26/11/2019 – Urbanistica. Mancata esposizione cartello di cantiere

Urbanistica. Mancata esposizione cartello di cantiere
Pubblicato: 25 Novembre 2019
Cass. Sez. III n. 43698 del 28 ottobre 2019 (Ud  12 giu 2019)
 
La fattispecie penale residuale di cui alla lett. a) dell’art. 44 dpr 3801 sussiste ogni qual volta il regolamento edilizio preveda l’apposizione del cartello, anche se il titolo rilasciato non sia il permesso di costruire. Di fatti, soltanto le ipotesi di reato contenute nell’art. 44, comma 1, lett. b) e c), T.U.E.  – salva la diversa fattispecie di lottizzazione abusiva prevista da tale ultima disposizione – si riferiscono esclusivamente allo svolgimento di lavori in assenza o in totale difformità o variazione essenziale dal permesso di costruire e, nel caso di opere assoggettate al regime della s.c.i.a., sono state a quelle parificate nei limiti in cui si tratti di titolo alternativo al permesso ai sensi dell’art. 23, comma 01, T.U.E. (cfr. art. 44, comma 2, T.U.E.). La fattispecie penale residuale di cui alla lett. a), salva l’ipotesi dei lavori in parziale difformità (pure questa limitata al solo caso in cui il titolo sia quello del permesso di costruire), si riferisce invece a qualsiasi tipo di inosservanza delle previsioni normative, di pianificazione e regolamentari, indipendentemente dal fatto che si tratti d’intervento assoggettato a permesso di costruire (o a s.c.i.a. ad esso alternativa) piuttosto che a semplice s.c.i.a. Se, dunque, il regolamento edilizio preveda l’apposizione del cartello anche per opere assoggettate alla semplice s.c.i.a., l’inosservanza della disposizione integrerà gli estremi della contravvenzione in parola, peraltro punita con la sola pena dell’ammenda senza limiti minimi edittali.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 16 novembre 2018, il Tribunale di Siena, dichiarando l’estinzione per intervenuta sanatoria dei reati di cui all’art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (d’ora in avanti, T.U.E.) e 181, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione a lavori contestati come eseguiti in totale difformità ed assenza di permesso di costruire e di autorizzazione paesaggistica, ha per il resto affermato la responsabilità di tutti gli imputati, condannandoli alla pena di legge della sola ammenda, per i medesimi lavori, in ordine al reato di cui all’art. 44, comma 1, lett. a), T.U.E. per la mancata affissione del cartello di cantiere e, ad eccezione dell’imputato Daniele Ciaffaraffà, altresì del reato di cui all’art. 95 T.U.E. per aver omesso di denunciare le opere al competente ufficio regionale pur trattandosi di intervento ricadente in zona sismica.

 

2. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i difensori dei quattro imputati, deducendo i motivi di seguito enunciati.

3. Nel ricorso proposto nell’interesse di Daniela Rappuoli, legale rappresentante della società proprietaria e committente dei lavori, con il primo motivo si deducono  violazione degli artt. 27 e 44, lett. a), T.U.E. per essere stata ritenuta la penale responsabilità con riguardo all’omessa affissione del cartello di cantiere, benché i lavori fossero già stati ultimati (come, contraddittoriamente, reputa la stessa sentenza impugnata) e benché si trattasse di interventi assentibili con s.c.i.a. con conseguente rilevanza soltanto amministrativa dell’illecito. In ogni caso, il rilascio del permesso di costruire in sanatoria ai sensi dell’art. 36 T.U.E, in forza della previsione di cui al successivo art. 45, avrebbe estinto anche tale reato, avendo il medesimo natura di contravvenzione urbanistica.

3.1. Con il secondo motivo si deducono violazione degli artt. 93 e 95 T.U.E. e vizio di motivazione per essere stato ritenuto tale reato benché le opere avessero dimensioni inferiori alla soglia prevista dall’art. 12, lett. q, reg. regionale 7 luglio 2009, n. 36/R, trattandosi di opere di trascurabile importanza ai fini della pubblica incolumità ed in particolare di un piccolo vano tecnico interrato con funzione di scannafosso.

3.2. Con il terzo motivo si lamentano violazione dell’art. 131 bis cod. pen. e vizio di motivazione per non essere stata dichiarata la non punibilità per particolare tenuità del fatto.

