31/05/2019 – Sulla natura giuridica della c.d. “fiscalizzazione” degli abusi edilizi

Sulla natura giuridica della c.d. “fiscalizzazione” degli abusi edilizi

di Giuseppe Cassano – Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School Of Economics
Nella sentenza in esame il Consiglio di Stato si sofferma in tema di “fiscalizzazione” degli abusi edilizi, istituto disciplinato ex art. 34, comma 2, D.P.R. n. 380 del 2001.
Tale norma del T.U. Edilizia introduce una sanzione alternativa rispetto a quella demolitivo-restitutoria nel caso in cui la demolizione non possa avvenire senza incidere sulla stabilità dell’edificio nel suo complesso così contemperando l’esigenza di ristabilire lo status quo ante con quella di assicurare la sicurezza pubblica (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VI, 3 maggio 2017, n. 2368).
In particolare, l’art. 34 in esame così dispone:
– «Gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire sono rimossi o demoliti a cura e spese dei responsabili dell’abuso entro il termine congruo fissato dalla relativa ordinanza del dirigente o del responsabile dell’ufficio. Decorso tale termine sono rimossi o demoliti a cura del comune e a spese dei medesimi responsabili dell’abuso» (comma 1).
– «quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione» pecuniaria (comma 2).
Infine, al comma 2-ter, aggiunto con D.L. 13 maggio 2011, n. 70, si prevede che «ai fini dell’applicazione del presente articolo, non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali».
Secondo la giurisprudenza la possibilità di applicare la sanzione pecuniaria deve essere valutata nella fase esecutiva del procedimento di repressione dell’abuso, successiva ed autonoma rispetto all’ordine di demolizione: è per tal motivo che la norma viene a costituire, in sostanza, un’ipotesi ulteriore di sanatoria, denominata di solito «fiscalizzazione dell’abuso» (Cons. di Stato, Sez. VI, 30 marzo 2017, n. 1481Cons. di Stato, Sez. VI, 12 aprile 2013, n. 2001).
In altre parole, la questione della sostituzione della demolizione con l’applicazione di una sanzione pecuniaria dev’essere introdotta “a valle” della ingiunzione di demolizione, per il caso di inottemperanza spontanea all’ordine di ripristino dello stato dei luoghi (si veda Cons. di Stato, Sez. VI, n. 4855 del 2016 secondo cui «la valutazione circa la possibilità di dare corso alla applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella ripristinatoria costituisce una mera eventualità della fase esecutiva, successiva alla ingiunzione a demolire: con la conseguenza che la mancata valutazione della possibile applicazione della sanzione pecuniaria sostitutiva non può costituire un vizio dell’ordine di demolizione ma, al più, della successiva fase riguardante l’accertamento delle conseguenze derivanti dall’omesso adempimento al predetto ordine di demolizione e della verifica dell’incidenza della demolizione sulle opere non abusive»; conf. Cons. di Stato, Sez. VI, n. 1940 del 2016 e n. 5180 del 2017).
Ma si veda anche la giurisprudenza penale secondo cui: «il provvedimento adottato dall’autorità amministrativa a norma dell’art. 34, comma 2 citato trova applicazione solo per le difformità parziali e, in ogni caso, non equivale ad una sanatoria, atteso che non integra una regolarizzazione dell’illecito ed, in particolare, non autorizza il completamento delle opere, considerato che le stesse vengono tollerate, nello stato in cui si trovano, solo in funzione della conservazione di quelle realizzate legittimamente (così, Cass. pen., Sez. III, n. 19538 del 22 aprile 2010, Alborino, Rv. 247187. Conf. Cass. pen., Sez. III, n. 24661 del 15 aprile 2009, Ostuni, Rv. 244021; Cass. pen., Sez. III, n. 13978 del 25 febbraio 2004, Tessitore, Rv. 228451)» (Cass. pen., Sez. III, 21 giugno 2018, n. 28747).
E, da ultimo, «La “fiscalizzazione dell’abuso edilizio” non si configura … come condizione di legittimità del provvedimento repressivo» (Cons. di Stato, Sez. VI, 23 novembre 2018, n. 6658).
Inoltre – come precisa l’adito Collegio di Palazzo Spada – tale istituto opera solo in ipotesi opere poste in essere in parziale difformità rispetto al titolo edilizio e non anche con riferimento alle opere interamente abusive.
