01/11/2019 – La legittimazione a ricorrere: titolarità o affermazione?

La legittimazione a ricorrere: titolarità o affermazione?*
Fabio Saitta – Ordinario di Diritto amministrativo – Università Magna Graecia di Catanzaro
 
Pubblicato il 31 ottobre 2019
Sommario: 1. La legittimazione ad agire nel processo civile. – 2. La legittimazione a ricorrere nel processo amministrativo. – 3. Le ragioni della (presunta) «specialità» ed il ruolo dell’interesse legittimo. – 4. Le incertezze giurisprudenziali tra legittimazione ed interesse a ricorrere: brevi cenni. – 5. Spunti per un ripensamento: la legittimazione da titolarità concreta a mera affermazione. – 6. Alcuni casi paradigmatici come banco di prova: a) il ricorso incidentale escludente. – 7. Segue: b) la tutela degli interessi superindividuali. – 8. Segue: c) le nuove figure di legittimazione ex lege. – 9. Legittimazione a ricorrere e natura soggettiva od oggettiva della giurisdizione amministrativa.
 
            1. La legittimazione ad agire nel processo civile  
     
            Ogni sistema sociale ha l’esigenza di assorbire e neutralizzare i comportamenti devianti ed a tal fine utilizza spesso la c.d. «tecnica del reclamo»[1], in virtù della quale il comportamento non conforme ai valori del sistema viene rilevato soltanto se tale difformità venga espressamente denunciata ed accertata secondo modalità prefissate[2]. Dal punto di vista della teoria generale del diritto, è, dunque, certamente possibile che una norma subordini l’efficacia di un atto processuale alla circostanza che lo stesso sia compiuto da un soggetto che, tra l’altro, si trovi in una determinata posizione rispetto all’oggetto o ad altra parte del rapporto[3].
            Se, tuttavia, si prova a stabilire in cosa consista effettivamente la legittimazione, si esclude spesso che alla stessa si possa attribuire un preciso significato[4] ed addirittura si dubita della convenienza di qualsivoglia tentativo di sistematizzazione[5]. Di norma, con il termine «legittimazione» si indica una situazione che, coincidente o meno con la titolarità di una situazione giuridica, abilita comunque il soggetto legittimato a compiere un atto o ad essere destinatario dello stesso: i criteri di legittimazione consentono, pertanto, di individuare costoro[6].
            Dal punto di vista processuale, il problema della legittimazione attiene, in linea di massima, all’individuazione di colui che può esperire validamente l’azione (legittimato attivo) e di colui nei cui confronti l’azione stessa può essere validamente esperita (legittimato passivo)[7].
            Ciò premesso, la nostra indagine, essendo circoscritta alla legittimazione a ricorrere, ergo ai soggetti legittimati ad esperire le azioni ammesse nel processo amministrativo, non può che muovere dalla constatazione che, nel processo civile, la legittimazione ad agire spetta a colui che si afferma come titolare del diritto dedotto in giudizio e non dipende, dunque, dalla titolarità della situazione sostanziale, ma esclusivamente dalla prospettazione, cioè dalla mera affermazione di essere titolari di un determinato rapporto giuridico.
            Il tema è troppo vasto per poter essere trattato in questa sede con i necessari approfondimenti, per cui ci limiteremo ai profili strettamente funzionali al compito affidatoci dagli organizzatori dell’odierno colloquio[8].
            In ambito processualcivilistico, il dibattito sulla legittimazione ad agire, polarizzatosi nella tradizionale contrapposizione tra teoria astratta e teoria concreta, è stato condizionato dalla ricostruzione dell’azione «come diritto processuale autonomo al provvedimento favorevole, ovvero come diritto al provvedimento di merito»[9]. La dottrina prevalente, che considerava l’azione come un diritto a sé stante, esistente a prescindere dalla sussistenza di una posizione soggettiva[10], ne postulava la completa astrazione dal diritto sostanziale, ritenendo che l’unico presupposto della pronuncia del giudice fosse il diritto di tutti i cittadini di agire in giudizio per ottenere una sentenza qualunque, cioè non necessariamente di merito[11]. In tal modo opinando, la legittimazione ad agire perdeva «ogni peso e rilevanza», riducendosi a mera «legittimazione di fatto»[12]. Coloro che, al contrario, legavano l’esistenza dell’azione alla sussistenza del diritto fatto valere in giudizio[13] ammettevano la configurabilità della legittimazione, ma praticamente la riconoscevano soltanto all’attore che avesse ragione essendo effettivamente titolare del diritto.
            In entrambi i casi, la legittimazione risultava priva di rilievo sistematico: nel primo caso, perché l’unica condizione della pronuncia giudiziale era la domanda; nel secondo caso, perché si configurava un dualismo tra diritto sostanziale ed azione che finiva per appiattire la legittimazione sulla titolarità del diritto vantato[14]. Per uscire dall’impasse determinata dall’eccessiva astrazione, ritenuta troppo formalistica e vuota, «si è cercato, pur restando nell’ambito dell’astrazione, di riempirla, dandole un contenuto concreto, con un collegamento, una coordinazione dell’azione alla ragione sostanziale che si fa valere, con un aggancio formale dell’azione al diritto sostanziale, così come risulta affermato nella domanda»[15]. In tal modo, il diritto sostanziale è divenuto un elemento sostanziale della domanda, ma i rapporti tra diritto sostanziale e processo sono rimasti immutati, in quanto affermare il diritto è cosa diversa dall’esserne titolare. Ciò significa che l’azione e la legittimazione ad agire non spettano a chiunque, ma la rilevanza del diritto sostanziale nel processo è solo formale, concretizzandosi nell’affermazione di un diritto proprio e non nell’effettiva  titolarità, accertata dal giudice, del diritto che si fa valere[16].
            In definitiva, per dirla con le parole di autorevolissima dottrina, è maturato il convincimento che, salvo casi eccezionali, «per risolvere affermativamente il problema processuale, riguardante la legittimazione a agire, basta […] constatare che l’attore ha dedotto in giudizio un rapporto giuridico, asserendo che egli e il convenuto ne sono i soggetti. Ma ovviamente, affinchè la domanda giudiziale sia riconosciuta fondata nel merito, è necessario, fra le altre cose, che, secondo le risultanze del processo, l’asserzione dell’attore circa la soggettività attiva e passiva del rapporto controverso si palesi fondata. A sazietà va ripetuto che quest’ultima indagine non è affatto una indagine relativa alla legittimazione ad agire, sibbene una delle indagini necessarie per arrivare alla decisione circa l’esistenza del rapporto sostanziale […] controverso[17]». Da qui l’esigenza di «dissociare il fenomeno sostanziale della appartenenza del diritto dal fenomeno processuale della legittimazione ad agire»[18], id est di scindere la titolarità affermata del diritto dalla titolarità accertata del diritto medesimo: mentre la domanda proposta dal soggetto che neppure affermi come proprio il diritto azionato non è, neppure astrattamente, accoglibile, nel caso di diritto astrattamente attribuito all’attore, ma concretamente negato all’esito del giudizio, il giudice dovrà adottare una pronuncia di rigetto solo a conclusione del processo[19].
            In questo senso sono ormai orientate la prevalente dottrina[20] e la giurisprudenza della Corte di cassazione, che da oltre un trentennio ha accolto la c.d. teoria della prospettazione ed afferma che «[l]a legitimatio ad causam sorge dalla correlazione configurabile tra i soggetti ed il rapporto giuridico dedotto in domanda, in base alla quale si identificano le parti fra le quali può essere ammessa la statuizione del giudice, pervenendosi a riconoscerla per il solo fatto dell’affermazione della titolarità del diritto»; la legittimazione viene, quindi, definita come «l’appartenenza soggettiva dell’azione, l’identità di colui che ha proposto la domanda, con colui che con riferimento alla lesione di un suo diritto, ch’egli afferma esistente, possa pretendere per sé il provvedimento di tutela giurisdizionale»[21]. In altri termini, sulla scorta di autorevole dottrina[22], la giurisprudenza ritiene che la legittimazione ad agire ricorra tutte le volte in cui il diritto fatto valere con la domanda giudiziale sia stato affermato come proprio dall’attore: in presenza di siffatta affermazione, il giudice potrà procedere all’esame del merito, valutando poi se alla titolarità affermata corrisponda o meno quella effettiva[23].
            La riconduzione della legittimazione sul piano dell’affermazione del diritto vantato[24] anziché su quello dell’effettiva titolarità ha anche una ricaduta concreta, ripercuotendosi sulla sua rilevabilità d’ufficio e sul tipo di pronuncia (di rito anziché di merito) adottata in caso di carenza di legittimazione[25].
            Per quanto concerne il primo aspetto, si ritiene che la legittimazione ad agire debba essere verificata d’ufficio dal giudice, onerato del compito di riscontrare se vi sia o meno coincidenza tra il soggetto che ha esperito l’azione e colui cui, ex lege, spetta il potere di agire relativamente al rapporto giuridico oggetto della controversia sottoposta al suo esame[26]. Ciò che, invece, non gli è consentito fare con riguardo all’accertamento della spettanza o meno del diritto, che integra una questione concernente la titolarità concreta ed effettiva del rapporto fatto valere in giudizio (al momento in cui la decisione viene resa[27]) e costituisce il presupposto logico indefettibile dell’accoglimento o del rigetto della pretesa azionata[28]. Sul punto, sono recentemente intervenute le Sezioni unite, che, pur condividendo la tesi della netta differenza ontologica tra legitimatio ad causam e titolarità del diritto sostanziale, riconducibile ad una questione di merito, hanno precisato che la parte che contesti la titolarità della posizione soggettiva svolge una mera difesa e non soggiace, quindi, ad alcun termine decadenziale, potendo esercitare tale opzione difensiva anche in Cassazione, con l’unico limite dell’eventuale giudicato formatosi sul punto[29]. La giurisprudenza successiva si è subito concordemente uniformata a tali principi di diritto[30].
            Sotto il secondo profilo, si afferma che, ai fini del riconoscimento, in favore di un soggetto, della legitimatio ad causam, tutto ciò che occorre è che il medesimo assuma di essere titolare di quella situazione giuridica soggettiva che aziona in quel processo, risultando irrilevante che proprio le sue affermazioni conducano a negare in suo favore l’effettiva titolarità della situazione azionata, ciò che comporterà una chiusura in rito del processo per mancanza di un requisito dell’azione[31].
           
            2. La legittimazione a ricorrere nel processo amministrativo
 
            Com’è stato recentemente ribadito, anche nel processo amministrativo la ricostruzione della legittimazione a ricorrere è stata condizionata dal particolare assetto dei rapporti tra diritto sostanziale e processo, com’era del resto inevitabile; gli esiti, tuttavia, sono stati notevolmente diversi, verosimilmente a causa delle persistenti incertezze sulla nozione di interesse legittimo, che hanno indotto giurisprudenza e dottrina, da un lato, a trattare le questioni di legittimazione come questioni di merito e, dall’altro a risolvere l’accertamento in ordine alla sussistenza della situazione giuridica sostanziale sul piano processuale, in termini di sussistenza o meno della legittimazione e/o dell’interesse a ricorrere[32].
            Sotto il primo profilo, si allude alla circostanza che, mentre nel processo civile – come si è visto – la verifica sull’esistenza della legittimazione è una questione di rito, nel processo amministrativo essa impinge nel merito: richiedendosi al ricorrente la titolarità effettiva – e non semplicemente affermata – della posizione qualificata, il difetto di legittimazione comporta una pronuncia di merito[33].
            Quanto al secondo aspetto, gli eterni dubbi sulla consistenza dell’interesse legittimo hanno sovente indotto la giurisprudenza a ricercare la qualificazione e differenziazione necessarie per l’accesso al giudice in situazioni meramente fattuali[34], finendo per utilizzare come esclusivo fattore di legittimazione l’interesse a ricorrere[35].
            Sul punto, peraltro, non può dirsi raggiunta unanimità di opinioni.
            Innanzitutto, nella manualistica più recente, a chi configura la legittimazione a ricorrere nel processo amministrativo in termini di «effettiva titolarità del rapporto sostanziale dedotto in giudizio»[36] – talvolta, invero, limitandosi a riferire che la giurisprudenza amministrativa l’interpreta in tal senso[37] – si contrappone chi, invece, afferma senza mezzi termini che l’art. 24, comma 1, della Costituzione, nel definire l’azione come il potere, attribuito a tutti i soggetti dell’ordinamento, di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi, ha recepito «l’idea che l’azione spetti a prescindere dalla esistenza della situazione giuridica soggettiva sostanziale ed accredita[to] la tesi della c.d. astrattezza dell’azione», confermando che «[q]uest’ultima, in sostanza, prescinde dall’esistenza della situazione giuridica sostanziale»[38].
            Ma ciò che maggiormente rileva è che – come segnalato pochi mesi fa da accorta dottrina – è la stessa giurisprudenza amministrativa ad esprimersi, sempre più spesso, in termini analoghi a quelli della giurisprudenza civile, differenziando la legittimazione dalla titolarità effettiva della situazione giuridica fatta valere[39].
            Ed infatti, a fronte di sentenze che continuano ad affermare che, mentre «[n]el processo civile vi è un intimo collegamento tra la legittimazione dell’attore e l’affermata titolarità del diritto vantato, […] nel processo amministrativo, la legittimazione richiede una preventiva verifica circa l’affermazione della titolarità della posizione giuridica pretesa, la cui mancanza determina l’inammissibilità stessa del ricorso»[40], sta diventando sempre più frequente[41] la configurazione della legittimazione attiva come discendente dalla mera affermazione di colui che agisce in giudizio di essere titolare del rapporto controverso dal lato attivo[42]. In alcuni casi, la dovizia di argomentazioni utilizzate dimostra che non si tratta del recepimento acritico di una tesi piuttosto che di un’altra, ma della consapevole adesione alla pressochè univoca giurisprudenza civile. Si legga, ad esempio, una recente decisione del Consiglio di Stato, secondo cui «la legittimazione a proporre il ricorso va valutata in relazione alla posizione “affermata”, mentre costituisce disamina di merito il vaglio sulla effettiva sussistenza del detto interesse: è stato infatti condivisibilmente affermato in giurisprudenza che la legittimazione all’azione nel processo amministrativo si fonda sulla titolarità dell’interesse sostanziale dedotto in giudizio e che si assume leso, sorgendo il diritto al ricorso in conseguenza della lesione attuale di un interesse sostanziale e tendendo ad un provvedimento del giudice idoneo, se favorevole, a rimuovere tale lesione. Condizioni soggettive per agire in giudizio sono, pertanto, la legittimazione processuale e l’interesse a ricorrere, spettando, nel giudizio impugnatorio, la prima a colui che afferma di essere titolare della situazione giuridica sostanziale di cui lamenta l’ingiusta lesione per effetto del provvedimento amministrativo»[43].
            Aderendo a questa impostazione, il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana ha dichiarato inammissibile l’eccezione di difetto di legittimazione a ricorrere formulata per la prima volta in appello, ritenendo che la questione concernente l’effettiva titolarità del diritto vantato dalla ricorrente, essendo distinta dalla semplice contestazione della legittimazione, debba essere fatta valere in primo grado[44].
 