4. Nel ricorso proposto nell’interesse di Andrea Stocchi, esecutore delle opere edili, si propongono tre motivi afferenti a vizi di motivazione e di violazione di legge sostanzialmente sovrapponibili a quelli dedotti con il ricorso proposto da Daniela Rappuoli.

5. Col ricorso proposto nell’interesse di Michele Giubilei, progettista e direttore dei lavori, col primo motivo, in relazione al reato di cui al capo C) dell’imputazione, si deducono innanzitutto  violazione degli artt. 27 e 45  T.U.E. per non essere stata dichiarata estinta per intervenuta sanatoria anche la contravvenzione relativa all’omessa affissione del cartello di cantiere, trattandosi di reato urbanistico, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, che l’ha qualificato come reato edilizio. In ogni caso, trattandosi di lavori non assoggettati a permesso di costruire, non vi sarebbe stato obbligo di apposizione del  cartello.

In secondo luogo si deduce il vizio di motivazione per non essere stata applicata la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis cod. pen.

5.1. Con il secondo motivo di ricorso, in relazione al reato di cui al capo D) di imputazione, si lamentano vizio di motivazione per la ragione appena indicata e inosservanza degli artt. 23, comma 2, reg. regionale 11 novembre 2013 n. 64/R e 12 del già citato reg. 36/2009, nonché dell’art. 47 cod. pen. In forza delle richiamate norme regolamentari – si osserva – le opere non generavano volume aggiuntivo e non era quindi necessario né il permesso di costruire né occorreva seguire le disposizioni per la costruzione in zone sismiche e laddove si ritenesse che tali disposizioni regionali debbano essere disapplicate per contrasto con la legge nazionale si sarebbe comunque dovuto escludere la sussistenza del dolo.

5.2. Con il terzo motivo si lamenta il vizio di motivazione, per un verso con riguardo alla pena determinata –irrogata in termini pari o superiori alla media edittale senza specifica motivazione – e per  altro verso per la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.

6. Con il primo motivo del ricorso proposto nell’interesse di Daniele Ciaffaraffà, esecutore delle sole opere di movimentazione e riporto terreno, si lamenta violazione della legge penale per essere stata ritenuta la necessità dell’apposizione del cartello benché fosse emerso in giudizio che si trattava di lavori assentibili con s.c.i.a. alternativa, sicché l’obbligo, se previsto, integrerebbe unicamente un illecito amministrativo.

6.1. Con il secondo motivo si lamenta erronea e falsa applicazione della legge penale perché le opere eseguite dal ricorrente, da qualificarsi come operazioni di piccola entità ai sensi dell’art. 64 reg. regionale n. 7/2002, occorreva soltanto una comunicazione al competente ente locale, la cui mancanza è sanzionata esclusivamente in via amministrativa, sicché per le stesse non occorreva l’apposizione del cartello di cantiere né erano configurabili violazioni di carattere penale.

6.2. Con il terzo motivo si lamenta violazione della legge penale per il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, effettuato con motivazione apparente e senza nemmeno differenziare le posizioni dei diversi imputati.

CONSIDERATO IN DIRITTO

    

    1. Le doglianze mosse da tutti i ricorrenti con riguardo all’affermazione di penale responsabilità per il reato di cui all’art. 44, comma 1, lett. a), T.U.E. sono infondate.

    In fatto, la sentenza impugnata attesta che il regolamento edilizio del comune di Castiglione d’Orcia, ove i lavori edilizi descritti al capo A) d’imputazione vennero effettuati, prescrive l’obbligo di apposizione del c.d. cartello di cantiere, con l’indicazione, tra l’altro, del “tipo e titolo dell’opera in corso di realizzazione e estremi dell’atto abilitativo”. Benché, al momento dell’accertamento quei lavori – per i quali era stata rilasciata una s.c.i.a. alternativa al permesso di costruire di cui al vigente art. 23, comma 01, T.U.E. – fossero in corso, in quanto non ancora ultimati, ed  il titolo edilizio fosse ancora efficace, il cartello di cantiere non era stato esposto.

