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Urbanistica. Ristrutturazione edilizia con ampliamento di volumetria
Pubblicato: 26 Novembre 2019

Laddove sia stato rilasciato un permesso di costruire per un intervento di ristrutturazione edilizia con ampliamento di volumetria, non è consentita – ed integra l’ipotesi di reato di costruzione in totale difformità dal permesso – l’integrale demolizione e ricostruzione dell’edificio. Ricorre, in particolare, l’ipotesi della totale difformità c.d. “qualitativa” di cui all’art. 31, comma 1, prima parte, T.U.E., per essere stato realizzato un «organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche…da quello oggetto del permesso stesso». Di fatti, quando si tratti di intervento edilizio che abbia ad oggetto l’esecuzione di opere su un preesistente manufatto, la difformità “tipologica” tra l’opera consentita e quella di fatto realizzata va in primo luogo apprezzata rispetto alle categorie edilizie definite ex lege dall’art. 3 T.U.E.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 22 febbraio 2019, il Tribunale di Venezia ha respinto l’istanza di riesame avanzata dagli odierni ricorrenti avverso il decreto con cui il g.i.p. aveva disposto il sequestro preventivo di un immobile in costruzione rispetto al quale era stato ipotizzato il reato di cui all’art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (d’ora in avanti T.U.E.).

2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore degli indagati,  deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.

3. Con il primo motivo si deduce violazione degli artt. 2, 3, 10, lett. c), 31 e 32 T.U.E. e dell’art. 10 l.r. n. 14/2009, per inesistenza del fumus commissi delicti, nella parte in cui l’ordinanza afferma che nel concetto di ristrutturazione edilizia sarebbe esclusa la demolizione, anche totale, del fabbricato con successiva ricostruzione del medesimo. Il ricorrente deduce che da tali disposizioni – senza che la legge regionale si ponga in contrasto con quella statale – si ricava che la ristrutturazione con ampliamento (quella c.d. “pesante”, che comporta modifiche di volume, sagoma, prospetti o superfici) può legittimamente attuarsi anche tramite un intervento di demolizione totale (e non soltanto parziale) del fabbricato preesistente. In particolare, la menzionata disposizione regionale precisa che – ai fini degli indici di edificabilità e di ogni ulteriore parametro di carattere quantitativo – l’intervento si considera quale ristrutturazione edilizia, mentre viene considerata quale nuova costruzione la sola parte relativa all’ampliamento. Del pari erronea è l’affermazione, ripresa dall’ordinanza comunale n. 35 del 15 febbraio 2019, secondo cui nel caso di specie vi sarebbe stato aumento di cubatura incompatibile con l’intervento di ristrutturazione edilizia: nel corso del sopralluogo, di fatti, il tecnico comunale aveva accertato la conformità al progetto di quanto eseguito, sicché non vi era alcun aumento di cubatura diverso all’ampliamento regolarmente assentito.

4. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la mancanza e apparenza di motivazione quanto alla sussistenza del periculum in mora, essendo una mera invenzione – forse ingenerata da un equivoco circa il significato della comunicazione della ditta esecutrice dei lavori citata in motivazione – l’affermazione secondo cui i lavori erano proseguiti dopo la comunicazione dell’ordinanza di sospensione, circostanza peraltro smentita dai verbali di accertamento della polizia locale allegati al ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Dal decreto di sequestro preventivo risulta che la misura è stata  disposta in relazione ai reati di cui agli artt. 44, comma 1, lett. c) ,T.U.E. e 181, commi 1 e 1-bis, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 per essere stato realizzato – in zona sottoposta a vincolo paesistico ambientale e dichiarata di notevole interesse pubblico – un edificio al grezzo di due piani f.t. eseguito in totale difformità dal permesso di costruire (rilasciato per la ristrutturazione edilizia con ampliamento di preesistente fabbricato dichiarato bene storico-culturale dalla Regione Veneto) e dall’autorizzazione paesaggistica, perché costruito, previa integrale demolizione del preesistente immobile, con sagoma, volume e superficie diversi.