            3. Le ragioni della (presunta) «specialità» ed il ruolo dell’interesse legittimo
 
            Per illustrare le ragioni dell’insistenza di dottrina e giurisprudenza prevalenti sull’effettiva titolarità di una situazione giuridicamente rilevante come condizione per l’accesso al processo amministrativo, appare utile, in primo luogo, riportare in sintesi il pensiero di un autorevole studioso, secondo cui, nel processo amministrativo, «l’esigenza che non solo la posizione giuridica sostanziale sia affermata, sibbene che di essa risulti effettivamente portatore il ricorrente», deriverebbe dal fatto che, nel processo civile, «il riconoscimento della titolarità del diritto coincide con la verifica della fondatezza della domanda, mentre nel giudizio amministrativo l’esito non è determinato dalla titolarità della posizione giuridica sostanziale, sibbene dall’illegittimità del provvedimento impugnato»[45]. Nel processo amministrativo, in altri termini, «l’elemento che rimane sul piano dell’affermazione in sede di verifica della legittimazione non è la titolarità della situazione protetta, ma l’illegittimità del provvedimento impugnato, che determina la fondatezza della lagnanza poiché solo il provvedimento illegittimo concreta la lesione di quella situazione»; ciò implica uno spostamento dell’aspetto ipotetico della legittimazione «sul carattere contra ius della lesione subita dall’interesse materiale», ergo la configurazione della legittimazione in termini di titolarità dell’interesse sostanziale[46].
            A monte sembra esservi l’idea di fondo, invero alquanto risalente, che il processo amministrativo non consenta la separazione netta tra tutela sostanziale e tutela processuale che sta alla base della dottrina processualcivilistica[47] e non possa avere ad oggetto l’interesse legittimo[48], nemmeno come affermazione da parte del ricorrente di esserne titolare[49].  
            E non è certo casuale che analogo ragionamento venga svolto in altro contesto processuale, essendosi rilevato come, «ad una più approfondita analisi delle azioni di impugnativa delle delibere assembleari, la tradizionale configurazione della legittimazione ad agire come affermazione dell’esistenza del diritto da tutelare entri in crisi, in quanto si tratta […] di processi che non hanno al centro una tipica situazione giuridica di diritto soggettivo – modello di giudizio su cui invece è stata ricostruita la dogmatica processualcivilistica pura delle condizioni dell’azione – ma semmai la deliberazione assembleare tout court»[50].
            E’, dunque, la particolare natura dell’interesse legittimo a rendere molto difficile l’individuazione di un concetto di legittimazione significativo ed autonomo ed a far sì che la legittimazione a ricorrere finisca per caricarsi di significati ulteriori, «scivolando dal piano della (mera) affermazione della titolarità di una situazione giuridicamente rilevante alla vera e propria titolarità dell’interesse qualificato»[51]:  si afferma, infatti, che l’interesse protetto coincide con la titolarità della legittimazione a ricorrere «perché protetta è solo quella posizione di vantaggio la quale risulti normativamente qualificata, in quanto riconducibile a una norma di riferimento che si configura come il presupposto logico giuridico della tutela giudiziale accordata al titolare della posizione di vantaggio medesima»[52].
            E’ opinione diffusa che questa sovrapposizione tra nozioni di diritto sostanziale e nozioni di diritto processuale, id est la ritenuta coincidenza dell’appartenenza del diritto d’azione con la titolarità dell’interesse sostanziale che si assume leso, nasca dal fatto che il processo amministrativo è derivato da una differenziazione dei procedimenti amministrativi contenziosi, nei quali «il diritto di ricorso costituisce la proiezione dello stesso interesse sostanziale, perché è volto ad ottenere la realizzazione di quell’interesse invocando, sia pure sotto forma di decisione contenziosa, un provvedimento (amministrativo) dalla controparte del rapporto sostanziale, cioè dall’Amministrazione»[53]. Trasferitosi il contenzioso in sede giurisdizionale, il diritto d’azione – che è il diritto di ottenere dal giudice un provvedimento per l’attuazione della volontà astratta della legge nei confronti della controparte del rapporto sostanziale – si sarebbe dovuto scindere del tutto dalla situazione sostanziale tutelata, ma tale autonomia è apparsa evidente soltanto dal punto di vista dell’interesse ad agire, assai meno sul terreno della legittimazione, dove emerge chiaramente soltanto in rare ipotesi, spesso di scuola; in tutti gli altri casi, ogni questione involgente problemi di riconoscimento di una situazione giuridicamente qualificata in capo al ricorrente si pone come problema di esistenza della situazione vantata, ergo di fondatezza della domanda[54].
            A ben guardare, peraltro, com’è ben stato illustrato in un recente ed assai pregevole studio monografico in argomento, il legame tra interesse sostanziale e condizione dell’azione che connota il processo amministrativo ha radici ancora più antiche, potendosi l’equazione fra esistenza dell’interesse del privato e condizione di accesso alla tutela, allora solo amministrativa, farsi risalire addirittura al 1865[55].
            La configurazione della legittimazione a ricorrere è, comunque, dipesa e dipende tuttora anche dal modo di intendere l’interesse legittimo.
            In epoca meno recente, mentre nella dottrina che considerava l’interesse legittimo quale interesse tutelato, ancorchè in modo indiretto, pure nella sola forma di interesse occasionalmente protetto, dalla norma giuridica posta a tutela dell’interesse pubblico e violata dal provvedimento amministrativo illegittimo che s’intendeva impugnare la legittimazione a ricorrere compariva come condizione dell’azione distinta dall’interesse a ricorrere, presso coloro che, pur propendendo per la natura soggettiva della giurisdizione amministrativa, definivano l’interesse legittimo come interesse materiale che acquista rilievo giuridico solo in conseguenza della sua lesione, ergo come interesse all’annullamento del provvedimento amministrativo o alla legittimità dell’azione amministrativa, la legittimazione perdeva centralità e l’attenzione tendeva a concentrarsi soprattutto sulla figura dell’interesse a ricorrere[56].
            Adesso, se si ritiene che l’interesse legittimo consista nella pretesa al bene finale, la cui fondatezza verrà definitivamente accertata solo all’esito del giudizio, si perverrà alla conclusione che la legittimazione a ricorrere debba essere valutata, all’inizio del giudizio, alla stregua di mera affermazione; qualora si ritenga, viceversa, che l’interesse legittimo sia l’aspirazione ad un bene a soddisfazione non necessaria esistente già in limine litis, si tenderà a far coincidere la legittimazione a ricorrere con l’effettiva titolarità di tale interesse, il cui riconoscimento non implicherà il soddisfacimento della pretesa finale[57].
            Non essendo questa la sede idonea per prendere posizione su tale controversa figura, della cui esistenza stessa si continua addirittura a dubitare[58] e comunque a dibattere anche con approcci innovativi[59], ci limitiamo ad evidenziare, ai fini del successivo sviluppo dell’indagine affidataci[60], come, in seguito all’entrata in vigore della Costituzione, sia ormai pacifico il contenuto sostanziale dell’interesse legittimo[61], che «vive nel procedimento, nella stessa sede e nello stesso spazio di tempo in cui l’amministrazione esercita il suo potere»[62].
            Va da sé, poi, che la concezione, per così dire, «sostanziale» di legittimazione accolta, seppure con diverse sfaccettature[63], dalla prevalente dottrina amministrativistica implica – com’è evidente – l’idea che oggetto della valutazione del merito da parte del giudice amministrativo non sia la titolarità effettiva della situazione protetta inizialmente affermata dal ricorrente, già insita nella stessa legittimazione a ricorrere, bensì l’illegittimità del provvedimento impugnato, ciò che finisce per costituire «il tratto differenziatore più marcato del processo amministrativo rispetto a quello civile»[64], nel quale la configurazione autonoma dell’azione, intesa come potere di reagire attraverso il processo alla violazione del diritto[65], si accompagna alla costruzione del diritto soggettivo come posizione giuridica sostanziale esistente prima del processo.
 
            4. Le incertezze giurisprudenziali tra legittimazione ed interesse a ricorrere: brevi cenni
 
            E’ sotto gli occhi di tutti che la giurisprudenza tende spesso a prospettare i problemi di legittimazione in termini di interesse processuale e raramente prende posizione a favore dell’eventuale mancanza di autonomia tra i due istituti[66]. In altri termini, pur affermando astrattamente che la legittimazione è condizione indispensabile per l’accesso al giudice, non conoscendo il nostro ordinamento l’azione popolare quale istituto generale[67], i giudici amministrativi tendono, in concreto, a ritenerla quasi sempre sussistente ed utilizzano soltanto l’interesse a ricorrere quale filtro per l’accesso alla tutela, nel senso che, sussistendo quest’ultimo, si dà quasi per scontata la prima[68].
            Ciò fa sì che, nonostante l’autonomia delle nozioni di legittimazione ed interesse a ricorrere sia «un dato del diritto vivente»[69], si continui a discutere della relazione tra i due istituti e – com’è stato recentemente notato – il discrimen sembri talvolta ulteriormente assottigliarsi, come accade, ad es., quando la giurisprudenza considera la lesione della sfera giuridica, che dovrebbe rilevare ai fini dell’interesse a ricorrere, come condizione della legittimazione e/o ne valuta l’assenza come difetto di entrambe le condizioni dell’azione[70]. Paradigmatica, in tal senso, appare la vicenda dell’impugnazione dei titoli edilizi, con riguardo alla quale si registra da tempo una grande confusione tra i concetti di legittimazione e di interesse a ricorrere, sulla quale qui non è possibile indugiare[71].
            In molti casi, a ben guardare, la giurisprudenza ammette che la legittimazione dipenda dalla sussistenza di «un interesse di fatto, abbinato ad un criterio fattuale che permetta di circoscrivere la cerchia di coloro nei cui confronti si concretizza questo interesse di fatto»[72]. Declinando la differenziazione in termini meramente fattuali, il giudice amministrativo commette, però, un vero e proprio errore di metodo, perché la teoria generale è assai chiara nell’individuare nella norma, che seleziona i beneficiari dell’obbligo, la fonte del criterio di individuazione del titolare di un interesse individuale, da distinguere dalla generalità dei consociati[73].
            La situazione è alquanto preoccupante, specie se posta a raffronto con quella del processo civile, nel cui ambito è stata fermamente ribadita l’opportunità di mantenere salda la distinzione tra legittimazione ed interesse ad agire a fini sistematici[74].
 