Si vedano ancora i seguenti arresti della giurisprudenza:
– «La fiscalizzazione dell’abuso edilizio consiste nell’ingiungere il pagamento di una sanzione pecuniaria in luogo dell’ordinaria misura della rimessione in pristino e può essere applicata, tra l’altro, nelle sole ipotesi in cui soltanto una parte del fabbricato risulti abusiva e nel contempo risulti obiettivamente verificato che la demolizione di tale parte esporrebbe a serio rischio la residua parte legittimamente assentita (T.A.R. Abruzzo, Pescara, n. 195 del 2015T.A.R. Campania, Napoli, n. 1397 del 2016T.A.R. Molise, n. 39 del 2016).
L’stanza di fiscalizzazione ex art. 34D.P.R. n. 380 del 2001, peraltro, implica il riesame dell’abusività dell’opera edilizia, al fine di verificare (…) l’applicazione della sanzione pecuniaria in luogo della demolizione, in ragione dell’impossibilità allegata dal soggetto interessato di eseguire la demolizione della parte abusiva senza pregiudizio per la parte del fabbricato eseguita in conformità al titolo edilizio.
Se questa istanza non comporta la necessaria emanazione da parte del Comune di un nuovo provvedimento, è evidente però che la sua proposizione comporta la quiescenza dell’originaria ordinanza di demolizione, che riacquista efficacia solamente in caso di rigetto dell’istanza» (T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, Sez. I, 9 febbraio 2018, n. 51);
– «l’ingiunzione di demolizione costituisce la prima ed obbligatoria fase del procedimento repressivo, in quanto la sanzione demolitoria ha natura di diffida e presuppone solo un giudizio di tipo analitico-ricognitivo dell’abuso commesso, mentre il giudizio sintetico-valutativo, di natura discrezionale, circa la rilevanza dell’abuso e la possibilità di sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria (disciplinato dagli artt. 33 e 34, comma 2, D.P.R. n. 380 del 2001 con riferimento alle ristrutturazioni edilizie abusive o in totale difformità ed agli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire) deve essere verificato soltanto in un secondo momento, cioè quando il soggetto privato non ha ottemperato spontaneamente alla demolizione e l’organo competente deve emanare l’ordine di esecuzione in danno delle ristrutturazioni realizzate in assenza o in totale difformità dal permesso di costruire o delle opere edili costruite in parziale difformità dal permesso di costruire» (T.A.R. Campania, Salerno, Sez. I, 23 febbraio 2017, n. 311);
– «La cd. “soglia di tolleranza” di cui al D.P.R. n. 380 del 2001art. 34, comma 2-ter, si applica esclusivamente all’intervento e alle opere così come realizzati e costituisce unità di misura percentuale della eventuale variazione tra ciò che è stato assentito (che normalmente corrisponde allo “stato di progetto”) e quel che è stato realizzato; tale criterio non si applica anche al modo con cui deve essere confezionato lo “stato di fatto” di progetto. Lo “stato di fatto” deve rappresentare fedelmente la realtà che prevale sempre sulle (eventualmente) diverse risultanze catastali, ciò perché oggetto di valutazione, in sede urbanistico-edilizia, è l’immobile nella sua consistenza effettiva, non in quella catastale» (Cass. pen., Sez. III, 28 marzo 2017, n. 15228);
– «Il privato sanzionato con l’ordine di demolizione per la costruzione di un’opera edilizia abusiva non può invocare l’applicazione a suo favore della disposizione oggi contenuta nell’art. 34, comma 2, D.P.R. n. 380 del 2001 se non fornisce seria ed idonea dimostrazione del pregiudizio stesso sulla struttura e sull’utilizzazione del bene residuo, con la precisazione che l’applicazione della sanzione pecuniaria è innescata da un’istanza presentata a tal fine dall’interessato e non già da una verifica tecnica di cui la parte pubblica non può venire ragionevolmente gravata, essendo proprio la parte privata, autrice dell’opera e del progetto, ad essere a conoscenza di come esso è stato eseguito e di quali danni potrebbero prodursi, a seguito di demolizione, in pregiudizio della parte conforme (cfr. ex multis T.A.R. Campania, Napoli, Sez. II, 15 gennaio 2015 n. 233)» (T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, 14 febbraio 2017, n. 95).

Print Friendly, PDF & Email
Torna in alto