A prescindere dal fatto che l’ordinanza impugnata si sofferma unicamente sul reato urbanistico – probabilmente l’unico rispetto al quale erano stati mossi motivi di doglianza con la richiesta di riesame, sì che la sussistenza del fumus commissi delicti non viene contestata con riguardo al reato paesaggistico – osserva il Collegio come la doglianza non sia fondata.

2. L’ordinanza impugnata – condividendo l’accertamento effettuato dal g.i.p. – attesta che, a fronte di un permesso di costruire che consentiva soltanto la ristrutturazione con ampliamento del preesistente immobile di pregio storico (che, proprio per tale ragione, poteva al più essere oggetto di interventi di ristrutturazione) era intervenuta (peraltro, senza necessità di carattere tecnico) la completa demolizione del manufatto, non prevista in progetto, con costruzione di un edificio del tutto diverso e con ampliamento di cubatura (quest’ultimo, a quanto consta, consentito).

Ricorre, pertanto, il fumus dell’ipotizzata fattispecie di costruzione in totale difformità dal permesso di costruire e non sussista alcuna delle violazioni di legge denunciate con il primo motivo di ricorso.

2.1. In disparte il profilo della conformità o meno al progetto di quanto edificato – che non risulta approfondito nell’ordinanza impugnata – come ha esattamente rilevato il giudice del riesame, un intervento di totale demolizione e ricostruzione di un edificio con ampliamento di volume non è riconducibile alla categoria della ristrutturazione edilizia, vale a dire all’opera oggetto del permesso di costruire nella specie rilasciato, giusta la chiarissima definizione contenuta nell’art. 3, comma 1, lett. d), T.U.E., secondo cui «nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente». Laddove tale ultimo requisito non sia soddisfatto, la demolizione e ricostruzione di un manufatto è riconducibile alla categoria degli interventi di nuova costruzione ai sensi della lett. e) della citata disposizione, la cui generale definizione – che, quanto agli intereventi su edifici esistenti, ha carattere residuale – abbraccia «quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti».

Deve d’altronde tenersi conto del fatto che, pur potendo gli interventi di ristrutturazione edilizia «portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente» (così, l’art. 3, comma 1, lett. d, T.U.E.), gli stessi presuppongono comunque – come regola – il mantenimento dell’originaria impronta tipologica del manufatto, trattandosi, secondo la citata norma definitoria, di «un insieme sistematico di opere che…comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti». Laddove sia eccezionalmente prevista la possibilità di demolire integralmente l’edificio e di ricostruirlo ex novo, ciò che rappresenta il limite estremo di estensibilità di siffatta categoria d’intervento, le opere si mantengono all’interno della stessa soltanto se sia rispettato il volume originario del manufatto, trattandosi, altrimenti, di opera qualificabile come “nuova costruzione” e, vale a dire come organismo edilizio integralmente diverso sul piano tipologico da quello autorizzato con il permesso di ristrutturazione edilizia.

     2.2. Ciò posto, va affermato il principio secondo cui, laddove sia stato rilasciato un permesso di costruire per un intervento di ristrutturazione edilizia con ampliamento di volumetria, non è consentita – ed integra l’ipotesi di reato di costruzione in totale difformità dal permesso – l’integrale demolizione e ricostruzione dell’edificio. Ricorre, in particolare, l’ipotesi della totale difformità c.d. “qualitativa” di cui all’art. 31, comma 1, prima parte, T.U.E., per essere stato realizzato un «organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche…da quello oggetto del permesso stesso».

Di fatti, quando si tratti di intervento edilizio che abbia ad oggetto l’esecuzione di opere su un preesistente manufatto, la difformità “tipologica” tra l’opera consentita e quella di fatto realizzata va in primo luogo apprezzata rispetto alle categorie edilizie definite ex lege dall’art. 3 T.U.E.