5. Spunti per un ripensamento: la legittimazione da titolarità concreta a mera affermazione
 
Come si è visto[75], la giurisprudenza amministrativa, mentre è ferma nel ritenere che l’azione possa essere proposta unicamente da soggetti legittimati, non è affatto univoca nel configurare tale legittimazione in termini di mera affermazione ovvero di concreta titolarità.
Ancorchè il giudizio preliminare sulle condizioni e/o sui presupposti dell’azione non dovrebbe confondersi con la decisione del giudizio, molto spesso l’esito del processo amministrativo, al contrario di quanto si verifica nel processo civile, consegue alla ritenuta carenza dell’interesse processuale e la pronuncia di inammissibilità si risolve indirettamente in un accertamento in ordine all’insussistenza di una posizione sostanziale tutelabile, assimilabile ad una sentenza di merito nonostante l’art. 35 c.p.a. classifichi le decisioni sulle condizioni dell’azione come sentenze di rito[76].
Come pure si è visto, la dottrina prevalente opta per la legittimazione come titolarità effettiva, anche se non mancano affatto studiosi che, più o meno recentemente, hanno affermato senza indugio che la legittimazione a ricorrere, non a caso definita anche titolo o possibilità giuridica, dev’essere prospettata dalla parte ed accertata dal giudice in astratto e non secundum eventum litis[77]; diversamente, se il giudice riconosce la legittimazione valutando l’effettiva titolarità della situazione soggettiva, la domanda diventa un requisito di ammissibilità del ricorso, mentre l’azione dev’essere data anche a chi ha torto[78].
Numerose ragioni inducono ormai a preferire quest’ultima opinione, che pure continua ad essere minoritaria per le ragioni che abbiamo prima evidenziato[79].
Innanzitutto, com’è stato notato pochi anni fa, l’insistenza sull’effettiva titolarità di una situazione giuridicamente rilevante come condizione per l’accesso al giudice finisce sovente per precludere la tutela giurisdizionale, mentre il riferimento al provvedimento ed alla sua illegittimità e la valenza strumentale dell’interesse legittimo, che per definizione non garantisce il conseguimento del bene finale, dovrebbero indurre ad ampliare la legittimazione, che dovrebbe riflettere proprio il contesto sostanziale sottostante al diritto d’azione, cioè la pretesa al bene della vita[80].
Se la giurisdizione esercitata dal giudice amministrativo è a tutti gli effetti di diritto soggettivo, è necessario ritagliare uno spazio autonomo alla legittimazione a ricorrere, che – quale che sia l’oggetto del processo – non può essere identificata con la titolarità della situazione sostanziale se non a discapito dell’effettività della tutela, che è, in primis, effettiva possibilità di invocarla[81].
L’art. 24 della Costituzione, del resto, nel garantire la tutela delle situazioni di vantaggio di cui sia stata constatata l’esistenza, induce a ritenere che, ai fini della legittimazione, il giudice debba verificare soltanto che colui che agisce possa essere titolare della posizione di cui afferma la titolarità, dimodochè attraverso il processo si possa poi stabilire se esso sia effettivamente titolare e la sua domanda risulti fondata[82]. Sarebbe, infatti, incostituzionale privare un cittadino, in quanto preteso titolare di un diritto soggettivo o di un interesse legittimo, della possibilità di agire per la sua difesa in giudizio[83].
Richiedere, ai fini della legittimazione a ricorrere, l’effettiva titolarità della posizione qualificata ai fini del ricorso comporta, poi, la conseguenza che la carenza di legittimazione viene dichiarata in una sentenza di merito: il processo amministrativo continua, così, ad essere concepito esclusivamente come un processo all’atto[84]. Ciò, oggi, è intollerabilmente riduttivo, alla luce dell’evoluzione del processo amministrativo verso un modello di tutela delle situazioni giuridiche in cui «non più solo l’annullamento dell’atto ed il risarcimento del danno, ma anche l’adempimento dell’obbligo di provvedere (o di farlo con determinati contenuti) si combinano in vista della sentenza più satisfattiva per il ricorrente vittorioso»[85]. La pluralità e l’atipicità delle azioni[86], nel cui ambito anche le azioni tipiche presentano profili di atipicità[87], dovrebbe indurre a non operare una ricostruzione unitaria del concetto di legittimazione a ricorrere basata esclusivamente sul modello della tradizionale azione di annullamento, sembrando più corretto declinare la regola della legittimazione in ragione della tipologia dell’azione promossa per la tutela giurisdizionale del diritto di cui ci si affermi titolari, in tal modo distinguendo a seconda che la stessa abbia natura costitutiva, condannatoria o accertativa[88]. Siamo certi, ad es., che, con riguardo ad un’azione risarcitoria pura, il criterio in base al quale riconoscere la legittimazione – titolarità concreta ovvero mera affermazione – debba essere diverso transitando dal processo civile a quello amministrativo?
 Sotto altro, ma connesso, profilo, va pure considerato che, a ben guardare, la legittimazione ad esercitare un’azione atipica – ciò che ormai dovrebbe costituire la regola[89] – si qualifica come qualcosa d’altro e di diverso dall’ipotesi in cui riguardi un’azione tipica: nel primo caso, per aver accesso alla tutela giurisdizionale, ergo ad una decisione di merito, è sufficiente apparire come il possibile titolare del rapporto controverso, mentre nella seconda ipotesi solo se il legislatore ha attribuito espressamente la legittimazione, la domanda proposta da un soggetto diverso da quello indicato dalla legge comporterà il rigetto della domanda stessa nel merito, per inesistenza in capo all’attore della titolarità della situazione sostanziale, e non già della legittimazione ad agire[90].
A ragione, pertanto, è stato recentemente affermato che, a fronte di una disciplina codicistica che permetterebbe di costruire un modello di processo amministrativo in cui la pretesa sostanziale fatta valere, espressione della situazione giuridica vantata dal ricorrente, assurge ad oggetto del processo, entrando in maniera diretta nella realtà del giudizio, la situazione attuale sembra caratterizzarsi, sia sul versante dottrinale che su quello giurisprudenziale, per la persistente affermazione delle categorie tradizionali, alle quali si vorrebbe adeguare la nuova realtà processuale[91].
Se è vero, poi, che alla base del diverso modo d’intendere la legittimazione ad agire nel processo amministrativo rispetto al processo civile sta anche, anzi soprattutto, la mancanza di una chiara definizione dell’interesse legittimo[92], ora che quest’ultimo è unanimemente riconosciuto come posizione sostanziale, ergo destinato ad essere assimilato alle situazioni soggettive di diritto privato[93], non v’è ragione per mantenere la distanza tra i due sistemi processuali[94].
E’ sotto gli occhi di tutti, del resto, che la tradizionale nozione «sostanziale» di legittimazione a ricorrere ha finito per diventare una coperta troppo corta, lasciando privi di tutela tutta una serie di nuovi interessi emergenti, per proteggere i quali si è dovuto ricorrere a forme speciali di legittimazione: si pensi agli interessi superindividuali e/ alle legittimazioni speciali, che solo una ridefinizione concettuale della legittimazione in termini prettamente processuali consente di sussumere sotto una nozione unitaria[95].
Né, a sostegno della tesi della specialità della legittimazione «sostanziale» nel processo amministrativo, può invocarsi il solito totem dell’eccesso di contenzioso, che imporrebbe di introdurre un filtro all’accesso al giudice attraverso un’interpretazione della legittimazione ad agire più restrittiva di quella propugnata nel processo civile[96], in quanto una lettura meramente processuale della legittimazione, lungi dal costituire un pericolo di eccessivo ampliamento dell’accesso al giudice amministrativo, contribuirebbe a rafforzare la caratterizzazione in termini soggettivi del processo amministrativo: non è casuale, d’altronde, che proprio nel processo civile, modello per antonomasia di giurisdizione a carattere soggettivo, la legittimazione ad agire si configuri come titolarità astratta fondata sulla mera affermazione dell’attore[97].
A ben guardare, del resto, l’esigenza di scongiurare il rischio che il processo amministrativo venga instaurato da titolari di interessi di mero fatto[98] può essere soddisfatta in altro modo, senza necessariamente identificare la legittimazione a ricorrere con la titolarità della situazione soggettiva[99]: è sufficiente prestare maggiore attenzione al diritto positivo ed operare la distinzione tra il titolare di un interesse qualificato e differenziato ed il quisque de populo, confinato nell’irrilevante giuridico, avendo esclusivo riguardo alle posizioni che siano qualificate e differenziate da una norma, anziché operare differenziazioni del tutto fattuali, come tende a fare ormai da tempo la giurisprudenza amministrativa[100].
A fronte delle numerose argomentazioni sinteticamente esposte, che dovrebbero indurre ad un ripensamento della tesi prevalente, un autorevolissimo sostenitore di quest’ultima, dopo aver trovato conferma del suo assunto in un recente contributo, ha osservato, da un lato, che l’effettività della tutela non preclude che il giudice possa accertare in via preliminare se il ricorrente ha titolo per accedere al processo, com’è necessario fare proprio perché la controversia verte sulla legittimità del provvedimento; dall’altro, che, dopo siffatto accertamento preliminare, il processo prosegue per la definizione dell’assetto sostanziale delle posizioni contrapposte[101].
Ebbene, non ci sembra, innanzitutto, che lo studioso citato a conferma della tesi della titolarità effettiva si sia espresso in quel senso, almeno esplicitamente. Se non abbiamo mal interpretato il suo pensiero, infatti, egli – dopo aver premesso che «per mettere in moto il processo [amministrativo, n.d.r.] occorre che un soggetto […] eserciti l’azione (“il ricorso”) accampando di essere titolare di una situazione soggettiva protetta (diritto o interesse legittimo), situazione di cui esso abbia la disponibilità, e della quale chiede la tutela nel proprio interesse»[102] – si è limitato ad osservare che, nel processo amministrativo, «l’individuazione della sussistenza della situazione protetta in capo all’attore, è momento ben distinto dall’accertamento della fondatezza del ricorso (cioè del giudizio di merito)»: il che significa soltanto che – come lo stesso autore ha subito aggiunto – solo dopo aver «stabilito che il soggetto vanta una situazione protetta a fronte di quell’episodio di esercizio del potere» si passa a valutare se questo si è svolto injure (come preteso dal ricorrente) ovvero iure, cioè legittimamente»[103]. Ciò equivale a dire che – com’è pacifico – prima di stabilire se il ricorso è fondato occorre accertare che lo stesso sia stato proposto da soggetto legittimato, non anche che quest’ultimo accertamento non possa essere svolto sulla base della mera affermazione del ricorrente, dovendosi avere riguardo alla titolarità effettiva della situazione sostanziale. Non è casuale, del resto, che, almeno in prima battuta, la dottrina in esame non operi alcun raffronto con l’idea di legittimazione ad agire consolidatasi nell’ambito del processo civile, dove pure la questione che riguarda la verifica della legittimazione è di ordine preliminare[104]. Ciò viene fatto, invero, più avanti, ma solo per ribadire nuovamente che «la legittimazione ad agire nel processo amministrativo ha un rilievo assai più evidente che nel giudizio civile, come oggetto di accertamento proprio e distinto rispetto al merito, inteso come accertamento della fondatezza del ricorso»[105]: ancora una volta, ci si guarda bene dal prendere posizione sulla legittimazione a ricorrere come titolarità effettiva piuttosto che come mera affermazione. Ancora più avanti, d’altronde, si afferma che la forte caratterizzazione in senso soggettivo del processo amministrativo «comporta una netta distinzione tra la fase (logicamente anteriore) del giudizio intesa ad accertare la sussistenza in capo al ricorrente delle condizioni dell’azione, legittimazione ed interesse ad agire, e la fase intesa ad accertare la fondatezza, nel merito, del ricorso, a fronte delle difese delle altre parti»[106]: ciò che sembra significare che l’accertamento della sussistenza o meno della legittimazione ad agire è questione di rito e non di merito.
Ciò premesso, non sembra che, per seguire un itinerario diverso da quello tradizionale, debba necessariamente muoversi dall’identificazione dell’interesse legittimo con il diritto di credito[107], sembrando a tal fine sufficiente assumere per interesse legittimo «una situazione sostanziale e finale (pretesa all’acquisizione o alla conservazione di un bene della vita) e non strumentale (pretesa alla legittimità dell’azione amministrativa, accompagnata o meno dalla finalità di poter così eventualmente conseguire o conservare il bene della vita)»[108]. Va, piuttosto, valorizzata la tendenza del processo amministrativo a trasformarsi sempre più da giudizio sull’atto a giudizio sul rapporto[109], con ciò intendendosi «un giudizio che consenta di stabilire se sia fondata o meno la pretesa al bene della vita. […] Un giudizio, in altri termini, idoneo a definire chi abbia ragione e chi torto in ordine alla spettanza di detto bene, dirimendo così il conflitto sostanziale tra le parti»[110]. Siffatta attitudine del processo amministrativo a definire, anche per gli interessi pretensivi, il suddescritto «rapporto potestà-interesse legittimo», pur non significando, ça va sans dire, che il giudizio debba sempre pervenire alla decisione sulla spettanza del bene della vita – risultato sovente non conseguibile in quanto, sia per scelta processuale delle parti che per le necessità scaturenti dalla particolarità della fattispecie, in molti casi la pronuncia del giudice amministrativo non copre l’intero rapporto e dice poco o nulla circa la fondatezza o meno della pretesa –, induce a rimeditare attentamente alcuni istituti processuali cardine, i quali risentono della tradizionale configurazione dell’interesse legittimo come interesse strumentale alla legittimità ed appaiono ormai inadeguati alla configurazione sostanziale e finale di tale situazione, non più in corrispondenza biunivoca con i motivi di ricorso[111]
E’ il caso, per quanto qui interessa, della legittimazione a ricorrere, che nemmeno nel processo amministrativo può farsi coincidere con l’effettiva titolarità della situazione giuridica vantata, non potendosi pretendere che il ricorrente debba fornire in limine litis la prova della sussistenza dell’interesse legittimo, che, concernendo la fondatezza della pretesa ad un bene della vita, formerà oggetto del giudizio di merito (semprechè ricomprendente l’intero rapporto): dovendosi riconoscere il diritto di azione anche a chi risulti poi avere torto[112], la sussistenza dell’interesse legittimo potrà essere soltanto affermata e la posizione legittimante che consente l’accesso al giudice dovrà consistere nella sola imputazione soggettiva dell’interesse legittimo[113].
In tal modo opinando (ma anche accedendo alla tesi secondo cui il processo amministrativo mira all’accertamento della fondatezza o meno della pretesa dedotta in giudizio dal ricorrente[114]), ci si accorge che, anche se si ritenesse decisivo, ai fini della determinazione della legittimazione, il ruolo dell’oggetto del giudizio, non vi sarebbero comunque così grandi differenze rispetto al processo civile, il cui oggetto – ad avviso di numerosi studiosi – «è la situazione soggettiva affermata con la domanda, sull’esistenza della quale il giudice è chiamato a pronunciare»[115].
Aveva colto nel segno, dunque, chi, all’indomani della codificazione, aveva detto che «con l’ingresso ufficiale della pretesa nell’universo del processo amministrativo anche in quest’ultimo l’azione si separa definitivamente dalla posizione soggettiva: in un certo senso, si scindono quegli elementi – sostanza e processo – la cui unione aveva tradizionalmente caratterizzato la giustizia amministrativa»[116].
 