    Nessuno dei ricorrenti contesta specificamente che il regolamento edilizio prescrivesse l’obbligo di esporre il cartello di cantiere, che questo non fosse esposto al momento dell’accertamento (del tutto generica, sul punto, è la contestazione del ricorrente Ciaffaraffà, che pure, alla fine, riconosce che il teste Picci riferì questa circostanza)  e che le opere fossero soggette al regime della c.d. s.c.i.a. alternativa al permesso di costruire, limitandosi alcuni di essi (Rappuoli e Stocchi) a contestare che i lavori fossero ancora in corso, altri (Giubilei) a rilevare che non si trattava di lavori soggetti al permesso di costruire, altri ancora (Ciaffaraffà) ad osservare che le opere dal medesimo eseguite (movimentazione e riporto di terreni) erano assoggettate alla sola autorizzazione la cui mancanza origina mero illecito amministrativo.

    Osserva, al proposito, il Collegio che tali contestazioni sono prive di pregio, poiché:

    • la sentenza non attesta che al momento dell’accertamento i lavori fossero conclusi, ma si limita correttamente ad osservare che l’obbligo di esposizione del cartello non viene meno nel caso di “cantiere inoperante o sospeso, essendo invece necessaria la sua presenza dall’inizio dei lavori fino alla loro definitiva conclusione”, e gli stessi ricorrenti Rappuoli e Stocchi – che non dimostrano il travisamento della prova sul punto – in sostanza ammettono che i lavori non erano ultimati perché il fabbricato era allo “stato grezzo” (per il consolidato orientamento secondo cui l’ultimazione delle opere coincide con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni, quali gli intonaci e gli infissi, v. Sez. 3, n. 39733 del 18/10/2011, Ventura, Rv. 251424; Sez. 3, n. 48002 del 17/09/2014, Surano, Rv. 261153; ciò che vale anche per le parti che costituiscono annessi dell’abitazione, come i locali destinati a magazzino e garage: Sez. 3, n. 8172 del 27/01/2010, Vitali, Rv. 246221);

    • essendo attestato in sentenza (e non contestato dagli altri ricorrenti) che il titolo rilasciato era una s.c.i.a. alternativa al permesso di costruire, sono del tutto generiche le contestazioni mosse al proposito dal ricorrente Giubilei circa il fatto che i lavori non potessero ritenersi assoggettati al permesso di costruire, così come generico – in quanto non ancorato ad alcun dato normativo – è il rilievo secondo cui l’obbligo di apposizione del cartello di cantiere dovrebbe ritenersi operante nel solo caso di lavori soggetti al permesso di costruire;

    • che il ricorrente Ciaffaraffà abbia eseguito soltanto i lavori di movimento e riporto terra è circostanza ininfluente, poiché trattandosi – stando a quanto risulta in sentenza – di lavori connessi nell’ambito dell’unico, complessivo, intervento per cui era stata rilasciata la s.c.i.a. alternativa (peraltro eseguiti in difformità dal titolo) gli stessi non sono certo suscettibili di separata valutazione, dovendo richiamarsi il consolidato principio secondo cui la valutazione dell’opera, ai fini della individuazione del regime abilitativo applicabile, deve riguardare il risultato dell’attività edificatoria nella sua unitarietà, senza che sia consentito considerare separatamente i singoli componenti (Sez.  3, n. 16622 del 08/04/2015, Casciato, Rv. 263473; Sez.  3, n. 5618 del 17/11/2011, dep. 2012, Forte, Rv. 2521259), salvo che – ma non risulta questo il caso – ci si sia lecitamente determinati, in tempi successivi, ad eseguire singole opere, non programmate sin dall’inizio (Sez.  3, n. 8945 del 20/10/2011, dep. 2012, Mazzei, Rv. 252242).

2. Ciò premesso, rileva il Collegio che correttamente e motivatamente la sentenza impugnata ha ritenuto integrato il reato di cui all’art. 44, comma 1, lett. a), T.U.E., che, com’è noto, sanziona con la sola pena dell’ammenda, tra l’altro, «l’inosservanza delle norme…previste dal presente titolo, in quanto applicabili, nonché dai regolamenti edilizi». Or bene, non solo l’obbligo di apporre il cartello di cantiere era nella specie previsto, come si è detto, nel regolamento edilizio comunale, ma va considerato che anche l’art. 27, comma 4, T.U.E. – disposizione che apre il Titolo IV del testo unico in materia edilizia e che dunque certamente rientra tra quelle richiamate dalla disposizione incriminatrice – prevede che nell’ambito della vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, «gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, ove nei luoghi in cui vengono realizzate le opere…non sia apposto il prescritto cartello…ne danno immediata comunicazione all’autorità giudiziaria», oltre che agli organi amministrativi competenti per l’irrogazione delle relative sanzioni.