Del resto, essendo le contravvenzioni previste dall’art. 44, comma 1, T.U.E. reati di pericolo rispetto al bene tutelato – ravvisabile nell’esigenza di impedire trasformazioni del territorio in contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia – è evidente che l’ottenimento di un permesso di costruire per ristrutturazione edilizia in ampliamento, che non preveda, non essendo ciò consentito dalla legge, la totale demolizione e ricostruzione del manufatto, non legittima che si proceda in tal modo (per di più, come nella specie, su un immobile tutelato in quanto bene storico-culturale), realizzando una nuova costruzione che integralmente si sostituisca all’edificio storico che si sarebbe invece dovuto strutturalmente, quantomeno in parte, conservare. Ci si trova in tal caso di fronte ad un aliud pro alio che integra l’ipotesi di reato della costruzione in totale difformità dal titolo.

3. Irrilevante, al proposito, è la disposizione di legge regionale invocata dai ricorrenti.

    3.1. Occorre preliminarmente precisare che, se è vero – come costoro rilevano – che, a norma dell’art. 2, comma 1, prima parte, T.U.E., «le regioni esercitano la potestà legislativa concorrente in materia edilizia», rientrando questa nella materia del “governo del territorio” di cui all’art. 117, terzo comma, Cost, in omaggio alla previsione contenuta nell’ultima parte del richiamato precetto costituzionale la disposizione di legge ordinaria prosegue precisando che la potestà legislativa regionale soggiace al «rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale desumibili dalle disposizioni contenute nel testo unico». Coma da tempo ha riconosciuto la Corte costituzionale, le definizioni degli interventi edilizi di cui all’art. 3 T.U.E. rientrano tra i principi fondamentali della legislazione statale che vincolano il legislatore regionale ai sensi dell’art. 2 T.U.E. (cfr., ex multis, proprio con riguardo alla definizione di ristrutturazione edilizia, Corte cost. n. 309 del 18/10/2011). Ove possibile, le leggi regionali in materia vanno pertanto interpretate in modo tale da non collidere con i suddetti principi (Sez.  F, n. 46500 del 30/08/2018, Calabrò e a., Rv. 274173; Sez. 3, n. 30657 del 20/12/2016, dep. 2017, Calabrò e a., Rv. 270210).

    3.2. Anche alla luce delle osservazioni che precedono, rileva il Collegio che l’art. 10 l. reg. 8 luglio 2009, n. 14, rubricato “ristrutturazione edilizia”, non reca una diversa definizione delle categorie edilizie, precisando innanzitutto che «nelle more dell’approvazione della nuova disciplina regionale sull’edilizia, ai fini delle procedure autorizzative relative alle ristrutturazioni edilizie ai sensi del DPR n. 380/2001: a) gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all’articolo 3, comma 1, lettera d), del DPR n. 380/2001, anche al fine di consentire l’utilizzo di nuove tecniche costruttive, possono essere realizzati con l’integrale demolizione delle strutture murarie preesistenti, purché la nuova costruzione sia realizzata con il medesimo volume e all’interno della sagoma del fabbricato precedente». Come si vede, tale disposizione è assolutamente conforme a quanto statuito nell’art. 3, comma 1, lett. d), T.U.E., quale vigente all’epoca di approvazione della legge regionale (il rilievo vale in relazione al vincolo del rispetto della sagoma del precedente manufatto, venuto meno, salvo che per gli immobili vincolati ai sensi del d.lgs. 42 del 2004, con le modifiche apportate alla citata disposizione della legge statale dal d.l. 21 giugno 2013, n. 69, conv., con modiff., in l. 9 agosto 2013, n. 98). Quanto alla successiva norma contenuta nella medesima disposizione regionale, sub lett. b) – «gli interventi di ristrutturazione edilizia con ampliamento di cui all’articolo 10, comma 1, lettera c), del DPR n. 380/2001, qualora realizzati mediante integrale demolizione e ricostruzione dell’edificio esistente, per la parte in cui mantengono volumi e sagoma esistenti sono considerati, ai fini delle prescrizioni in materia di indici di edificabilità e di ogni ulteriore parametro di carattere quantitativo, ristrutturazione edilizia, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera d), del DPR n. 380/2001 e non nuova costruzione, mentre è considerata nuova costruzione la sola parte relativa all’ampliamento che rimane soggetta alle normative previste per tale fattispecie» – l’interpretazione adeguatrice porta a ritenere che il suo contenuto precettivo sia da ritenersi circoscritto al solo profilo considerato, vale a dire l’applicazione degli indici di edificabilità e di ogni ulteriore parametro quantitativo (si pensi, ad es., alle distanze, alle altezze, al numero dei piani), profili che nel caso in esame non vengono in considerazione, quantomeno alla luce degli elementi che sono stati sottoposti all’attenzione del Collegio. Questa disposizione – dal contenuto obiettivamente non felice – non incide, tuttavia, sulla definizione della categoria della ristrutturazione edilizia consentendo che la stessa possa essere invocata anche per interventi di integrale demolizione e ricostruzione di preesistenti manufatti con ampliamento della cubatura degli stessi.