6. Alcuni casi paradigmatici come banco di prova: a) il ricorso incidentale escludente
 
Vediamo adesso, seppure sinteticamente, quali potrebbero essere le ricadute della proposta accezione di legittimazione a ricorrere in termini di mera affermazione.
Prendiamo le mosse dalle controversie aventi ad oggetto le gare d’appalto, nelle quali il tema in esame è declinato nel senso che la legittimazione a ricorrere dev’essere correlata ad una situazione differenziata, dunque meritevole di tutela in modo certo, per effetto della partecipazione alla procedura oggetto di contestazione[117].  
Prescindendo dalla circostanza – già segnalata[118] e comunque nota ai più – che la giurisprudenza amministrativa in materia, pur a fronte della formale affermazione della necessità di legittimazione a ricorrere in capo a chi promuove l’azione, l’ha poi, in concreto, ritenuta quasi sempre sussistente, utilizzando quale unico filtro dell’accesso alla tutela l’interesse processuale[119], in tal modo azzerando una distinzione che è, invece, centrale rispetto alla tematica del ricorso incidentale c.d. escludente[120], è risaputo che, secondo la prevalente giurisprudenza e la più autorevole dottrina, ciò che verrebbe a mancare al ricorrente principale a seguito dell’accoglimento del ricorso incidentale sarebbe proprio la legittimazione sostanziale a ricorrere, cioè la titolarità di una posizione giuridica soggettiva qualificata e differenziata rispetto a quella di una qualsiasi impresa operante nel settore interessato dalla gara, ma che ad essa non abbia partecipato o da essa sia stata legittimamente e definitivamente esclusa[121].
Ovviamente, qui non è possibile descrivere approfonditamente il percorso sinora seguito dall’Adunanza plenaria e dalla Corte di giustizia, peraltro corredato da numerosissimi commenti, sia adesivi che critici[122]. Ai limitati e contingenti fini della nostra indagine, ci limitiamo a rammentare che, nella prima decisione del 2008[123], il problema dell’ordine di esame dei ricorsi reciprocamente escludenti era stato posto sotto il profilo dell’individuazione dell’interesse a ricorrere, piuttosto che essere configurato quale aspetto relativo alla legittimazione[124]. Due anni dopo[125], s’era iniziato a spostare il baricentro della questione dalla ricerca della sussistenza dell’interesse a ricorrere, nella particolare declinazione dell’interesse strumentale alla ripetizione della gara, ad un’indagine in ordine all’esistenza della legittimazione a ricorrere[126]. Un anno dopo, dichiaratamente discostandosi dal proprio precedente del 2008, l’Adunanza plenaria aveva assegnato maggiore centralità alla nozione di legittimazione sostanziale, ergo alla «valutazione in ordine alla titolarità, in capo all’attore, di una posizione tutelabile innanzi al giudice amministrativo»[127]. Due anni dopo ancora, era stata la Corte di giustizia[128] a distinguere la sussistenza della legittimazione, come questione meramente processuale fondata sulla partecipazione alla gara come condizione di accesso al giudice, da ulteriori e successive valutazioni concernenti l’interesse a ricorrere. L’anno successivo, l’Adunanza plenaria, con una decisione chiaramente compromissoria che aveva finito per scontentare tutti[129], aveva affermato che soltanto in presenza di due offerte affette da vizio afferente la «medesima fase procedimentale» l’accoglimento del ricorso incidentale escludente non priva il ricorrente principale della legittimazione «ad impugnare l’aggiudicazione disposta in favore del solo concorrente rimasto in gara»[130]; queste due ultime decisioni si fondavano entrambe sullo stesso concetto di legittimazione a ricorrere, intesa come titolarità concreta dell’interesse legittimo a partecipare alla gara da parte del ricorrente non aggiudicatario[131]. Nel 2016, chiamata nuovamente a pronunciarsi, la Corte di giustizia[132] aveva precisato che il numero dei partecipanti alla gara che hanno proposto ricorso ed i motivi dagli stessi dedotti sono irrilevanti ai fini dell’applicazione del principio già affermato nella propria sentenza del 2013, lasciando trasparire l’adesione ad un concetto di legittimazione a ricorrere come mera affermazione della titolarità di un interesse legittimo all’esclusione degli altri concorrenti dalla gara[133]. Da ultimo, l’Adunanza plenaria ha chiesto alla Corte di giustizia se la normativa europea possa essere interpretata nel senso che consenta che, allorchè alla gara abbiano partecipato più imprese e le stesse non siano state evocate in giudizio (e comunque avverso le offerte di talune di esse non sia stata proposta impugnazione), la valutazione della concretezza dell’interesse dedotto con il ricorso principale da parte del concorrente destinatario di un ricorso incidentale escludente reputato fondato sia rimessa al giudice[134].
Alla luce di quanto, seppure sinteticamente, illustrato, risulta evidente che, mutando la prospettiva assunta dal Consiglio di Stato, cioè impostando la questione sulla sussistenza o meno dell’interesse legittimo (problema sostanziale) piuttosto che della legittimazione a ricorrere  (questione processuale), si perverrebbe a ben diverse conclusioni[135]. Ricollocando la questione sul piano del merito, si giunge, infatti, all’accertamento negativo dell’interesse legittimo all’aggiudicazione dell’uno e dell’altro concorrente: l’esame congiunto dei ricorsi principale ed incidentale conduce all’accertamento dell’infondatezza di entrambi e giustifica l’affermazione dei giudici europei che la soluzione è del tutto insensibile alla variazione del numero dei concorrenti in causa[136].
Le prese di posizione della Corte di giustizia, criticate anche laddove sembrano configurare una giurisdizione oggettiva in materia di appalti pubblici, possono, in tal modo, essere rifondate facendo leva su argomenti di stretto diritto processuale, id est rimuovendo il concetto di legittimazione sostanziale e, quindi, svincolando l’accesso al processo dalla titolarità effettiva dell’interesse legittimo all’aggiudicazione e/o alla rinnovazione della gara[137].
 
            7. Segue: b) la tutela degli interessi superindividuali
 
            Un altro caso che può fungere da cartina di tornasole della sostenibilità della tesi della legittimazione a ricorrere come mera affermazione è quello degli interessi superindividuali.
            Com’è stato recentemente segnalato, infatti, anche con riguardo alla giustiziabilità di tali interessi si verifica spesso una sovrapposizione del piano sostanziale con quello processuale: da un lato, si individua l’unico fattore di legittimazione nell’interesse a ricorrere; dall’altro, ci si sforza di individuare dei soggetti legittimati a veicolare tali interessi nel processo[138].
            La questione della legittimazione ad agire è centrale, «il cuore nella tutela degli interessi diffusi», nel cui ambito la classica concezione della legittimazione come titolarità di una situazione giuridicamente rilevante è apparsa subito inadatta a risolvere il problema della tutela giurisdizionale[139].
            Non essendo possibile descrivere dettagliatamente il percorso della tutela delle situazioni superindividuali, che è passato attraverso un loro riconoscimento come posizioni giuridicamente protette e si è snodato lungo due direzioni, diverse per quel che concerne gli interessi collettivi e quelli diffusi[140], ci si limita a segnalare un recente, assai apprezzabile, tentativo di risolvere il problema a livello delle posizioni soggettive, evitando di traslare sul terreno processuale una questione che è apparsa propriamente sostanziale.
            Si allude alla ricostruzione di chi, muovendo dal carattere soggettivo del sistema di tutela e da un’accezione di legittimazione a ricorrere come mera affermazione, è pervenuto alla conclusione che, ai fini dell’accesso alla tutela, ciò che rileva è che si possa ravvisare un interesse giuridicamente protetto, a prescindere dalla sua effettiva esistenza in capo all’attore e dalla sua specifica qualificazione, con la conseguenza che, da un lato, il carattere plurisoggettivo di un interesse non ha di per sé alcuna incidenza sull’atteggiarsi del diritto di azione e, dall’altro (per quanto qui maggiormente interessa), che «la verifica in punto di legittimazione non può di per sé essere usata come strumento per limitare l’accesso al giudizio degli interessi plurisoggettivi, la cui tutelabilità dipende primariamente dalla valutazione in merito alla loro rilevanza giuridica»[141]. Secondo questa impostazione, in sostanza, la verifica della legittimazione a ricorrere, basata su quanto affermato dal ricorrente, «risulta del tutto insensibile al carattere plurimo dell’interesse», che è un elemento totalmente estraneo rispetto all’an della tutela giurisdizionale[142].
            Questo tentativo ricostruttivo, sicuramente originale, non è stato esente da critiche, da parte sia di chi resta saldamente ancorato alla concezione di legittimazione come effettiva titolarità[143], sia di chi, invece, ritiene corretta la base di partenza, ma discutibili le conclusioni, nella misura in cui sembrano dare per scontato «che la regolamentazione “positiva” del diritto di azione abbia una naturale capacità qualificante ed operi anche direttamente sul piano sostanziale»[144].
            In questa sede, tuttavia, non interessa tanto prendere posizione sull’una o sull’altra tesi, ciò che peraltro presupporrebbe una disamina a tutto tondo dell’immenso tema della giustiziabilità degli interessi superindividuali, quanto piuttosto notare come la tradizionale nozione sostanziale della legittimazione a ricorrere come titolarità concreta di un interesse legittimo abbia comportato un restringimento della platea dei potenziali titolari di situazioni sussumibili in una siffatta nozione, la cui marcata impronta individualistica non consentiva ampliamenti di tutela superindividuale[145].
 
            8. Segue: c) le nuove figure di legittimazione ex lege
 
            Assai numerose sono le eccezioni legislative alla costruzione teorica della legittimazione a ricorrere come titolarità concreta di un interesse legittimo: negli ultimi anni, l’esigenza di offrire tutela giurisdizionale ad interessi sostanziali difficilmente inquadrabili nell’ambito della categoria dell’interesse legittimo ha, infatti, indotto il legislatore ad introdurre nuove figure di legittimazione ex lege, che la dottrina ha tendenzialmente accomunato alle azioni popolari come «uniche eccezioni» alla necessità di un interesse qualificato per l’accesso al giudice[146].
            Di fronte a tali ipotesi eccezionali, v’è chi parla di oggettivizzazione del processo amministrativo[147]; chi distingue tra ipotesi di azioni a «legittimazione oggettiva» esperibili nell’ambito di un processo che non perde la sua complessiva connotazione soggettiva e vera e propria giurisdizione oggettiva tout court, configurabile soltanto in presenza di un regime processuale diverso non soltanto sotto il profilo della legittimazione[148]; chi ritiene che la soggettività della posizione legittimante non sia condizionata dalla natura, privata o pubblica, del soggetto che ne è titolare né dalla natura intrinsecamente pubblica dell’interesse sostanziale dedotto in giudizio e perviene, così, alla conclusione che, in siffatte ipotesi, il soggetto legittimato ex lege sia titolare di una posizione differenziata, che, rilevando sul piano strettamente processuale ai fini della definizione delle condizioni dell’azione, conserva sempre un carattere soggettivo connesso all’individuazione dell’unico soggetto legittimato a ricorrere in quanto investito della particolare funzione tutoria dello specifico interesse pubblico dedotto in giudizio[149]; chi, infine, da tali previsioni normative trae la conferma della crisi della legittimazione a ricorrere e della conseguente individuazione dell’interesse a ricorrere come unico filtro per l’accesso al giudice[150].
            Ora, è di tutta evidenza che, a prescindere dalla bontà dell’una o dell’altra ricostruzione, identificando la legittimazione nella titolarità effettiva di un interesse legittimo, risulta assai arduo – per non dire impossibile – ricomprendere all’interno del sistema tutte le ipotesi di legittimazione ex lege, che sono state introdotte a prescindere dall’esistenza, in concreto, della titolarità di un interesse legittimo[151].
 