Pronunciandosi sull’identica disposizione quale prevista dall’art. 4, quarto comma, legge 28 febbraio 1985 n. 47 e risolvendo un contrasto di giurisprudenza che era insorto sul punto, le Sezioni unite di questa Corte hanno affermato che la violazione dell’obbligo di esposizione del cartello (così come quello, parimenti previsto dalla norma, di esibire il titolo edilizio) è penalmente sanzionata a norma della lett. a) della fattispecie incriminatrice, a condizione che quegli obblighi risultino espressamente previsti anche dai regolamenti edilizi o dal titolo  (Sez.  U, n. 7978 del 29/05/1992, Aramini e a., Rv. 191176). Mai posto in discussione dalla successiva giurisprudenza (cfr., ex multis, Sez.  3, n. 16037 del 07/04/2006, Bianco, Rv. 234330; Sez.  3, n. 46832 del 15/10/2009, Thabet, Rv. 245613), questo principio è stato più di recente riaffermato con la precisazione che la violazione dell’obbligo di esporre il cartello indicante gli estremi del titolo abilitativo, qualora prescritto dal regolamento edilizio o dal titolo medesimo, è tuttora punita dall’ art. 44, lett. a) del d.P.R. n. 380 del 2001 se commessa dal titolare del permesso a costruire, dal committente, dal costruttore o dal direttore dei lavori (Sez.  3, n. 29730 del 04/06/2013, Stroppini e aa., Rv. 255836), essendo detti soggetti responsabili, giusta il principio ricavabile dall’art. 29, comma 1, T.U.E., di conformarsi alle previsioni urbanistiche ed esecutive risultanti dalla normativa, dalla pianificazione, dal titolo edilizio. Il principio va qui ribadito, con l’ulteriore precisazione – connessa ai rilievi nella specie mossi e già più sopra esaminati – che, in costanza d’efficacia del titolo, l’obbligo di apposizione del cartello perdura sino all’ultimazione dei lavori, anche se gli stessi siano stati momentaneamente sospesi. L’attività di vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia di cui all’art. 27 T.U.E., di fatti, concerne tutte le opere che ancora non siano state ultimate, ben potendo l’attività costruttiva riprendere in qualsiasi momento prima che sia stata formalmente comunicata la dichiarazione di conclusione dei lavori e perdurando la consumazione degli illeciti in parola sino all’ultimazione delle opere nel senso più sopra precisato.

Non deve, peraltro, sottovalutarsi la potenziale gravità dell’omissione in parola, che è reato che certamente mette in pericolo i beni (plurimi, come più oltre si dirà) oggetto di protezione. Chi abbia costruito in difformità dal titolo ottenuto – ed è ciò che nel caso di specie si è verificato – e voglia evitare i controlli ed impedire la scoperta di eventuali reati da parte degli organi incaricati sulla vigilanza sul territorio, ha infatti tutto l’interesse a celare l’esistenza del cantiere, mirando a concludere i lavori e a consumare definitivamente i reati.

2.1. Tutti gli imputati, pertanto, debbono rispondere della contravvenzione in parola, posto che la violazione penale sussiste ogni qual volta il regolamento edilizio preveda l’apposizione del cartello, anche se il titolo rilasciato non sia il permesso di costruire. Di fatti, soltanto le ipotesi di reato contenute nell’art. 44, comma 1, lett. b) e c), T.U.E.  – salva la diversa fattispecie di lottizzazione abusiva prevista da tale ultima disposizione – si riferiscono esclusivamente allo svolgimento di lavori in assenza o in totale difformità o variazione essenziale dal permesso di costruire e, nel caso di opere assoggettate al regime della s.c.i.a., sono state a quelle parificate nei limiti in cui si tratti di titolo alternativo al permesso ai sensi dell’art. 23, comma 01, T.U.E. (cfr. art. 44, comma 2, T.U.E.). La fattispecie penale residuale di cui alla lett. a), salva l’ipotesi dei lavori in parziale difformità (pure questa limitata al solo caso in cui il titolo sia quello del permesso di costruire), si riferisce invece a qualsiasi tipo di inosservanza delle previsioni normative, di pianificazione e regolamentari, indipendentemente dal fatto che si tratti d’intervento assoggettato a permesso di costruire (o a s.c.i.a. ad esso alternativa) piuttosto che a semplice s.c.i.a. (cfr. Sez.  3, n. 9894 del 20/01/2009, Tarallo, Rv. 243099). Se, dunque, il regolamento edilizio preveda l’apposizione del cartello anche per opere assoggettate alla semplice s.c.i.a., l’inosservanza della disposizione integrerà gli estremi della contravvenzione in parola, peraltro punita con la sola pena dell’ammenda senza limiti minimi edittali.

