetti parametri».
Inoltre, con riguardo alla specifica questione posta sempre nel secondo quesito formulato dall’Ente, concernente la possibilità per il Consiglio comunale di adeguare il compenso in parola secondo canoni di equità “identificabili in un valore non inferiore a quello massimo previsto per la fascia demografica inferiore”, la Sezione richiama quanto recentemente osservato nella propria deliberazione n. 320/2019/PAR, segnalando che:
– la norma in parola nulla prevede in relazione all’esistenza di un limite minimo obbligatorio per i compensi;
– la questione è stata affrontata, a livello giurisprudenziale, dalla Sezione delle autonomie, che nella deliberazione 28 giugno 2017, n. 16/SEZAUT/2017/QMIG, ha evidenziato che la normativa, anche in un’ottica di contenimento delle spese degli enti locali, ha predeterminato il tetto massimo del compenso sulla base di criteri oggettivi, prefissati dalla legge, ma nulla ha disposto in ordine ai limiti minimi del compenso, precisando che gli stessi non possono essere determinati per altra via che non sia quella normativa; ne consegue, pertanto, che l’interesse del revisore ad un adeguato corrispettivo “si realizza, allo stato della normativa, mediante lo strumento contrattuale – ove sia possibile la determinazione concordata del compenso (pur nei limiti massimi fissati dalla legge) – o in sede giudiziaria qualora la remunerazione fissata unilateralmente dall’ente appaia incongrua”.
L’adita Corte, in buona sostanza, fa proprie le conclusioni della Sezione delle autonomie e di cui alle deliberazioni n. 16/2017/QMIG e n. 14/2019/QMIG, più sopra meglio ricordate.
Per un corretto sviluppo dell’argomento tuttavia, non si può non ricordare che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte dei Conti-Sezione delle Autonomie, nonché confermato in più occasioni dalle Corti territoriali, ivi compresa in questa sede, l’Osservatorio sulla Finanza e la Contabilità degli Enti Locali, nell’atto di orientamento n. 1 del 13 luglio 2017, reputa che la commisurazione del compenso base annuo lordo spettante ad ogni componente degli organi di revisione economico-finanziaria degli enti locali al sistema delle fasce demografiche (ex D.M. 20 maggio 2005 prima ed ex D.I. 21 dicembre 2018 ora), vuole individuare non solo il limite massimo del compenso, ma anche il limite minimo, che può ritenersi coincidente con il limite massimo della fascia demografica immediatamente inferiore.
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Corte dei Conti Lombardia Sez. contr., Delib., (ud. 10/09/2019) 12-09-2019, n. 351
CONTABILITA’ E BILANCIO DELLO STATO

Contabilità delle regioni e degli enti pubblici

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DEI CONTI
SEZIONE REGIONALE DI CONTROLLO PER LA LOMBARDIA
composta dai magistrati:
dott.ssa Maria Riolo – Presidente
dott. Marcello Degni – Consigliere
dott. Giampiero Maria Gallo – Consigliere
dott.ssa Laura De Rentiis – Consigliere
dott. Mauro Bonaretti – Consigliere
dott. Luigi Burti – Consigliere
dott.ssa Alessandra Cucuzza – Referendario
dott. Ottavio Caleo – Referendario (relatore)
dott.ssa Marinella Colucci – Referendario
nell’adunanza in camera di consiglio del 10 settembre 2019 ha assunto la seguente
DELIBERAZIONE
VISTO il D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, recante il Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali;
VISTA la L. 5 giugno 2003, n. 131, recante “Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3“, in particolare l’articolo 7, comma 8;
VISTA la nota acquisita al protocollo di questa Sezione n. (…) in data 5 luglio 2019 con la quale il Sindaco del Comune di Lainate (MI) ha chiesto un parere ai sensi dell’articolo 7, comma 8, della L. 5 giugno 2003, n. 131;
VISTA l’ordinanza con la quale il Presidente della Sezione ha convocato in data odierna la Sezione stessa per deliberare sull’istanza sopra citata;
UDITO il relatore, dott. Ottavio Caleo;
PREMESSO
Con l’istanza indicata in epigrafe il Sindaco del Comune di Lainate ha rivolto alla Sezione una richiesta di parere in materia di adeguamento del compenso del Collegio dei revisori dei conti.