            9. Legittimazione a ricorrere e natura soggettiva od oggettiva della giurisdizione amministrativa
 
            Che, con l’entrata in vigore della Costituzione, il processo amministrativo si sia liberato dalle residue incrostazioni oggettivistiche dovrebbe essere ormai fuori discussione[152]: l’ha detto chiaramente, quindici anni fa, la Corte costituzionale[153] e l’ha ribadito, soltanto tre mesi fa, il Consiglio di Stato, significativamente affermando di condividere «pienamente» la recente affermazione secondo cui, «avendo riguardo alla concezione soggettiva della tutela e alla centralità processuale della situazione soggettiva rispetto all’interesse alla legittimità dell’azione amministrativa, sembra ormai potersi “capovolgere definitivamente l’allocazione tradizionale delle due situazioni soggettive, entrambe attive, che si muovono nel processo, e ci si può forse spingere ad affermare che è l’interesse alla mera legittimità ad essere divenuto un interesse occasionalmente protetto, cioè protetto di riflesso in sede di tutela della situazione di interesse legittimo”»[154].
Già nella prima giurisprudenza, del resto, era presente l’idea che compito preliminare del giudice, nel valutare l’ammissibilità del ricorso, fosse quello di accertare la sussistenza, in capo al ricorrente, di una situazione protetta che lo legittimasse alla proposizione del gravame e di uno specifico interesse ad ottenere, attraverso il processo, il vantaggio desiderato[155].
Ovviamente, ciò non vuol dire che all’interno di un processo ormai da tempo trasformatosi in senso soggettivo[156] non permangano dei profili di giurisdizione oggettiva, perché qualsiasi domanda il ricorrente rivolga al giudice amministrativo in funzione dei propri interessi inciderà anche sugli interessi pubblici protetti dalle norme: ciò che è importante – com’è stato notato dalla più avveduta dottrina – è che l’elemento essenziale della decisione rimanga la legge[157].
Non può sfuggire, d’altronde, e se n’è fatto cenno, la tendenza «neo-oggettivista» della giurisdizione amministrativa, che si riscontra nel particolare atteggiarsi dei poteri del giudice e delle regole del processo in determinate materie[158]. Ed è probabilmente nel giusto chi ritiene che l’esigenza di un controllo «oggettivo» dell’azione amministrativa sia oggi sganciata dalla necessità di ripristinare la legalità violata e funzionale, invece, al «soccorso» di «un’amministrazione debole, considerata perciò oltre la sua condizione di parte, come tale in condizione di parità con le altre, nel senso specifico della parità delle armi»[159].
            Tutto ciò, però, non modifica la natura soggettiva del processo amministrativo[160], per avviare il quale occorre che il ricorrente sia fornito di legittimazione ed interesse ad agire[161], ma tutt’al più introduce casi di legittimazione «oggettiva», similmente a quanto sovente accade nel processo civile, archetipo dei processi a contenuto soggettivo[162].
            Anche nel resto d’Europa, d’altronde, tra i due modelli di giurisdizione – soggettiva ed oggettiva – si registrano numerose ibridazioni e convergenze reciproche[163].
            Ora, è di tutta evidenza che, in un processo che non abbia come obiettivo primario il rispetto della legalità da parte dei pubblici poteri, bensì la tutela dei diritti, è necessario separare nettamente le posizioni giuridicamente rilevanti da quelle di fatto[164]: l’interesse alla corretta cura dell’interesse pubblico, infatti, è proprio di ogni consociato[165], per cui, ampliando la legittimazione sulla base della caratterizzazione oggettiva dell’interesse legittimo, si dà vita ad un processo finalizzato non già alla tutela di un interesse individuale, bensì al controllo sul corretto esercizio del potere[166]. Eliminando i tradizionali filtri rappresentati dalle condizioni dell’azione, l’accesso alla tutela viene rimesso al buon senso del giudice amministrativo, con buona pace della certezza del diritto[167]. Fondamentale è, quindi, il ruolo svolto dalla legittimazione ad agire, che, nel processo amministrativo, è tradizionalmente la modalità attraverso la quale gli interessi dei privati, da situazioni di mero fatto, assurgono a situazioni giuridiche soggettive protette dall’ordinamento[168].
            In considerazione di tutto ciò, non ci sembra condivisibile la recente, pur suggestiva, proposta di risolvere il problema dell’accesso alla giustizia amministrativa distinguendo l’interesse legittimo da quello illegittimo e rimettendo la relativa distinzione, caso per caso, al giudice[169]. A nostro avviso, la principale criticità di questa tesi – che muove dal convincimento che siano «meritevoli di tutela gli interessi di tutti, e cioè di chiunque manifesti l’intento di ripristinare la legalità amministrativa, senza prevaricare gli interessi di altri», e che l’interesse legittimo non sia «riconoscibile da un indice teorico-generale rivelatore della situazione sostanziale (protetto, non protetto), ma dalla volontà di chi se ne afferma portatore di esercitare l’azione dinanzi agli organi di giustizia amministrativa», e finisce per configurare una «azione completamente e necessariamente svincolata dalla legittimazione»[170] – non è quella di muovere dall’idea di fondo di una legittimazione a ricorrere nei termini più classici della titolarità dell’interesse legittimo[171], ma piuttosto quella di ritagliare per il giudice amministrativo un ruolo eccessivamente creativo, similmente a quello che la giurisprudenza – criticata dallo stesso fautore della proposta in esame – sta facendo in alcuni ambiti del contenzioso, utilizzando criteri meramente fattuali per individuare i soggetti legittimati[172].
            E’ per questo che appare più convincente l’impostazione che, muovendo dalla ritenuta esistenza di più posizioni legittimanti l’accesso al processo amministrativo, individua nella situazione giuridica affermata come tutelabile dal ricorrente l’oggetto del giudizio di merito sulla fondatezza della pretesa azionata[173]. Quest’ultima tesi – che, nella misura in cui rimette l’individuazione degli interessi meritevoli di protezione (non solo alla norma attributiva del potere, ma) «anche alla diversa e poliedrica elaborazione di matrice giurisprudenziale»[174], presenta criticità analoghe a quelle della precedente[175] –  ha comunque il pregio di restituire la legittimazione a ricorrere ad una dimensione prettamente processuale, senza però trascurare il necessario aggancio al sostrato sostanziale[176].
            Ecco, allora, che la configurazione della legittimazione in termini di mera affermazione della sussistenza dell’interesse legittimo consente di riaffermare il carattere soggettivo della giurisdizione amministrativa, dando vita ad un giudizio a cui non può accedere chiunque ne faccia domanda[177], ma al contempo mantenendo la funzione tutoria dell’interesse sostanziale giuridicamente rilevante di cui è portatore il soggetto legittimato a ricorrere[178].
 
Fabio Saitta
Ordinario di Diritto amministrativo
Università Magna Graecia di Catanzaro
 
Pubblicato il 31 ottobre 2019
 
 
 
 
 