La conclusione è peraltro in linea col disposto di cui all’art. 27 T.U.E., che nel disciplinare la vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia non si limita ai soli profili di rilevanza penale delle trasgressioni e la cui ratio comunque depone nel senso che – ove il comune lo abbia espressamente previsto, così da porre i destinatari dell’obbligo in grado di conoscerne senza incertezze l’esistenza – gli organi di vigilanza siano messi in condizione di sapere dove sono in corso lavori di trasformazione urbanistico-edilizia del territorio per poter svolgere i necessari controlli. Del resto, l’esperienza insegna che non di rado abusi di rilevanza penale nascano dalla realizzazione di opere difformi rispetto a progetti presentati per interventi dichiarati come di minimo impatto urbanistico-edilizio e pertanto svolti sulla base di semplice s.c.i.a., sicché l’interpretazione del reato di pericolo in parola qui affermata è pienamente aderente alla ratio che ispira le disposizioni in tema di tutela penale del territorio.

Diversamente da quel che opinano taluni dei ricorrenti – senza argomentare in diritto il postulato  (nonostante il principio di legalità valga ovviamente anche per le sanzioni amministrative: cfr. art. 1 l. 24 novembre 1981, n. 689) – anche la violazione del divieto di apporre il cartello edilizio nel caso di s.c.i.a. non alternativa al permesso di costruire rientra dunque nella previsione di cui all’art. 44, comma 1, lett. a), T.U.E. Nel caso di specie, peraltro, da un lato non risulta (e non è specificamente contestato) che la previsione del regolamento edilizio comunale non si riferisca pure a detto titolo semplificato e, d’altro lato, si è detto di come la sentenza impugnata attesti che il titolo rilasciato era una s.c.i.a. alternativa al permesso di costruire, sicché nessun dubbio può porsi sulla sussistenza della contravvenzione.

3. Ciò acclarato, reputa il Collegio che sia infondata l’ulteriore doglianza proposta in ricorso circa il fatto che il rilascio del permesso di costruire in sanatoria abbia estinto anche la contravvenzione in esame.

Com’è noto, per il combinato disposto di cui agli artt. 36 e 45, comma 3, T.U.E., quest’ultima previsione dispone che «il rilascio in sanatoria del permesso di costruire estingue i reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti». L’ambito di applicazione della speciale causa di estinzione del reato dipende, in primo luogo, dalla tipologia di accertamento di conformità che la disposizione richiama (che si limita alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente  al momento della realizzazione dell’opera ed al momento di presentazione della domanda in sanatoria: cfr. art. 36, comma 1, T.U.E.), sicché, ad es., lo stesso non spiega ovviamente alcun effetto con riguardo ai reati paesaggistici previsti dall’art. 181 d.lgs. 42 del 2004 (Sez.  7, n. 11254 del 20/10/2017, dep. 2018, Franchino e aa., Rv. 272546; Sez.  3, n. 40375 del 09/09/2015, Casalanguida e a., Rv. 264931). D’altro canto, per espressa previsione normativa, la sanatoria opera soltanto per le contravvenzioni urbanistiche e non anche per quelle edilizie, sicché la giurisprudenza è consolidata nel ritenere che il conseguimento del permesso di costruire in sanatoria ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380  non comporta l’estinzione dei reati previsti, dallo stesso testo unico, con riguardo alle inosservanze della normativa antisismica e di quelle sulle opere di conglomerato cementizio (Sez.  3, n. 19196 del 26/02/2019, Greco, Rv. 275757; Sez.  3, n. 54707 del 13/11/2018, Cardella, Rv. 274212; Sez.  3, n. 38953 del 04/07/2017, Rizzo, Rv. 270792).