    Se la riportata disposizione di fonte regionale non modifica le definizioni degli interventi edilizi quali individuati dalla legge statale – rispetto alla quale, anzi, è evidente lo sforzo di conformazione – da essa non si possono pertanto trarre elementi per valutare diversamente l’unico aspetto che qui rileva: vale a dire se la ristrutturazione edilizia con ampliamento di cubatura dell’edificio storico in questione potesse essere effettuata con una (in progetto non prevista) integrale demolizione e ricostruzione del manufatto e se questa violazione del permesso di costruire integri un’ipotesi di difformità totale rilevante ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. c, T.U.E. E’ appena il caso di ricordare, d’altronde, come le disposizioni di legge regionale non possano in alcun modo incidere sull’area di applicazione della fattispecie penali, materia che, ai sensi dell’art. 117, primo comma, lett. l), Cost. resta affidata alla legislazione esclusiva dello Stato così confermandosi la natura statale della riserva di legge prevista dall’art. 25, secondo comma, Cost. (cfr. Corte cost., sent. 25/10/1989, n. 487).

    

    4.   Il secondo motivo di ricorso è inammissibile,

L’ordinanza impugnata attesta che i lavori sono proseguiti malgrado l’adozione dell’ordinanza di sospensione degli stessi, adducendosi pretestuosamente che il provvedimento – notificato agli odierni ricorrenti – non era stato correttamente trasmesso alla ditta esecutrice dei lavori, e che per questa ragione risulta conclamato il pericolo derivante dalla libera disponibilità dell’immobile. Analogo rilievo è contenuto nel decreto di sequestro preventivo.

    Trattasi, pertanto, di motivazione certamente esistente – e non apparente – circa la sussistenza del periculum, peraltro resa con riguardo ad un accertamento di fatto risultante da entrambi i provvedimenti di merito, che sul punto danno luogo ad una decisione c.d.  “doppia conforme”. In questo quadro,  in forza dell’art. 325 cod. proc. pen., essendo il ricorso per cassazione ammissibile solo per violazione di legge (Sez. 3, n. 45343 del 06/10/2011, Moccaldi e a., Rv. 251616) ed essendo quindi deducibile soltanto l’inesistenza o la mera apparenza della motivazione, ma non anche la sua illogicità manifesta, ai sensi dell’art. 606, comma primo, lettera e), cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, Zaharia, Rv. 269119), il giudice di legittimità non può procedere ad un penetrante vaglio sulla motivazione addotta nel provvedimento impugnato quale quello che i ricorrenti hanno sottoposto al Collegio, peraltro allegando – per provare il travisamento della prova attestato dalla doppia conforme – accertamenti di sopralluoghi avvenuti in date ben successive a quella di prosecuzione indebita dei lavori indicata nel decreto di sequestro.

    5. In considerazione dell’infondatezza del primo motivo, i ricorsi vanno quindi rigettati con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 12 luglio 2019.

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