* Il presente scritto costituisce la rielaborazione della relazione svolta al Secondo colloquio fiorentino di diritto amministrativo su: «L’oggetto del giudizio amministrativo visto dal basso: gli istituti processuali in evoluzione» – Firenze, 31 maggio 2019.
[1] Su cui v. N. Luhmann, Sociologia del diritto, Bari, 1977, 268 ss.
[2] Per questa ricostruzione cfr. A. Romano Tassone, Tra diversità e devianza. Appunti sul concetto di invalidità, in Studi in onore di V. Ottaviano, Milano, 1993, II, 1117 ss., spec. 1132 ss., con ampie indicazioni dei sociologi del diritto che più diffusamente hanno trattato questi temi.
[3] A. Falzea, Capacità: II – Teoria generale, in Enc. dir., VI, Milano, 1960, 44.
[4] A. Di Majo, Legittimazione: I – Legittimazione negli atti giuridici, in Enc. dir., XXIV, Milano, 1974, 53.
[5] Cfr. P. Rescigno, Legittimazione – diritto sostanziale, in Nss. Dig. it., IX, Torino, 1963, 720.
[6] G. Palermo, Legittimazione, in Enc. giur., Agg., V, Roma, 1996, 1 ss.; F. Carnelutti, Teoria generale del diritto, 3ª ed., Roma, 1951, 238 ss.
[7] Così, da ultimo, F. Corsini, Legittimazione processuale (dir. proc. civ.), in www.treccani.it (2019), 3.
[8] Per maggiori approfondimenti e per l’indicazione delle varie tesi sostenute al riguardo, cfr. F. Keller, Profili evolutivi della legittimazione ad agire, Milano, 2018, 1-44; F. Corsini, Delle parti, in Commentario al codice di procedura civile, a cura di S. Chiarloni, Bologna, 2016, 305 ss.; A.D. De Santis, La tutela giurisdizionale collettiva, Napoli, 2013, 35 ss.; G. Costantino, Legittimazione ad agire, in Enc. giur., XVIII, Roma, 1990, 1 ss.
[9] G. Tomei, Legittimazione ad agire, in Enc. dir., XXIV, Milano, 1974, 67.
[10] In tal senso, senza pretese di completezza, E.T. Liebman, L’azione nella teoria del processo civile, in Problemi del processo civile, Napoli, 1962, 22 ss., spec. 30 ss.; V. Andrioli, Lezioni di diritto processuale civile, 2ª ed., Napoli, 1961, 210 ss., spec. 214; E. Fazzalari, Note in tema di diritto e processo, in Studi urb., 1956-1957, XV, 305 ss., spec. 312.
[11] U. Rocco, La legittimazione ad agire, Roma, 1929, 21 e 46.
[12] G. Tomei, ibidem.
[13] G. Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile, Napoli, 1944, I, 20, 59 e 62; P. Calamandrei, Istituzioni di diritto processuale civile, Padova, 1943, II, 107 ss.; S. Satta, Diritto processuale civile, 7ª ed., Padova, 1967, 107 ss.; Id., Commentario al codice di procedura civile, Milano, 1959, I, 45 ss., e III, 44.
[14] S. Satta, Variazioni sulla legittimazione ad causam, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1967, 638; G. Costantino, op. cit., 3.
[15] G. Tomei, op. cit., 68, cui si rinvia per l’indicazione della dottrina favorevole e contraria al collegamento tra azione e concreta ragione affermata.
[16] G. Tomei, ibidem, anche in nota.
[17] E. Allorio, Diatriba breve sulla legittimazione ad agire, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1955, 130.
[18] G. Ruffini, Sulla legge regolatrice della legitimatio ad causam, in Riv. dir. proc., 2005, 1175.
[19] F. Russo, Il regime processuale delle eccezioni di difetto di legittimazione attiva e passiva e di difetto di titolarità del rapporto. La parola alle Sezioni Unite (Cass. ord. 13 febbraio 2015, n. 2977), in www.dirittocivilecontemporaneo.com, n. 2/2015, 5.
[20] Ex plurimis, F.P. Luiso, Diritto processuale civile, Milano, 2015, I, 218.
[21] Così Sez. II, 7 novembre 1986, n. 6998, in Giur. it., 1987, I, 1, 2053, con nota di C. Honorati, La legittimazione ad agire per conto altrui, alla quale si rinvia per l’indicazione della giurisprudenza antecedente, quasi tutta conforme.
[22] Si allude, in particolare, ad A. Attardi, Legittimazione ad agire, in Nss. Dig. it., IX, Torino, 1963, 722, assai chiaro nell’affermare che, «quando dalla domanda risulti l’insussistenza in capo all’attore del diritto da lui vantato, la domanda stessa dovrà essere rigettata come infondata (per inesistenza del dritto dell’attore) non per carenza di legittimazione ad agire».
[23] Ex plurimis, Cass. civ., Sez. III, 10 luglio 2014, n. 15759, in CED Cassazione, 2014; Sez. II, 10 maggio 2010, n. 11284 e 6 marzo 2008, n. 6132, ivi, 2010 e 2008; Sez. III, 9 aprile 2009, n. 8699 e 30 maggio 2008, n. 14468, ivi, 2009 e 2008; Sez. I, 13 febbraio 2009, n. 3638, 10 gennaio 2008, n. 355 e 7 ottobre 2005, n. 19647, ivi, 2009 e 2008, e in Guida al diritto, 2005, 44, 62. Nell’ambito della giurisprudenza di merito, Trib. Bari, Sez. III, 25 gennaio 2012, ined.; Trib. Nocera Inferiore, Sez. II, 27 gennaio 2011, ined.; App. Napoli, Sez. III, 11 gennaio 2010 e 19 gennaio 2009, inedd.; App. Potenza, Sez. lav., 22 gennaio 2009, ined.; Trib. Bari, Sez. I, 2 ottobre 2008, ined.; App. Roma, 1 ottobre 2008, ined.; App. Napoli, Sez. I, 22 settembre 2008, ined.; Trib. Brescia, Sez. II, 4 settembre 2003, in Mass. Trib. Brescia, 2004, 134. Per ulteriori indicazioni giurisprudenziali si rinvia all’ampia casistica di A.D. De Santis, op. cit., 77-82.
[24] L. Monacciani, Azione e legittimazione, Milano, 1951, 282.
[25] A. Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2006, 295.
[26] Cass. civ., Sez. lav., 8 agosto 2012, n. 14243, in Foro it. Mass., 2012, 642; Sez. un., 9 febbraio 2012, n. 1912, ibidem, 76; Sez. II, 6 marzo 2008, n. 6132, in CED Cassazione, 2008.
[27] Cass. civ., Sez. III, 2 dicembre 2002, n. 17064, in CED Cassazione, 2002.
[28] Cass. civ., Sez. II, n. 6132/2008, cit.
[29] Sent. 16 febbraio 2016, n. 2951, in CED Cassazione, 2016, commentata da S. Ganci, Breve nota alla sentenza n. 2051/2016 delle SS.UU. della Corte di cassazione, in www.contabilita-pubblica.it (febbraio 2016); L. Notarnicola, L’eccezione di carenza di titolarità del diritto dedotto in giudizio dall’attore, in www.giurcivile.it (gennaio 2018); M. Mazzei, Legittimazione ad agire e titolarità del rapporto giuridico dedotto in giudizio: la pronuncia delle Sezioni Unite, in www.diritto.it (febbraio 2018). Nello stesso senso, già Trib. Potenza, 28 agosto 2013, in Nuova proc. civ., n. 5/2013; contra, secondo cui il difetto di titolarità dell’azione, riguardando il merito, soggiace alle normali preclusioni di rito, Cass. civ., Sez. III, 28 ottobre 2015, n. 21925, in CED Cassazione, 2015; Trib. Bari, Sez. II, 15 maggio 2012, ined.; Trib. Milano, Sez. IX, 4 maggio 2012, ined.
[30] Ex multis, Cass. civ., Sez. VI, ord. 20 dicembre 2017, n. 30545, in CED Cassazione, 2017; Sez. lav., 18 novembre 2016, n. 23526, ivi, 2016; Sez. un., 18 novembre 2016, n. 23464, ibidem.
[31] Da ultimo, F. Keller, op. cit., 30-44; A. Bonafine, La legittimazione e l’interesse ad agire nelle vicende di impugnazione delle deliberazioni assembleari delle s.p.a., in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2017, 1378-1381; A.D. De Santis, op. cit., 71, il quale osserva che, nel caso di negazione della legittimazione, l’attore non soccombe nel merito perché il giudice non si pronuncia sull’esistenza del diritto da lui vantato; G. Ruffini, op. cit., 1176-1177; già prima, E. Allorio, Per la chiarezza di idee in tema di legittimazione ad agire, in Giur. it., 1953, I, 1, 967; contra, nel senso che quella sulla legittimazione è comunque una pronuncia di merito, E. Betti, Legittimazione ad agire e diritto sostanziale, in Giur. it., 1949, I, 1, 763; G. Tomei, op. cit., 68 ss.; L. Montesano, Appunti da lezioni sul processo civile, Bari, 1973, 58; C. Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile. Le tutele, Padova, 2003, 50 ss.; G. Cascella, Legittimazione attiva e passiva e titolarità del diritto controverso. Caratteri, differenze e risvolti processuali, in Nuova proc. civ., n. 6/2014, 9. Sulla differenza tra i due tipi di pronuncia si è recentemente soffermato P. Lai, Note intorno ai rapporti tra inammissibilità della domanda e rigetto nel merito, in Giusto proc. civ., 2015, 1117 ss.
[32] G. Mannucci, Legittimazione e interesse a ricorrere (dir. amm.), in www.treccani.it (2018), 6.
[33] G. Mannucci, La tutela dei terzi nel diritto amministrativo. Dalla legalità ai diritti, Rimini, 2016, 122.
[34] G. Mannucci, Legittimazione, cit., 7.
[35] R. Ferrara, Interessi collettivi e diffusi (ricorso giurisdizionale amministrativo), in Dig. disc. pubbl., VIII, Torino, 1993, 499; R. Lombardi, La tutela delle posizioni giuridiche meta-individuali nel processo amministrativo, Torino, 2008, 99.
[36] N. Saitta, Sistema di giustizia amministrativa, 6ª ed., Napoli, 2018, 98-99; C.E. Gallo, Manuale di giustizia amministrativa, 9ª ed., Torino, 2018, 88; G. Leone, Elementi di diritto processuale amministrativo, 3ª ed., Padova, 2014, 114.
[37] E’ il caso di A. Travi, Lezioni di giustizia amministrativa, 12ª ed., Torino, 2018, 194.
[38] E. Follieri, La tipologia delle azioni proponibili, in F.G. Scoca (a cura di), Giustizia amministrativa, 7ª ed., Torino, 2017, 179-181; di titolarità astratta, solo affermata, parla anche S. Tarullo, Manuale di giustizia amministrativa, Torino, 2017, 144.
[39] M. Delsignore, La legittimazione a ricorrere nel giudizio amministrativo: alcuni spunti di riflessione (Relazione al Convegno su: «Il processo amministrativo a (quasi) dieci anni dal codice» – Pavia, 28 settembre 2018), 2-3 del paper.
[40] Così T.A.R. Campania-Salerno, Sez. I, 8 novembre 2011, n. 1767, in www.giustizia-amministrativa.it; nello stesso senso, T.A.R. Lombardia-Milano, Sez. III, 26 aprile 2017, n. 956, ibidem; T.A.R. Toscana, Sez. II, 9 gennaio 2019, n. 12, ibidem
[41] Già in passato, peraltro, era stato talvolta affermato che, in materia di legittimazione ad agire, «la regola fondamentale è quella sancita dall’art. 81 c.p.c.» (Cons. St., Sez. V, 6 febbraio 2007, n. 476, in Foro amm. – CdS, 2007, 525), sicchè (anche) «nel processo amministrativo la legitimatio ad causam deriva dalla considerazione della posizione del ricorrente, valutata in astratto, per ciò che egli afferma in relazione al rapporto controverso» (Cons. St., Sez. VI, 9 marzo 2005, n. 976, in Cons. Stato, 2005, I, 418; Sez. V, 25 febbraio 2003, n. 1012, in Foro amm. – CdS, 2003, 612).
[42] Così Cons. St., Sez. IV, 21 gennaio 2019, n. 508 e 10 luglio 2017, n. 3563, in www.giustamm.it, n. 2/2019, ed in www.neldiritto.it; Sez. V, 12 novembre 2018, n. 6342, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Giust. Amm. Reg. sic., 18 aprile 2018, n. 229 e par. 25 gennaio 2018, n. 26, ibidem; Cons. St., Sez. III, 9 giugno 2014, n. 2892, ibidem. Nell’ambito della giurisprudenza di primo grado, T.A.R. Puglia-Bari, Sez. II, 16 ottobre 2018, n. 1316, ibidem; T.A.R. Lombardia-Milano, Sez. III, 13 agosto 2018, n. 1986, ibidem; T.A.R. Lazio-Roma, Sez. III ter, 6 luglio 2018, n. 7537 e 8 marzo 2018, n. 2636, ibidem; Sez. II ter, 12 aprile 2018, n. 3997, ibidem; T.A.R. Calabria-Catanzaro, Sez. I, 3 aprile 2018, n. 790, ibidem.   
[43] Cons. St., Sez. IV, 10 maggio 2018, n. 3321, in www.giustizia-amministrativa.it; in termini analoghi, Sez. IV, 27 febbraio 2017, n. 897, ibidem.
[44] Dec., 9 settembre 2016, n. 302, in www.giustizia-amministrativa.it.
[45] Così R. Villata, Legittimazione processuale: II) Diritto processuale amministrativo, in Enc. giur., XVII, Roma, 1988, ora in Id., Scritti di giustizia amministrativa, Milano, 2015, 635 ss., spec. 639-640.
[46] R. Villata, op. cit., 640.
[47] F. Benvenuti, Giudicato (dir. amm.), in Enc. dir., XVIII, Milano, 1969, 897, nota 14.
[48] Come sostenuto, tra gli altri, da O. Ranelletti, Le guarentigie della giustizia nella pubblica amministrazione, 5ª ed., Milano, 1937, 391 ss.; S. Cassarino, Le situazioni giuridiche soggettive e l’oggetto della giurisdizione amministrativa, Milano, 1956, 242; F. La Valle, L’interesse legittimo come profilo di ulteriore rilevanza delle libertà e dei diritti (teoria dinamica del diritto soggettivo), Milano, 1969.
[49] R. Villata, L’esecuzione delle decisioni del Consiglio di Stato, Milano, 1971, 493.
[50] S.A. Villata, Impugnazioni di delibere assembleari e cosa giudicata, Milano, 2006, 113-115.
[51] C. Cudia, Gli interessi plurisoggettivi tra diritto e processo amministrativo, Rimini, 2012, 144.
[52] R. Ferrara, op. cit., 471. In termini analoghi, già prima, P. Virga, Diritto amministrativo. II. Atti e ricorsi, Milano, 1999, 285; A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1974, 823.
[53] V. Caianiello, Manuale di diritto processuale amministrativo, 3ª ed., Torino, 2003, 597.
[54] Così V. Caianiello, op. cit., 597-598, che, tra i casi in cui anche nel processo amministrativo è agevole rilevare l’autonomia tra legittimazione a ricorrere ed interesse legittimo, individua quello del soggetto sfornito di rappresentanza che proponga ricorso a tutela di un interesse legittimo che egli stesso dichiari essere di altri e/o risulti chiaramente tale e quello dell’avvenuta trasmissione del diritto da un soggetto all’altro.
[55] S. Mirate, La legittimazione a ricorrere nel processo amministrativo, Milano, 2018, 72 ss.
[56] S. Mirate, op. cit., 48 ss.
[57] E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, 20ª ed., a cura di F. Fracchia, Milano, 2018, 884.
[58] Cfr., ad es., N. Paolantonio, Centralità del cittadino ed interesse legittimo (oltre le categorie, per una tutela effettiva: l’insegnamento di Franco Gaetano Scoca), in Dir. proc. amm., 2018, 1527 ss.