Ciò posto, occorre allora chiarire se la contravvenzione in esame sia configurabile come urbanistica, ovvero edilizia, se, cioè, abbia riguardo (esclusivamente) a profili concernenti la conformità  dei lavori alle previsioni (normative e, soprattutto, di pianificazione) che disciplinano la trasformazione del territorio, ovvero (anche) a profili concernenti il rispetto della normativa tecnica in tema di costruzioni, come quella appunto prevista nelle zone sismiche ovvero per le opere che, anche in relazione ai materiali utilizzati, interessano la pubblica incolumità.

In conformità a quanto ritenuto dal giudice di merito, il Collegio reputa corretta la seconda linea interpretativa, come si ricava dalle informazioni che – secondo il regolamento comunale nella specie violato – il cartello di cantiere era deputato a fornire. Ed invero – si legge nella sentenza impugnata – la previsione regolamentare prescrive che esso contenga dati che certamente si riferiscono al profilo edilizio (e non soltanto urbanistico) della costruzione, come “il nome del calcolatore della struttura” e il “nome del Direttore dei lavori”, ciò che è ad es. funzionale ad accertare l’eventuale violazione dell’art. 64, commi 2 e 3, T.U.E., sanzionata dalla contravvenzione edilizia di cui al successivo art. 71, comma 1, ovvero la sussistenza della contravvenzione, parimenti edilizia, di cui all’art. 73 T.U.E., nonché all’attuazione delle disposizioni in materia di vigilanza sui medesimi reati e su quelli, analoghi, previsti dalla disciplina delle costruzioni in zone sismiche (si consideri, ad es., i provvedimenti di sospensione dei lavori di cui agli artt. 70 e 97 T.U.E.). Ulteriori informazioni da contenersi nel cartello di cantiere riguardano, poi, la diversa materia del rispetto delle prescrizioni sulla sicurezza del lavoro nei cantieri edili (si pensi all’indicazione del “Coordinatore della sicurezza in fase di progettazione e Coordinatore della sicurezza in fase di escuzione” e agli “estremi della notifica preliminare”). La violazione sull’obbligo di affiggere il cartello di cantiere, dunque, riguarda beni giuridici diversi (e ulteriori) rispetto a quello, tipico delle contravvenzioni urbanistiche, della mera conformità dell’opera alle previsioni di piano e agli standards urbanistici, sicché la contravvenzione non può dirsi sanata nel caso di rilascio del permesso di costruire in sanatoria.

Del resto, la riprova della correttezza di tale conclusione si ha constatando che la contravvenzione di regola sussiste indipendentemente dall’esistenza di una delle “classiche” ipotesi di illecito urbanistico che sono sanate dal rilascio del permesso di costruire in sanatoria. Ed invero, nel caso di abuso c.d. “totale”, vale a dire allorquando si è posto mano alla modifica del territorio assoggettata al rilascio del permesso di costruire senza richiede alcun titolo abilitativo, l’unico reato configurabile è quello di costruzione in assenza di permesso, posto che la contravvenzione di omessa affissione del cartello di cantiere presuppone che un titolo edilizio sia stato rilasciato e che ci si trovi di fronte ad un iter amministrativo quantomeno ab origine regolare; se, d’altro canto, la contravvenzione di cui all’art. 44, comma 1, lett. a), T.U.E. riguardi – come si è visto essere ben possibile – un intervento non assoggettato a permesso di costruire, sarebbe irrazionale legare la possibilità di estinguere il reato al rilascio di un provvedimento che non sarebbe possibile né richiedere, né ottenere.

In sostanza, l’inosservanza di cui qui si discute si muove su un piano diverso da quello della mera compatibilità urbanistica tra pianificazione ed opera eseguita sul quale invece opera l’accertamento di conformità di cui all’art. 36 T.U.E. che produce effetti estintivi a norma del successivo art. 45, comma 3, del testo unico. Queste considerazioni hanno peraltro indotto questa Corte, ad es., a negare l’effetto estintivo con riguardo ad una contravvenzione che, invece, è sicuramente definibile come urbanistica, ma rispetto alla quale l’accertamento di conformità è privo di alcun rilievo: la sanatoria delle violazioni edilizie che, ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, determina l’estinzione del reato, non è applicabile alla lottizzazione abusiva in quanto essa presuppone la conformità delle opere eseguite alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della realizzazione del manufatto, sia a quello della presentazione della domanda di sanatoria, mentre nel caso di lottizzazione abusiva, le opere non possono mai considerarsi conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente, al momento della loro costruzione (Sez.  3, n. 28784 del 16/05/2018, Amente e aa., Rv. 273307; Sez.  3, n. 38064 del 18/06/2004, Semeraro, Rv. 230039).