In particolare, il legale rappresentante dell’Ente, premessa una sintetica ricostruzione del quadro normativo e interpretativo di riferimento, anche alla luce dell’entrata in vigore del nuovo D.M. 21 dicembre 2018 (che ha aggiornato i limiti massimi del compenso base spettante ai revisori dei conti degli enti locali), rappresenta, in punto di fatto, che “il Collegio dei Revisori del Comune, in esito al sorteggio comunicato dalla Prefettura di Milano, è stato nominato dal Consiglio Comunale con deliberazione del 21/12/2018 (data di emanazione del decreto ministeriale di aggiornamento dei compensi), diventata esecutiva ai primi di febbraio 2019”; inoltre viene osservato che “la deliberazione ha stabilito il compenso in misura puntuale, quindi escludendo la determinazione per relationem con richiamo ai limiti massimi di cui al decreto ministeriale in vigore” e che “il compenso determinato dal Consiglio è attualmente contenuto, con riferimento al D.M. del 21 dicembre 2018, nella seconda fascia immediatamente inferiore a quella di appartenenza del Comune”.
Ciò posto, si chiede alla Sezione:
1. se “vi sia o meno l’obbligo di aggiornare i compensi, considerato che il D.M. stabilisce i compensi massimi”;
2. se “sia legittimo per il Consiglio Comunale adeguare il compenso del Collegio dei Revisori in ragione del nuovo limite massimo previsto per la fascia demografica di appartenenza o, quantomeno, assumere nuove valutazioni di congruità che, in ragione del mutato contesto normativo, portino ad adeguare il compenso secondo canoni di equità identificabili in un valore non inferiore a quello massimo previsto per la fascia demografica inferiore”.
Secondo ormai consolidati orientamenti assunti dalla Magistratura contabile in tema di pareri da esprimere ai sensi dell’art. 7, comma 8, della L. n. 131 del 2003, occorre verificare, in via preliminare, se la richiesta di parere presenti i necessari requisiti di ammissibilità, sia sotto il profilo soggettivo, con riferimento alla legittimazione dell’organo richiedente, sia sotto il profilo oggettivo, concernente l’attinenza dei quesiti alla materia della “contabilità pubblica”.
Nel caso in esame la richiesta di parere deve essere dichiarata soggettivamente ammissibile, in quanto formulata dal Sindaco del Comune interessato, organo politico e di vertice, rappresentante legale dell’ente locale ai sensi dell’art. 50 del D.Lgs. n. 267 del 2000 (TUEL).
Sul piano dell’ammissibilità oggettiva si osserva come la Corte dei conti, con diverse deliberazioni, sia della Sezione delle Autonomie (n. 5/AUT/2006; n. 3/SEZAUT/2014/QMIG), sia delle Sezioni riunite in sede di controllo (deliberazione n. 54/CONTR/2010, emanata ai sensi dell’art. 17, comma 31, del D.L. 1 luglio 2019, n. 78, convertito dalla L. 3 agosto 2009, n. 102) ha indicato il perimetro della funzione consultiva sulla materia della “contabilità pubblica”, precisando che la stessa coincide con il sistema di norme e principi che regolano l’attività finanziaria e patrimoniale dello Stato e degli enti pubblici e che, pertanto, la funzione consultiva della Corte non può intendersi come consulenza generale. Ne deriva che la materia della contabilità pubblica riguarda i profili idonei ad avere impatto sulla sana gestione finanziaria degli enti e sui pertinenti equilibri di bilancio.
Ancora, con la deliberazione n. 54/CONTR/2010 sopra richiamata, le Sezioni riunite in sede di controllo, nell’esprimere principi vincolanti per le Sezioni regionali di controllo relativamente al concetto di “contabilità pubblica”, hanno fatto riferimento ad una visione dinamica di tale accezione, che sposta “l’angolo visuale dal tradizionale contesto della gestione del bilancio a quello inerente ai relativi equilibri”.
Si precisa, peraltro, al fine di meglio delimitare e chiarire l’ambito di trattazione della questione posta, che le Sezioni regionali di controllo non possono pronunciarsi su quesiti che implichino valutazioni sui comportamenti amministrativi o attinenti a casi concreti o ad atti gestionali già adottati o da adottare da parte dell’ente.
In ossequio alla costante giurisprudenza delle Sezioni di controllo le questioni poste nella richiesta di parere in esame possono essere esaminate in chiave generale e astratta, non essendo scrutinabili nel merito istanze concernenti valutazioni su casi o atti gestionali specifici, in una prospettiva, non conforme a legge, di apertura ad una consulenza generale della Corte dei conti, incompatibile con le funzioni alla stessa attribuite dal vigente ordinamento e con la sua fondamentale posizione di indipendenza e neutralità.