[59] Si allude alla suggestiva tesi di M. Magri, L’interesse legittimo oltre la teoria generale. Neutralità metodologica e giustizia amministrativa, Rimini, 2017, il quale, escluso che la definizione di interesse legittimo competa esclusivamente alla teoria generale del diritto, ritiene che tale situazione giuridica si fondi sul principio di solidarietà sociale.
[60] Cfr., in part., infra, § 5.
[61] Per tutti, L. Mannori – B. Sordi, Storia del diritto amministrativo, Roma-Bari, 2001, 342; L. Ferrara, L’interesse pubblico alla riprova della responsabilità patrimoniale, in Dir. pubbl., 2010, 650.
[62] F.G. Scoca, Le situazioni giuridiche soggettive dei privati, in Id. (a cura di), op. cit., 167; amplius, Id., L’interesse legittimo. Storia e teoria, Torino, 2017, passim; G. Falcon, Il giudice amministrativo tra giurisdizione di legittimità e giurisdizione di spettanza, in Dir. proc. amm., 2001, 287 ss., spec. 291-292.
[63] Di cui dà ben conto S. Mirate, op. cit., 64 ss.
[64] A. Romano, La situazione legittimante al processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 1989, 533.
[65] R. Orestano, Azione, in Enc. dir., IV, Milano, 1959, 789 ss.
[66] R. Villata, op. cit., 635-636.
[67] Così, tra le tante, T.A.R. Lombardia-Brescia, Sez. I, 28 dicembre 2013, n. 1176, in www.lexitalia.it, n. 5/2014, con commenti di I. Cacciavillani, L’azione popolare nel processo amministrativo, e di V. Marchianò, Legittimazione all’azione nel processo amministrativo: l’interesse al ricorso (ivi, n. 6/2014). Per la corretta distinzione tra legittimazione ed interesse, ex multis, Cons. St., Sez. VI, 29 maggio 2008, n. 2546, in Foro it. Rep., 2008, voce «Giustizia amministrativa», n. 879.
[68] L.R. Perfetti, Legittimazione e interesse a ricorrere nel processo amministrativo: il problema delle pretese partecipative, in Dir. proc. amm., 2009, 688 ss., spec. 690 e 697-698.
[69] Nel senso che «deve essere tenuta rigorosamente ferma la netta distinzione tra la titolarità di una posizione sostanziale differenziata che abilita un determinato soggetto all’esercizio dell’azione (legittimazione al ricorso) e l’utilità ricavabile dall’accoglimento della domanda di annullamento (interesse al ricorso)», Cons. St., Ad. plen., 7 aprile 2011, n. 4, in Giurisd. amm., 2011, I, 513; adesivamente, Cons. Giust. Amm. Reg. sic., 22 novembre 2017, n. 511, in www.giustizia-amministrativa.it. Non mancano, tuttavia, anche in epoca relativamente recente, sostenitori della tesi opposta (G. Romeo, Interesse legittimo e interesse a ricorrere: una distinzione inutile, in Scritti per M. Nigro, Milano, 1991, III, 493 ss.), come del resto pure tra i processualcivilisti v’è chi ritiene che siffatta distinzione costituisca un residuo della distinzione tra diritto e processo (S. Satta, Interesse ad agire e legittimazione, in Foro it., 1954, IV, 169 ss.; S. Satta – C. Punzi, Diritto processuale civile, 13ª ed., Padova, 2000, 136 ss.) o comunque appaia, in alcuni casi, eccessivamente rigida e formalistica (B. Sassani, Interesse ad agire, in Enc. giur., XVII, Roma, 1989, 2 ss.).
[70] F. Trimarchi Banfi, L’interesse legittimo attraverso il filtro dell’interesse a ricorrere: il caso della vicinitas, in Dir. proc. amm., 2017, 774-775, alla quale si rinvia per le relative indicazioni giurisprudenziali.
[71] Sul punto, sia consentito rinviare a F. Saitta, L’impugnazione del permesso di costruire nell’evoluzione giurisprudenziale: da azione popolare a mero (ed imprecisato) ampliamento della legittimazione a ricorrere, in www.lexitalia.it, n. 7-8/2007, ed in Cittadinanza ed azioni popolari (Atti del Convegno di Copanello, 29-30 giugno 2007), a cura di F. Astone, F. Manganaro, A. Romano Tassone e F. Saitta, Soveria Mannelli, 2010, 169 ss.
[72] F. Trimarchi Banfi, L’interesse legittimo: teoria e prassi, in Dir. proc. amm., 2013, 1009.
[73] M. Magri, op. cit., 344-345.
[74] Con riguardo, ad es., all’azione di nullità ex art. 1421 c.c., cfr. F. Ferrari, L’interesse c.d. legittimante ad agire, in Giur. it., 2014, 2745 ss.; S. Pagliantini, L’azione di nullità tra legittimazione ed interesse, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2011, 407 ss.. Per un parallelismo con l’azione di nullità di cui all’art. 31, comma 4, c.p.a., F. Luciani, Processo amministrativo e disciplina delle azioni; nuove opportunità, vecchi problemi e qualche lacuna nella tutela dell’interesse legittimo, in Dir. proc. amm., 2012, 503 ss., spec. 537 ss.; ante codicem, M. Ramajoli, Legittimazione ad agire e rilevabilità d’ufficio della nullità, ivi, 2007, 999 ss.
[75] Retro, § 2.
[76] E. Boscolo, Le condizioni dell’azione e l’abuso del processo amministrativo, in Giur. it., 2014, 2008.
[77] Così E. Boscolo, Gli interessi legittimi strumentali e la selettività della legittimazione, in Giur. it., 2016, 1216.
[78] V. Domenichelli, Parti (dir. amm.), in S. Cassese (diretto da), Dizionario di diritto pubblico, Milano, 2006, V, 4140; Id., Le parti del processo, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di S. Cassese, 2ª ed., Milano, 2003, V, 4323; Id., Il processo amministrativo, in L. Mazzarolli – G. Pericu – A. Romano – F.A. Roversi Monaco – F.G. Scoca (a cura di), Diritto amministrativo, Bologna, 2001, II, 1913; amplius, Id., Giurisdizione esclusiva e processo amministrativo, Padova, 1988, 130 ss.
[79] Retro, § 3.
[80] C. Cudia, op. cit., 148-149. Nel senso che l’esistenza di una questione di legittimazione distinta dalla titolarità (effettiva) delle situazioni giuridiche dedotte nel processo, ergo dal merito della controversia, è uno degli indizi più significativi della natura strumentale della tutela giurisdizionale e della «interdipendenza» tra diritto sostanziale e processo, A. Proto Pisani, Appunti preliminari sui rapporti tra diritto sostanziale e processo, in Dir. giur., 1978, 1 ss.
[81] C. Cudia, op. cit., 154-155.
[82] C. Cudia, op. cit., 162-163. Nel senso che «[l]’astratta garanzia che tutti possano agire in giudizio per tutelare una posizione sostanziale meritevole di tutela, solamente affermandosene titolari, costituisce una conquista dell’intera società civile, cristallizzata nel disposto dell’art. 24 Cost.», A.D. De Santis, op. cit., 86.
[83] A. Proto Pisani, Introduzione sulla atipicità dell’azione e la strumentalità del processo, in Foro it., 2012, V, 3.
[84] Lo rileva, in senso critico, G. Mannucci, La tutela, cit., 122.
[85] M. Magri, op. cit., 226-227.
[86] Su cui, ex plurimis, A. Travi, op. cit., 200 ss.; E. Follieri, La tipologia delle azioni proponibili, in F.G. Scoca (a cura di), op. cit., 179 ss.; da ultimo, più in generale, M. Libertini, Le nuove declinazioni del principio di effettività, in Eur. e dir. priv., 2018, 1071 ss., secondo cui l’atipicità del diritto di azione è parte integrante del principio di effettività.
[87] F. Caringella, Architettura e tutela dell’interesse legittimo dopo il codice del processo amministrativo: verso il futuro!, in www.giustizia-amministrativa.it (ottobre 2011), § 3.
[88] Sul punto, amplius, A. Bonafine, op. cit., 1380-1381.
[89] A. Proto Pisani, Brevi premesse in tema di situazioni giuridiche soggettive fra diritto sostanziale, processi e giurisdizioni, in Foro it., 2011, V, 98 ss.; B. Sassani, Arbor actionum. L’articolazione della tutela nel codice del processo amministrativo, in Riv. dir. proc., 2011, 1356 ss.
[90] A.D. De Santis, op. cit., 86-92.
[91] A. Carbone, L’azione di condanna ad un facere. Riflessioni sul processo amministrativo fondato sulla pluralità delle azioni, in Dir. proc. amm., 2018, 261 ss.. L’invito ad accostarsi con «occhi nuovi» al codice del processo amministrativo, ritenuto «relativamente “aperto”», era stato formulato da A. Romano Tassone, A proposito del Libro II del progetto di codice del processo amministrativo, in Dir. e proc. amm., 2010, 1147.
[92] Situazione giuridica nella cui ricostruzione ha notoriamente esercitato un notevole peso la tradizione: B. Sordi, Interesse legittimo, in Enc. dir., Annali, II, t. 2, Milano, 2008, 724 ss.
[93] Così S. Baccarini, “Scelta” delle azioni e valutazione della “necessità” dell’annullamento per la tutela del ricorrente, in Dir. proc. amm., 2011, 1262.
[94] S. Mirate, op. cit., 76-77.
[95] S. Mirate, op. cit., 16-20, 77-81, 84-85.
[96] In tal senso, A. Giannelli, Il revirement della Plenaria sulla nozione di interesse strumentale, in Dir. proc. amm., 2011, 1132 ss.
[97] S. Mirate, op. cit., 85-86 e 110-111.
[98] Così V. Cerulli Irelli, Legittimazione “soggettiva” e legittimazione “oggettiva” ad agire nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2014, 364; adesivamente, R. Villata, ibidem; G. De Giorgi Cezzi, Note in tema di parti nel processo amministrativo, in www.federalismi.it, n. 15/2017, 3.
[99] Nel senso che la legittimazione ad agire non va confusa, anche se lo presuppone, con l’interesse legittimo, onde evitare che le interconnessioni tra situazione soggettiva e potere d’azione inducano a configurare l’interesse legittimo come situazione meramente processuale, R. Ursi, Ricorso giurisdizionale amministrativo, in S. Cassese (diretto da), op. cit., V, 5259.
[100] G. Mannucci, La tutela, cit., passim, ma spec. 343-346.
[101] R. Villata, op. ult. cit., 654 ss.
[102] V. Cerulli Irelli, op. cit., 358 (il corsivo nel testo è nostro).
[103] V. Cerulli Irelli, op. cit., 361.
[104] Per tutti, E. Betti, Diritto processuale civile italiano, Roma, 1936, 159.
[105] V. Cerulli Irelli, op. cit., 362.
[106] V. Cerulli Irelli, op. cit., 363.
[107] Ciò che sembra adombrare R. Villata, op. ult. cit., 654.
[108] Così, recentemente, G. Greco, Giudizio sull’atto, giudizio sul rapporto: un aggiornamento sul tema, in F. Francario – M.A. Sandulli (a cura di), Profili oggettivi e soggettivi della giurisdizione amministrativa, Napoli, 2017, 28-29.
[109] A. Piras, Interesse legittimo e giudizio amministrativo, Milano, 1962; M.S. Giannini – A. Piras, Giurisdizione amministrativa e giurisdizione ordinaria nei confronti della pubblica amministrazione, in Enc. dir., XIX, Milano, 1970, 294 ss.; M.S. Giannini, Discorso generale sulla giustizia amministrativa, in Riv. dir. proc., 1963, 522 ss.; più recentemente, G. Greco, L’accertamento autonomo del rapporto nel giudizio amministrativo, Milano, 1980; V. Caianiello, Le azioni proponibili e l’oggetto del giudizio amministrativo, in Foro amm., 1980, II, 857 ss.; B. Sassani, Impugnativa dell’atto e disciplina del rapporto. Contributo allo studio della tutela dichiarativa nel processo civile e amministrativo, Milano, 1989; Id., Dal controllo del potere all’attuazione del rapporto. Ottemperanza amministrativa e tutela civile esecutiva, Milano, 1997; A. Romano Tassone, Sulla regola del dedotto e deducibile nel giudizio di legittimità, in www.giustamm.it, n. 6/2006. In giurisprudenza, pur con la precisazione che ciò vale «ove non si frapponga l’ostacolo dato dalla non sostituibilità di attività discrezionali riservate all’amministrazione», Cons. St., Ad. plen., 23 marzo 2011, n. 3 e 29 luglio 2011, n. 15, in www.giustizia-amministrativa.it.
[110] G. Greco, Giudizio sull’atto, cit., 29-30, secondo cui «non si può prescindere dalla configurazione sostanziale e finale della situazione giuridica correlata con l’esercizio della potestà amministrativa».
[111] G. Greco, op. ult. cit., 31 e 66-69.
[112] C. Mandrioli, Diritto processuale civile, 20ª ed., Torino, 2009, I, 71.
[113] G. Greco, op. ult. cit., 73.
[114] S. Piraino, L’azione nel processo amministrativo, Milano, 1981; S. Giacchetti, L’oggetto del giudizio amministrativo, in Studi per il centocinquantenario del Consiglio di Stato, Roma, 1981, III, 1483 ss.; M. Nigro, Giustizia amministrativa, 6ª ed., a cura di E. Cardi e A. Nigro, Bologna, 2002, 240.
[115] S. Menchini, I limiti oggettivi del giudicato civile, Milano, 1987, 45; nello stesso senso, più recentemente, M. Fornaciari, Oggetto del processo e diritto sostanziale, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2015, 837.
[116] A. Pajno, Il codice del processo amministrativo ed il superamento del sistema della giustizia amministrativa. Una introduzione al Libro I, in Dir. proc. amm., 2011, 105.
[117] Così, da ultimo, Cons. St., Sez. III, 18 aprile 2019, n. 2535, in www.giustizia-amministrativa.it.
[118] Retro, § 4.
[119] L.R. Perfetti, op. cit., 690.
[120] In tal senso, A. Travi, Intervento al Seminario su: «Eccesso di potere giurisdizionale e diniego di giurisdizione dei giudici speciali al vaglio delle Sezioni unite della Cassazione» – Roma, 21 settembre 2017, 2 del paper, secondo cui la Corte di giustizia sembra dimenticare che, in Italia, la tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione è di diritto soggettivo.
[121] Per tutti, R. Villata, L’Adunanza plenaria interviene sui rapporti tra ricorso principale e ricorso incidentale, in Dir. proc. amm., 2008, 1186 ss.; Id., Riflessioni in tema di ricorso incidentale nel processo amministrativo di primo grado (con particolare riguardo alle impugnative delle gare contrattuali), ivi, 2009, 285 ss.; Id., Annotando gli annotatori, ivi, 2011, 1183 ss.; Id., Ancora «spigolature» sul nuovo processo amministrativo, ibidem, 1522 ss.; Id., Finale di partita?, ivi, 2015, 826 ss..
[122] A tal proposito, si rinvia all’ampia e dettagliata analisi critica di G. Tropea, Il ricorso incidentale escludente (Relazione alle Giornate di studio sulla giustizia amministrativa su: «Omessa pronuncia ed errore di diritto nel processo amministrativo» – Rapolano Terme/Siena, 24-25 maggio 2019).
