21/11/2019 – Annullamento in autotutela dell’autorizzazione e superamento del termine di diciotto mesi

Annullamento in autotutela dell’autorizzazione e superamento del termine di diciotto mesi
di Michele Deodati – Responsabile SUAP Unione Appennino bolognese e Vicesegretario comunale
Una società gestisce una struttura autorizzata dal Comune quale Centro residenziale per anziani autosufficienti ai sensi della normativa regionale vigente. In seguito, a tale autorizzazione si è sovrapposto altro titolo abilitativo per Residenza sociale assistita per anziani autosufficienti, con successivo aumento della capacità di accoglienza.
Si tratta dunque di struttura destinata al ricovero diurno di soli anziani autosufficienti, ma per errore materiale l’ultimo atto recava un richiamo, nell’oggetto e nel dispositivo, alla tipologia di Residenza Sanitaria Assistita, che secondo la disciplina regionale applicabile è struttura idonea ad ospitare anche anziani non autosufficienti, anziché prendere il nome di Residenza Sociale Assistita, come invece previsto in tutti gli atti istruttori inerenti la struttura interessata.
Dopo aver dato atto dell’errore materiale, per cui la struttura aveva ricevuto gli assensi dovuti per ospiti autosufficienti, il Comune ha ritenuto opportuno ridefinire la precedente autorizzazione amministrativa modificandola nel senso di riferirla a struttura a prevalente accoglienza alberghiera per soggetti parzialmente autosufficienti o disabili non gravi, caratterizzata da bassa intensità assistenziale.
In seguito, la competente struttura di valutazione dell’Ausl, cui compete esprimere un parere rispetto alle domande di autorizzazione di strutture socio-sanitarie e assistenziali, oltre alla connessa attività di vigilanza, a seguito di un sopralluogo ha emesso apposito verbale dal quale emergevano diverse irregolarità e la presenza di anziani con requisiti di non autosufficienza. In particolare, nei successivi sviluppi istruttori emergeva che tutti gli anziani presenti avevano il riconoscimento di una invalidità civile al 100% con diritto all’accompagnamento, tranne uno.
A fronte di tali circostanze, il Comune assumeva un provvedimento di annullamento dell’autorizzazione rilasciata rispetto all’ampliamento. L’opportunità dell’annullamento è stata motivata dall’Amministrazione sul presupposto che, rispetto all’ampliamento, la società richiedente non aveva partecipato alla sperimentazione regionale, condizione necessaria ai fini del rilascio di autorizzazione allo svolgimento di attività di accoglienza a bassa intensità assistenziale di ospiti non autosufficienti. Inoltre, si ingiungeva alla società di cessare l’attività di accoglienza di ospiti non autosufficienti, in quanto tale attività risultava incompatibile con il titolo originariamente rilasciato.
Sempre il Comune ha poi adottato ulteriori atti per integrare le ragioni del ritiro del precedente titolo, sostenendo che l’autorizzazione per pazienti autosufficienti, in linea con il parere dell’Ausl, era stata così rilasciata in quanto la domanda presentata a suo tempo non ha mai fatto riferimento a degenti parzialmente autosufficienti o disabili non gravi, caratterizzata da bassa intensità assistenziale. L’interesse pubblico attuale a fondamento dell’autotutela comunale è da ricercarsi nella tutela dell’interesse primario alla salute, altrimenti lesa dall’esercizio di un’attività espletata in assenza dei presupposti di legge, sia al momento del rilascio dell’autorizzazione, sia al momento dei successivi e più recenti sopralluoghi.
Il ricorso al T.A.R.: alternative all’annullamento
A seguito dell’annullamento dell’autorizzazione, la società presentava ricorso al competente T.A.R., che lo accoglieva nel merito annullando i provvedimenti di ritiro. Il Giudice ha rilevato che i contenuti provvedimentali si riferivano da un lato all’annullamento dell’autorizzazione ottenuta in assenza di una espressa domanda di parte sulla non autosufficienza e senza aver partecipato alla sperimentazione, e dall’altro alla cessazione dell’attività di ricovero di anziani parzialmente non autosufficienti esercitata dalla società ricorrente. Quanto al primo aspetto, il Collegio di primo grado ha ritenuto che la mancanza della sperimentazione regionale non fosse elemento di rilevanza tale da condizionare il rilascio del titolo autorizzativo comunale; mentre per il secondo aspetto ha considerato illegittimo il comportamento del Comune in quanto una volta riscontrata la presenza di soggetti non autosufficienti, avrebbe dovuto adottare un’ordinanza di contestazione della relativa irregolarità con assegnazione di un termine per la regolarizzazione della posizione della struttura, non sussistendo viceversa i presupposti per un intervento in autotutela.