La funzione consultiva, infine, non può interferire con le altre funzioni attribuite alla Corte dei conti (di controllo e giurisdizionali) o ad altra magistratura.
Posto quanto sopra, il parere richiesto si ritiene ammissibile anche dal punto di vista oggettivo, in quanto concernente la normativa che disciplina il compenso dei componenti dell’organo di revisione, senz’altro attinente alla materia della contabilità pubblica, come confermato dalla circostanza che le Sezioni regionali hanno più volte esaminato analoghe questioni interpretative.
Pertanto, la Sezione, nell’esaminare i quesiti formulati dall’Ente, si limiterà a pronunciarsi nei limiti predetti e valutate le problematiche poste nei soli ed esclusivi caratteri generali ed astratti, senza alcun intervento nella questione, che involge esclusivamente i rapporti fra comune istante e professionisti, della determinazione concreta del compenso in parola che, peraltro, in caso di contrasto, può essere sottoposta alla cognizione di altro plesso giurisdizionale.
Come noto, l’art. 241 del D.Lgs. n. 267 del 2000 (TUEL) prevede che il compenso dei revisori dei conti sia stabilito dal comune nella stessa delibera di nomina (comma 7) nel rispetto dei limiti massimi del compenso base fissati con decreto del Ministro dell’interno, adottato di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, in relazione alla classe demografica ed alle spese di funzionamento e di investimento dell’ente locale (comma 1) e da aggiornarsi triennalmente.
I ridetti limiti massimi del compenso base spettante ai revisori dei conti degli enti locali sono stati recentemente aggiornati con D.I. del 21 dicembre 2018 (pubblicato sulla G.U. del 4 gennaio 2019) con il quale, in considerazione del rilevante incremento, nell’ultimo decennio, delle funzioni svolte dall’organo di revisione economico-finanziaria e della necessità di un conseguente adeguamento dei compensi base, anche al fine di rispettare il principio dell’equo compenso di cui all’art. 13-bis della L. 31 dicembre 2012, n. 247, è stato aggiornato il previgente decreto 20 maggio 2005 riconsiderando, in maniera significativa, gli importi di cui alle tabelle A, B e C alle quali l’art. 1 dello stesso decreto fa rinvio per la determinazione del compenso e delle previste maggiorazioni.
La giurisprudenza contabile è più volte intervenuta in ordine alla corretta interpretazione delle regole che governano la disciplina dei compensi da riconoscere agli organi di revisione degli enti locali, anche alla luce delle normative vincolistiche succedutesi nel tempo.
Per quanto qui maggiormente rileva, le questioni poste dal Comune devono essere esaminate alla luce dei principi di diritto recentemente enunciati dalla Sezione delle autonomie nella Delib. n. 14 del 2019/QMIG che, a seguito di specifiche questioni di massima sollevate dalle Sezioni regionali di controllo per la Puglia e per il Molise, rispettivamente, con le deliberazioni n. 38/2019/QMIG e n. 70/2019/QMIG, ha avuto modo di pronunciarsi sulla possibilità degli enti locali di adeguare gli emolumenti dei revisori nominati anteriormente all’entrata in vigore del D.I. del 21 dicembre 2018 ai nuovi parametri previsti dal succitato provvedimento.
Tenendo conto del complesso quadro interpretativo desumibile dai primi arresti della giurisprudenza contabile in argomento (con particolare riguardo alle suddette delibere di deferimento nonchè alla deliberazione n. 20/2019 della Sezione regionale di controllo per la Liguria e alla deliberazione n. 5/2019 della Sezione regionale di controllo per l’Emilia Romagna, evocata dall’Ente istante), la Sezione delle autonomie ha rilevato come, anche alla luce dei principi di derivazione eurounitaria che governano la materia, deve “escludersi che, in via generale, possa riconoscersi la facoltà per gli enti di un possibile adeguamento, in corso di rapporto, del compenso che, di norma, resta fissato nella misura deliberata in origine”.