[123] Dec. 10 novembre 2008, n. 11, in Dir. proc. amm., 2009, 146, con nota di A. Squazzoni, Il rebus del presunto effetto paralizzante del ricorso incidentale nelle gare d’appalto ove anche il ricorrente principale contesti la mancata esclusione del vincitore, e di G. Tropea, La Plenaria prende posizione sui rapporti tra ricorso principale e ricorso incidentale (nelle gare con due soli concorrenti). Ma non convince.
[124] S. Mirate, op. cit., 91.
[125] Dec. 15 aprile 2010, n. 1, in Dir. proc. amm., 2010, 617, con nota di A. Squazzoni, L’Adunanza plenaria si pronuncia sul termine per notificare i motivi aggiunti nel rito ex art. 23-bis l. Tar (aggiungendo l’ennesima considerazione sull’ordine di esame delle censure escludenti incrociate).
[126] S. Mirate, op. cit., 93.
[127] Dec. 7 aprile 2011, n. 4, in Dir. proc. amm., 2011, 1035, con note di A. Squazzoni, Ancora sull’asserito effetto paralizzante del solo ricorso incidentale c.d. escludente nelle controversie in materia di gare. La Plenaria statuisce nuovamente sul rebus senza risolverlo; di A. Giannelli, op. cit.; di F. Follieri, Un ripensamento dell’ordine di esame dei ricorsi principale ed incidentale; di M. Marinelli, Ancora in tema di ricorso incidentale “escludente” e ordine di esame delle questioni (note brevi a margine di un grand arrêt dell’Adunanza Plenaria).
[128] Sez. X, 4 luglio 2013, in causa C-100/12, Fastweb, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2013, 795, con nota di E.M. Barbieri, Legittimazione ed interesse a ricorrere in caso di ricorsi reciprocamente escludenti dopo una recente pronuncia comunitaria.
[129] G. Tropea, Il ricorso, cit., 8.
[130] Dec. 30 gennaio 2014, n. 7 e 25 febbraio 2014, n. 9, in Dir. proc. amm., 2014, 544, con nota di L. Bertonazzi, Il ricorso incidentale nei giudizi amministrativi di primo grado relativi a procedure selettive: residue incertezze domestiche e gravi incognite di origine europea.
[131] S. Mirate, op. cit., 103.
[132] Grande Sez., 5 aprile 2016, in causa C-689/13, Puligienica, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2016, 541, con nota di E.M. Barbieri, La Corte di giustizia interviene sul processo giurisdizionale amministrativo in tema di ricorsi reciprocamente escludenti e di potere nomofilattico dell’Adunanza Plenaria.
[133] S. Mirate, op. cit., 117.
[134] Ord. 11 maggio 2018, n. 6, in www.giustizia-amministrativa.it.
[135] G. Mannucci, Legittimazione, cit., 8.
[136] Così L. Ferrara, Un errore di fondo?, in Giorn. dir. amm., 2014, 919 ss., spec., 928. Nel senso che la legittimazione ad agire del ricorrente principale è integrata dalle sue allegazioni introduttive, fondate su un provvedimento di ammissione che al momento della domanda è pienamente valido, e prescinde dalla successiva verifica della correttezza di tale ammissione, risultando in tal modo chiara la differenza con l’impresa legittimamente esclusa, che già al momento della proposizione del ricorso è sfornita di legittimazione, G. Pescatore, Brevi note in tema di ricorso incidentale escludente, legittimazione al ricorso ed ordine di esame delle questioni, in www.lexitalia.it, n. 5/2012, 7.
[137] Lo nota bene G. Tropea, op. ult. cit., 14, che però nutre dubbi sull’anzidetta ricostruzione.
[138] G. Mannucci, op. ult. cit., 9.
[139] M. Delsignore, La legittimazione delle associazioni ambientali nel giudizio amministrativo: spunti dalla comparazione con lo standing a tutela di environmental interests nella judicial review statunitense, in Dir. proc. amm., 2013, 747-748.
[140] Sul punto, ampiamente, A.D. De Santis, op. cit., 159 ss.
[141] C. Cudia, op. cit., passim, ma spec. 160-161.
[142] C. Cudia, op. cit., 163.
[143] R. Villata, Legittimazione, cit., 654-655.
[144] M. Magri, op. cit., 190-193, anche in nota.
[145] S. Mirate, op. cit., 157-158.
[146] V. Caianiello, Manuale, cit., 577.
[147] In tal senso, con riguardo alla legittimazione riconosciuta all’A.G.C.M. dall’art. 21-bis l. n. 287/1990, F. Cintioli, Osservazioni sul ricorso giurisdizionale dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato e sulla legittimazione a ricorrere delle autorità indipendenti, in Conc. e merc., 2013, 107 ss., secondo cui l’Autorità non fa valere situazioni soggettive proprie, ma agisce, come una sorta di pubblico ministero, per la realizzazione dell’interesse generale alla concorrenza. Corre l’obbligo di segnalare, però, che l’orientamento maggioritario in dottrina è nel senso che l’Autorità agisca, invece, quale titolare di una situazione giuridica soggettiva – appunto, l’interesse alla concorrenza – normalmente adespota, che tuttavia il legislatore ha soggettivizzato in capo ad essa, seguendo uno schema simile a quello utilizzato per gli interessi diffusi: in tal senso, ad es., R. Giovagnoli, Atti amministrativi e tutela della concorrenza. Il potere di legittimazione a ricorrere dell’AGCM nell’art. 21-bis legge n. 287/1990, in www.giustizia-amministrativa.it (settembre 2012); in termini analoghi, M.A. Sandulli, Il problema della legittimazione ad agire in giudizio da parte delle autorità indipendenti, in www.anticorruzione.it (febbraio 2013), secondo cui l’Autorità agisce a tutela di un interesse sicuramente pubblico, ma pur sempre particolare e differenziato, di cui è specifica affidataria; M. Antonioli, La legittimazione a ricorrere degli enti pubblici tra situazioni sostantive, soggettività della tutela e funzionalizzazione dell’interesse pubblico, in Dir. e proc. amm., 2015, 359 ss., il quale parimenti esclude che la legittimazione speciale attribuita all’A.G.C.M. alteri la struttura soggettiva del processo amministrativo; M. Lipari, La soppressione delle raccomandazioni vincolanti e la legittimazione processuale speciale dell’Anac, in www.giustizia-amministrativa.it (luglio 2017), § 1.3., a cui si rinvia anche per la nutrita casistica giurisprudenziale; A. Angiuli, L’Adunanza plenaria e l’enunciazione del principio di diritto nell’interesse della legge, in F. Francario – M.A. Sandulli (a cura di), op. cit., 183-184. Per ulteriori indicazioni bibliografiche, può vedersi C. Bellesini, L’articolo 21 bis della legge n. 287 del 1990 e la legittimazione ad agire nel processo amministrativo della Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in Rass. Avv. Stato, 2016, 4, 1 ss.. Analogamente, tratti di giurisdizione oggettiva sono stati ravvisati nella legittimazione a ricorrere riconosciuta all’A.N.AC. dall’art. 211, comma 1-ter, d.lgs. n. 50/2016: M. Ramajoli, Il precontenzioso nei contratti pubblici tra logica preventiva e tutela obiettiva, in Dir. proc. amm., 2018, 582-583. Secondo M. Lipari, ibidem, la legittimazione speciale dell’A.N.AC., potrebbe determinare, in numerosi casi concreti, un fenomeno di sostituzione processuale, piuttosto che di personificazione di interessi diffusi.
[148] E’ la tesi di V. Cerulli Irelli, op. cit.
[149] S. Mirate, op. cit., 369-370.
[150] M. Magri, op. cit., 332.
[151] S. Mirate, op. cit., 180.
[152] Per tutti, V. Bachelet, La giustizia amministrativa nella Costituzione italiana, Milano, 1969, spec. 24 e 33; più recentemente, V. Cerulli Irelli, op. cit., passim, ma spec. 369 ss.
[153] Sent. 6 luglio 2004, n. 204, in www.giurcost.org, che ha ricordato che la Costituzione «ha riconosciuto al giudice amministrativo piena dignità di giudice ordinario per la tutela, nei confronti della pubblica amministrazione, delle situazioni soggettive».
[154] Sez. VI, 25 febbraio 2019, n. 1321, in www.giustamm.it, n. 2/2019. Da ultimo, nel senso che la giurisdizione che esercita il giudice amministrativo è di tipo soggettivo, in quanto diretta a tutelare la posizione giuridica soggettiva di cui è titolare colui che agisce e non al mero ripristino della legalità violata, anche T.A.R. Lombardia-Milano, Sez. IV, 18 marzo 2019, n. 574, ibidem.
[155] V. Cerulli Irelli, op. cit., 354 ss., a cui si rinvia per i relativi riferimenti giurisprudenziali.
[156] P. Stella Richter, Dopo il codice del processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2012, 876.
[157] V. Domenichelli, La trasformazione in senso soggettivo della giurisdizione amministrativa: una conquista irrinunciabile del processo amministrativo, in F. Francario – M.A. Sandulli (a cura di), op. cit., 329-331; in termini analoghi, da ultimo, V. Cerulli Irelli, L’amministrazione “costituzionalizzata” e il diritto pubblico della proprietà e dell’impresa, Torino, 2019, 235, il quale osserva che la giustificazione dell’esistenza della giurisdizione amministrativa sta nel fatto che, attraverso la stessa, si stabiliscono anche le regole dell’azione amministrativa e, nel farlo, il giudice non può prescindere dalla rilevanza degli interessi in gioco, che non sono soltanto quelli delle parti del rapporto controverso.
[158] G. Tropea, La specialità del giudice amministrativo, tra antiche criticità e persistenti insidie, in Dir. proc. amm., 2018, 955-963; A. Carbone, op. cit., 424; M. Lipari, Il giudice amministrativo e la corsa della giurisdizione oggettiva, in F. Francario – M.A. Sandulli (a cura di), op. cit., 279 ss.
[159] G. De Giorgi Cezzi, op. cit., 10; A. Travi, L’effettività della giustizia amministrativa, in L. Benvenuti – M. Clarich (a cura di), Il diritto amministrativo alle soglie del nuovo secolo. L’opera scientifica di Fabio Merusi, Pisa, 2010, 56. In termini analoghi, L. De Lucia, Legittimazione al ricorso e sfiducia sociale nell’Amministrazione pubblica. Tre modelli a confronto, in www.giustamm.it, n. 1/2017, 4, secondo cui l’epoca contemporanea sarebbe espressione di un «clima culturale favorevole a un controllo giurisdizionale dell’azione amministrativa, prevalentemente nel nome dell’interesse generale».
[160] Per più precise indicazioni sugli elementi caratteristici dei processi cc.dd. a contenuto oggettivo, sia consentito rinviare, anche per le relative indicazioni bibliografiche, a F. Saitta, L’appello nel processo contabile. I. Profili sistematici, Napoli, 1999, 90 ss.
[161] Nel senso che «[l’]eventuale reiezione della domanda formulata innanzi al G.A. per ragioni processuali collegate alla riscontrata carenza delle condizioni e dei presupposti dell’azione (comprensivi della legittimazione e dell’interesse al ricorso), non rappresenta l’affermazione di un risultato meramente formale, ma al contrario, costituisce l’esito fisiologico, pienamente congruente con le regole costituzionali in materia di tutela giurisdizionale, della valutazione in ordine alla titolarità, in capo all’attore, di una posizione tutelabile dinanzi al Giudice Amministrativo», Cons. St., Sez. V, 27 gennaio 2016, n. 265, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Lombardia-Milano, Sez. IV, 22 gennaio 2013, n. 183, ibidem; T.A.R. Lazio-Roma, Sez. I, 18 giugno 2012, n. 5608, ibidem.
[162] V. Cerulli Irelli, Legittimazione, cit., 358 e 374-375. Per più precise indicazioni sulle tendenze oggettivanti del processo civile, cfr. G. Mannucci, Legittimazione, cit., 12-13.
[163] In argomento, G. Mannucci, op. ult. cit., 11-12; amplius, S. Mirate, Unità e pluralità delle giurisdizioni fra tutela oggettiva e tutela soggettiva: uno sguardo comparato, in Quest. giust., n. 3/2015; B. Marchetti, Il giudice amministrativo tra tutela soggettiva e oggettiva: riflessioni di diritto comparato, in Dir. proc. amm., 2014, 74 ss.; D. De Pretis, La tutela giurisdizionale amministrativa in Europa fra integrazione e diversità, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2005, 5 ss.
[164] G. Mannucci, La tutela, cit., 11.
[165] L. Ferrara, Attualità del giudice amministrativo e unificazione delle giurisdizioni: annotazioni brevi, in Dir. pubbl., 2014, 577.
[166] G. Mannucci, op. ult. cit., 123 e 348-349; in termini analoghi, L.R. Perfetti, op. cit., 691; già prima, L. Mazzarolli, Il processo amministrativo come processo di parti e l’oggetto del giudizio, in Dir. proc. amm., 1997, 479.
[167] M. Silvestri, Le condizioni dell’azione nel rito in materia di contratti pubblici, in Dir. proc. amm., 2017, 986.
[168] A. Carbone, Modelli processuali differenziati, legittimazione a ricorrere e nuove tendenze del processo amministrativo nel contenzioso sugli appalti pubblici, in Dir. proc. amm., 2014, 444.
[169] M. Magri, op. cit., 288-290.
[170] M. Magri, op. cit., 316.
[171] Così S. Mirate, La legittimazione, cit., 177 e 180-181, anche in nota.
[172] Cfr. retro, § 4.
[173] S. Mirate, op. ult. cit., 188 ss.
[174] S. Mirate, op. ult. cit., 198.
[175] Delle quali, invero, sembra essere consapevole la stessa S. Mirate, ibidem.
[176] Nel senso che «il processo proietta sempre sulla materia sostanziale un cono di luce, che l’interprete deve ricercare, perché soltanto la dimensione della lite consente di cogliere appieno l’ampiezza, e per converso i limiti, del riconoscimento di una situazione soggettiva al suo titolare», I. Pagni, La giurisdizione tra effettività ed efficienza, in Dir. proc. amm., 2016, 411.
[177] G. Greco, Giudizio sull’atto, cit., 73-74.
[178] S. Mirate, Giurisdizione amministrativa in senso soggettivo e oggettivo. La dicotomia in rapporto all’accesso al giudizio: la legittimazione ad agire (Relazione al Convegno su: «Giurisdizione amministrativa in senso soggettivo e oggettivo. Attualità di una dicotomia» – Trento, 12 aprile 2019), 12-13 del paper.
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