L’appello davanti al Consiglio di Stato: legittimità dell’annullamento
Contro la sentenza del Tribunale, che ha accolto il ricorso della società, il comune soccombente ha presentato appello al Consiglio di Stato, che con la sentenza n. 7476 del 2 novembre 2019 lo ha accolto.
La società si è difesa argomentando che il Comune avrebbe violato le regole che presidiano il corretto esercizio del potere di autotutela, sia circa il termine di adozione del provvedimento, che risulterebbe abbondantemente superato tanto nella misura fissa di 18 mesi quanto come termine ragionevole, sia per la mancata allegazione di un interesse pubblico alla rimozione dell’atto, non potendo questo genericamente consistere nel diritto alla salute generale e in particolare nel diritto alla salute degli ospiti della struttura.
Impugnazione di atto endoprocedimentale
Per quanto riguarda l’impugnazione del parere dell’Azienda Usl, il Collegio d’appello si è uniformato alla regola di carattere generale secondo la quale l’atto endoprocedimentale non è autonomamente impugnabile, in quanto la lesione della sfera giuridica del suo destinatario è normalmente imputabile all’atto che conclude il procedimento. Per contro, la possibilità di un’impugnazione anticipata è di carattere eccezionale e riconosciuta solo in rapporto a fattispecie particolari, ossia ad atti di natura vincolata idonei a conformare in maniera netta la determinazione conclusiva, oppure in ragione di atti interlocutori che comportino un arresto procedimentale – secondo l’insegnamento di Cons. Stato, sez. IV, 16 maggio 2011, n. 2961 – fattispecie che non ricorrono nel caso concreto.
Mancata corrispondenza tra istanza di parte e contenuti del provvedimento
Il collegio d’appello non ha condiviso la posizione del giudice di prime cure, che ha ridotto ad un profilo di natura essenzialmente formale l’ulteriore rilievo della mancanza di una richiesta da parte della Società interessata diretta al rilascio di un’autorizzazione per pazienti non autosufficienti, per quanto parzialmente autosufficienti o disabili non gravi, caratterizzati da bassa intensità assistenziale.
Esercizio dell’autotutela e termine decadenziale di 18 mesi
Relativamente al significato da attribuire all’esercizio dell’autotutela ben oltre il termine decadenziale dei 18 mesi, il Collegio richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui lo stesso risulta applicabile nella sua rigida previsione solo in relazione ai provvedimenti di annullamento in autotutela che abbiano ad oggetto provvedimenti che siano, anch’essi, successivi all’entrata in vigore della nuova disposizione.
Quando invece ci troviamo di fronte a provvedimenti già adottati – continua la Sentenza n. 7476/2019 – il termine suddetto integra un parametro di riferimento per valutare la “ragionevolezza del termine” dell’intervento di riesame. Il nuovo termine legislativamente predeterminato non sostituisce “in toto” il “termine ragionevole” (e indeterminato) il quale, presente fin dall’originaria formulazione della disposizione delineata dalla L. n. 15 del 2005, continua a costituire il parametro normativo di riferimento laddove non possa trovare applicazione, “ratione temporis”, il termine dei 18 mesi. Il termine “ragionevole” decorre soltanto dal momento della scoperta, da parte dell’amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell’atto di ritiro, come insegna Cons. Stato, Ad. Plen., 17 ottobre 2017, n. 8.
Rispetto al merito dell’annullamento d’ufficio, il Collegio ha ritenuto che il perseguimento dell’interesse pubblico da tutelare, e cioè il bene salute, sia stata motivazione sufficiente e adeguata a giustificare la cessazione dell’attività.

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