Tuttavia, tenuto conto, tra l’altro, delle “finalità perseguite dal decreto di adeguamento, oltre che a quanto stabilito, in via generale dall’art. 36 della Costituzione, disposizione immediatamente precettiva” è stato enunciato un principio di diritto in forza del quale “alla luce dei nuovi limiti massimi e dei nuovi parametri recati dal D.I. 21 dicembre 2018, emesso di concerto tra il Ministro dell’Interno e quello dell’Economia e delle Finanza, ferma la previsione di cui al comma 7 dell’art. 241 del TUEL, è facoltà degli enti locali procedere, ai sensi degli artt. 234 e 241 del TUEL, ad un rinnovato giudizio circa l’adeguatezza dei compensi liquidati anteriormente al predetto decreto alla stregua dei limiti massimi fissati dal D.M. 20 maggio 2005 e, se del caso, provvedere ad una rideterminazione degli stessi al fine di ricondurli nei limiti di congruità e di adeguatezza, previa attenta verifica della compatibilità finanziaria e della sostenibilità dei nuovi oneri”.
La pronuncia nomofilattica di cui trattasi ha, inoltre, precisato che “l’eventuale adeguamento non ha effetto retroattivo e decorre dalla data di esecutività della deliberazione di rideterminazione del compenso assunta dall’organo consiliare ai sensi degli artt. 234 e 241 TUEL”.
La deliberazione della Sezione delle autonomie n. 14/2019/QMIG reca, inoltre, indicazioni metodologiche utili a guidare l’Ente anche nella soluzione del secondo quesito posto, in particolare, laddove si osserva che “gli organi consiliari – ai quali il combinato disposto degli art. 243 e 241 TUEL intesta la competenza a determinare l’emolumento di cui trattasi – dovranno verificare se “la misura del compenso inizialmente deliberata dall’ente locale si manifesti chiaramente non più rispondente ai limiti minimi di congruità ed adeguatezza che, anche sulla base di principi derivanti dall’ordinamento comunitario, sono considerati esistenti in materia” e, previa verifica della compatibilità finanziaria e della sostenibilità dei nuovi oneri, adottare i conseguenti provvedimenti necessari per riportare il compenso ad un livello conforme ai suddetti parametri”.
Inoltre, con riguardo alla specifica questione posta sempre nel secondo quesito formulato dall’Ente – concernente la possibilità per il Consiglio comunale di adeguare il compenso in parola secondo canoni di equità “identificabili in un valore non inferiore a quello massimo previsto per la fascia demografica inferiore” – la Sezione richiama quanto recentemente osservato nella propria deliberazione n. 320/2019/PAR, segnalando che la norma in parola nulla prevede in relazione all’esistenza di un limite minimo obbligatorio per i compensi.
In particolare, nella circostanza, è stato rammentato come la Sezione delle autonomie, con la Delib. n. 16 del 2017/QMIG, si sia pronunciata proprio sulla esistenza di un limite minimo per i compensi e sulla possibilità di individuare tale limite nell’importo corrispondente al tetto massimo indicato dal decreto ministeriale al tempo vigente (D.M. 20 maggio 2005) per i comuni appartenenti alla fascia demografica inferiore a quella del comune di riferimento.
La Sezione delle autonomie, nella ridetta pronuncia, dopo aver sottolineato l’importanza delle funzioni che l’organo di revisione è chiamato a svolgere all’interno degli enti locali e la necessità, pertanto, che lo stesso sia adeguatamente remunerato, ha evidenziato come la normativa, anche in un’ottica di contenimento delle spese degli enti locali, abbia predeterminato il tetto massimo del compenso sulla base di criteri oggettivi, prefissati dalla legge, ma nulla ha disposto in ordine ai limiti minimi dello stesso.
In mancanza di un’espressa previsione legislativa, la Sezione delle autonomie ha escluso che i limiti minimi del compenso possano essere determinati in via interpretativa dalla giurisprudenza contabile, pur richiamando la necessità che gli stessi risultino adeguati alla professionalità del revisore e ai compiti che lo stesso è chiamato a svolgere. Ne consegue, pertanto, che l’interesse del revisore ad un adeguato corrispettivo “si realizza, allo stato della normativa, mediante lo strumento contrattuale – ove sia possibile la determinazione concordata del compenso (pur nei limiti massimi fissati dalla legge) – o in sede giudiziaria qualora la remunerazione fissata unilateralmente dall’ente appaia incongrua” (Corte dei conti, Sezione delle autonomie, n. 16/2017/QMIG).
Nelle considerazioni esposte è il parere della Sezione.
Depositata in Cancelleria il 12 settembre 2019.

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