4. Inammissibili per manifesta infondatezza sono invece le doglianze relative alla riconosciuta responsabilità per le violazioni in materia antisismica.

Premesso che il manufatto oggetto di contestazione per mancata denuncia dei lavori e presentazione del progetto, nonostante la pacifica natura sismica della zona, è consistito – come si legge in imputazione – nella realizzazione di un “locale seminterrato ricavato al di sotto del marciapiede di lunghezza pari al fabbricato, con altezze interne diverse con solaio di copertura in laterizio, ancorato alla muratura portante in pietra dell’edificio, munito di porta di ingresso sul lato Sud”, non c’è dubbio che esso rientrasse nel novero delle “costruzioni” che per gli artt. 83 e 93, comma 1, T.U.E. richiedono il rispetto delle relative prescrizioni. Per consolidato orientamento, di fatti, la citata disciplina si applica a tutte le costruzioni realizzate in zona sismica, la cui sicurezza possa interessare la pubblica incolumità e per le quali si rende pertanto necessario il controllo preventivo da parte della P.A., a prescindere dai materiali utilizzati e dalle relative strutture, nonché dalla natura precaria o permanente dell’intervento (Sez.  3, n. 9126 del 16/11/2016, dep. 2017, Aliberti, Rv. 269303; Sez.  3, n. 48950 del 04/11/2015, Baio, Rv. 266033; Sez.  3, n. 6591 del 24/11/2011, dep. 2012, D’Onofrio, Rv. 252441).

A nulla rilevano le disposizioni regionali richiamate dai ricorrenti, posto che in tema di prevenzione del rischio sismico, il reato previsto dall’art. 95 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 è applicabile a qualsiasi opera, eseguita in assenza della prescritta autorizzazione antisismica, in grado di esporre a pericolo la pubblica incolumità, senza che le Regioni possano adottare in via amministrativa deroghe per particolari categorie di interventi (Sez.  3, n. 19185 del 14/01/2015, Garofano, Rv. 263376), posto che le uniche competenze consentite sono quelle di cui all’art. 83, comma 3, T.U.E., che non riguardano, appunto, l’individuazione delle opere assoggettate. Il provvedimento regionale invocato, peraltro, ha natura di fonte secondaria, trattandosi di un regolamento di attuazione di legge regionale adottato con Decreto del Presidente della Giunta Regionale in data 9 luglio 2009, n. 36/R, sicché, quand’anche volesse ritenersi, come allega il ricorrente Giubilei, che vi sarebbe incompatibilità tra fonte normativa statale e fonte regionale, la natura secondaria del regolamento cederebbe necessariamente il passo a quella primaria, con conseguente non configurabilità di alcun profilo di buona sede idoneo ad escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo.  Deve inoltre rilevarsi come la doglianza circa l’applicabilità di tale disposizione regolamentare sia generica, poiché il citato art. 12 reg. 36/R, rimandando all’art. 105 ter l.r. 3 gennaio 2005, n. 1, esclude la necessità del preavviso soltanto se le costruzioni in esso indicate ricadano in zone classificate come a bassa sismicità, e i ricorrenti non hanno allegato, né dimostrato, che tale requisito sussista nel caso di specie.

I residui rilievi di cui al secondo motivo del ricorso proposto dall’imputato Giubilei sono del tutto generici, non essendo qui in discussione – perché coperto dalla sanatoria urbanistica – il profilo relativo alla sussistenza della totale difformità tra quanto autorizzato e quanto realizzato.

5. Manifestamente infondate e generiche, da ultimo, sono le doglianze proposte dai ricorrenti in punto pena.

5.1. Quando alla mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen. – fatta oggetto di doglianza da tutti i ricorrenti fuorché da Ciaffaraffà (che si è limitato ad invocare la tenuità del fatto con riguardo alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, non valendo a sanare l’omessa deduzione della questione con il ricorso la verbale richiesta effettuata dal difensore soltanto in sede di udienza di discussione) – il giudice di merito l’ha negata tenendo conto della consistenza delle opere oggetto contestazione, della pluralità dei reati commessi, anche del profilo di rilevanza sull’incolumità delle persone, valutazioni che hanno peraltro condotto all’applicazione di una pena non certo prossima al minimo edittale, come di seguito meglio si dirà. Si tratta di valutazione discrezionale di merito, non illogicamente motivata, che non può essere in questa sede altrimenti sindacata. La riduzione del danno determinata dalla presentazione in sanatoria del progetto antisismico non vale, peraltro, ad inficiare la logicità dell’argomentazione, posto che la pratica risulta presentata a seguito dell’accertamento dei reati – e ai fini di ottenere il rilascio della sanatoria urbanistica – mentre la valutazione sulla particolare tenuità dell’offesa di cui all’art. 131 bis cod. pen., sia pur non del tutto indifferente rispetto al perdurare delle conseguenze lesive in un reato permanente come quello di cui all’art. 95 T.U.E. (per tale natura, v. Sez.  3, n. 13731 del 22/11/2018, Picano, Rv. 275189), va innanzitutto condotta con riguardo al momento della consumazione del reato. Detto profilo, del resto, è ben poco rilevante rispetto al reato di pericolo connesso alla mancata apposizione del cartello di cantiere.

5.2. La doglianza sulla quantificazione della pena avanzata dal ricorrente Giubilei è manifestamente infondata, essendo stata avanzata sull’errato presupposto che la pena di 10.329 Euro comminata per il più grave reato di cui al capo a) fosse superiore alla media edittale. Essendo stata raddoppiata la pena edittale originariamente prevista in forza dell’art. 32, comma 47, d.l. 30 settembre 2003, n. 269, conv. i l. 24 novembre 2003 n. 326, la pena irrogata dal Tribunale è invece esattamente pari alla media edittale, sicché deve richiamarsi il principio secondo cui, in tema di determinazione della pena, nel caso in cui venga irrogata una pena non superiore alla media edittale non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197). Come più sopra si rilevato, il giudice ha peraltro dato espressamente conto delle ragioni per cui la gravità del reato non poteva essere ritenuta in termini minimi.

5.3. Quanto alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche fatta oggetto di doglianza dal solo imputato Ciaffaraffà, si tratta di motivo privo di specificità, poiché ci si limita a rilevare la tenuità del fatto – già esclusa dal giudice – l’incensuratezza (omettendo il confronto con il disposto di cui all’art. 62 bis, terzo comma, cod. pen.), l’intervenuta sanatoria urbanistica (che lo stesso ricorrente riconosce non essere pertinente al reato di pericolo oggetto di condanna), la mancata differenziazione delle condotte dei diversi imputati (profilo non altrimenti specificato, che il giudice ha evidentemente ritenuto irrilevante in ragione del ritenuto concorso).

Anche al proposito, per contro, il percorso logico seguito dal giudice di merito – che ha rilevato la gravità in concreto del fatto, aggiungendo l’assenza di elementi oggettivi o soggettivi che giustificassero il riconoscimento delle invocate attenuanti – è stato adeguatamente esposto, non appare inficiato da illogicità manifesta e non è dunque sindacabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen..

    Va innanzitutto ricordato che, in tema di circostanze attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899).  

In secondo luogo, osserva il Collegio che, in tema di attenuanti generiche, la meritevolezza dell’adeguamento della pena, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni del fatto o del soggetto, non può mai essere data per presunta, ma necessita di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio (Sez. 1, n. 46568 del 18/05/2017, Lamin, Rv. 271315), sicché quando la relativa richiesta non specifica gli elementi e le circostanze che, sottoposte alla valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza e legittimità dell’istanza, l’onere di motivazione del diniego dell’attenuante è soddisfatto con il solo richiamo alla ritenuta assenza dagli atti di elementi positivi su cui fondare il riconoscimento del beneficio (Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015, dep. 2016, Piliero, Rv. 266460).

6. I ricorsi, complessivamente infondati, vanno pertanto rigettati con condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 12 giugno 2019.

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